Ar­chi­tet­tu­ra so­ste­ni­bi­le: un os­si­mo­ro?

Editoriale – «Archi» 3/2021

Qual è l'identikit dell'architettura verde contemporanea? In che modo nuove tecniche stanno influenzando la progettazione, e quali sono per l'edilizia i rischi del greenwashing? Complessi residenziali e sostenibilità, terzo numero del 2021 di «Archi» curato da Frédéric Frank e Andrea Roscetti, affronta gli sviluppi della progettazione di fronte alla crisi climatica.

Data di pubblicazione
14-06-2021

«La cosa eccitante non sono gli edifici green, è che gli edifici sono costruiti meglio».
Rem Koolhaas, 2012

 

Stando ai dati più recenti, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, i combustibili fossili coprono ancora l’81% dell’energia usata nel mondo, mentre il settore dell’alloggio rappresenta il 24% dell’impatto ambientale della Svizzera. Nonostante alcuni paesi siano riusciti a ridurre il consumo pro capite e la loro impronta di carbonio, sarà difficile raggiungere gli obiettivi fissati nel 2015 dall’Accordo sul clima di Parigi. Proprio all’interno di quello che gli studiosi della sostenibilità definiscono uno «spazio operativo e sicuro» – rispettoso delle soglie stabilite per contenere la crisi ambientale mantenendo condizioni economiche e sociali che riducano le diseguaglianze – si colloca il compito delle nostre professioni. Questa sfida segnata dalla complessità è un tema cruciale di cui «Archi» si è già occupato e che ora ripropone focalizzando la questione nella residenza collettiva. Com’è noto, il concetto di «sviluppo sostenibile» introdotto alla fine degli anni Ottanta – vivere nei limiti indicati dai sistemi naturali di cui la specie umana fa parte per garantire la sopravvivenza delle prossime generazioni – ha una dimensione interdisciplinare e interessa direttamente i progettisti che dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale in questa fase di transizione. È indubbio che in questo ambito la tecnica è determinante, ma ci sono anche altri aspetti che riguardano sia la progettazione che le competenze professionali. «Archi» si domanda, tra l’altro, quanto la diffusione di un approccio sostenibile al progetto influisca sul linguaggio, la composizione, la tettonica e la spazialità architettonica.

Nel primo contributo si individuano infatti alcuni stilemi diffusi nella produzione edilizia dell’ultimo decennio, una sorta di «vocabolario della sostenibilità» di grande impatto visivo: integrazione della vegetazione su tetti e involucri fino alla forestazione di interi quartieri, uso di elementi high tech o vernacolari, trattamenti innovativi di materiali bio-compatibili, tipologie «ecomimetiche», tutti contribuiscono a definire la natura contemporanea degli interventi che riescono a modificare la nozione stessa di urbanità. «Queste ambizioni progettuali – osserva Bologna – trovano pragmatiche risposte nelle tecnologie disponibili sul mercato dell’industria edilizia e stanno inequivocabilmente conducendo, alla scala urbana, alla genesi di nuove forme insediative, oltre che a nuovi modi di concepire lo spazio pubblico (...)». Tuttavia, benché tesi a rafforzare una propria vocazione ecologica, non sempre questi accorgimenti costituiscono parametri di sostenibilità sostanziale, rivelandosi spesso utili a legittimare le diffuse pratiche di greenwashing delle strategie di marketing immobiliare.

Se il greening sta realmente definendo il carattere dell’architettura del XXI scolo, questo fenomeno esige puntuali approfondimenti onde evitare che la tecnologia impiegata per il perseguimento degli obiettivi energetici nella costruzione sia ritenuta dai progettisti un mero elemento conflittuale. Come nella migliore tradizione del moderno, essa dovrebbe invece essere accolta – sin dalle prime fasi progettuali – come un’ulteriore opportunità compositiva, così da essere in grado di declinare dei linguaggi che dovranno misurarsi con un cambio di paradigma tecnico-culturale. D’altronde, prendendo appunti per una storia dell’architettura domestica post-covid, Viati Navone registra le potenzialità scaturite da eventi catastrofici nella messa a punto di dispositivi architettonici che propiziano migliori soluzioni abitative. Casi esemplari illustrano come i grandi cambiamenti attingono a esperimenti del passato, ma «ciò che la discontinuità certamente modifica  – avverte l’autrice – è il nostro punto di vista»: quella prospettiva – convergente, olistica, trans-scalare­ – necessaria a generare le condizioni di possibilità di nuovi modi di abitare riconciliati con l’ambiente. Dai saggi che rimandano al dibattito specialistico, dalle opere presentate, così come dalla conversazione moderata da Frank all’insegna di Prima l’architettura poi la sostenibilità, emergono delle contrapposizioni tra i diversi attori coinvolti. Sebbene le motivazioni etiche risultino condivise, non mancano però dei distinguo: vi è chi ritiene che l’approccio sostenibile è ormai una scelta irreversibile e urgente che esige una coerente integrazione architettonica, e chi invece si appella alla nozione di sostenibilità come «vincolo», invocando meno prescrizioni poiché limitative delle possibilità espressive del progetto, relegando alla tecnologia – al dopo le variabili essenziali ­– la soluzione delle questioni energetiche, mentre il dilemma diventa critico quando si tratta della revisione del patrimonio materiale. In ogni caso ­­– dalle riflessioni condivise con i curatori – risulta evidente la necessità di promuovere sia il dialogo tra gli specialisti implicati, sia la partecipazione degli architetti ai tavoli normativi e decisionali. Forse sarebbe una via efficace per riportare la figura dell’architetto al centro del progetto, rendendolo co-fautore di scelte ormai inderogabili a tutti i livelli.


Approfondimenti

In questo numero, a proposito di sostenibilità:

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