L'a­bi­ta­re con­tem­po­ra­neo in Ti­ci­no

Un focus sugli edifici residenziali

La riflessione sull'abitare in Ticino si è a lungo concentrata sulla casa unifamiliare, tipologia onnipresente che ha giocato un ruolo decisivo nello sviluppo della città diffusa. Ma cosa accade, invece, nell'edilizia residenziale? Tra sperimentazione, speculazione e tentativi di aprirsi verso modelli d'oltralpe, un'analisi dello statuto della casa d'abitazione collettiva nella Svizzera italiana.

Data di pubblicazione
11-03-2021

Focalizzare queste righe su alcuni edifici residenziali realizzati recentemente nella Svizzera italiana potrebbe sembrare una scelta arbitraria. Com'è noto, a partire dal dopoguerra in Ticino ha prevalso la diffusione dell'abitazione unifamiliare: dagli anni Settanta, infatti, i più noti architetti ticinesi si sono cimentati prevalentemente nella sperimentazione di questa tipologia, anche se non mancano alcuni progetti esemplari di abitazione collettiva che restano validi antecedenti per l'analisi della questione dell'abitazione a sud delle Alpi.1 Del resto, occorrerà ripercorrere l’ultimo ventennio del laboratorio Ticino per registrare solo puntuali tentativi di esplorazione delle potenzialità insediative e funzionali dell’edificio plurifamiliare. Casa unifamiliare e casa d'abitazione collettiva sono appunto le due variabili di un tema centrale nel dibattito europeo sull’edilizia popolare fra Otto e Novecento, che esprimono antitetiche concezioni dell’abitare, rinviando a differenti tradizioni culturali e disciplinari.

Leggi anche il contributo di Pablo Valsangiacomo sull'evoluzione dell'architettura residenziale urbana in Ticino

Voci autorevoli si sono alzate negli ultimi decenni per denunciare la devastazione speculativa del territorio, esprimendo la necessità di tutelare il patrimonio architettonico e paesaggistico e quindi l'esigenza di densificare i tessuti urbani abbandonati al laissez faire del mercato. Questi contributi hanno via via individuato le ragioni storiche che hanno condizionato l'impetuoso sviluppo edilizio: estrema parcellazione del suolo, predominio degli interessi privati su quello pubblico, latitanza della politica.2

L'urgente inversione di questa tendenza insediativa risulta indispensabile per contenere la dispersione territoriale che provoca la moltiplicazione di villette con giardino nei fondovalle, sempre associate all'idea di proprietà familiare. Una problematica che ha spesso trovato l'attenzione di «Archi», con la pubblicazione di proposte progettuali tese a promuovere una politica alternativa attraverso l'abitazione collettiva e la qualificazione dello spazio pubblico. Più volte è stata sottolineata l'importanza del ruolo della pianificazione: innescando un processo virtuoso di trasformazione, sarebbe possibile limitare il consumo del territorio e gestire con lungimiranza le nuove aggregazioni comunali attraverso insediamenti compatti di qualità.

Sono stati anche individuati i fattori che sarebbero alla base di un reale cambiamento di paradigma: il ruolo attivo dell'ente pubblico ­– cantonale e comunale – e dei suoi organismi di proposta e controllo, le misure di regolamentazione edilizia e finanziarie, la necessità di attivazione di piattaforme di intenti pubblico/privato, così come la divulgazione di diversi dispositivi – già applicati con successo nel resto della Confederazione – atti a superare una concezione tradizionale dell'abitare marcatamente individualistica e ormai chiaramente insostenibile.

È inoltre evidente che l'apertura della galleria del Ceneri avrà ripercussioni significative sul piano della mobilità, dei flussi migratori e delle dinamiche insediative della popolazione. L'avvicinamento in termini di velocità di spostamento tra le principali città ticinesi permetterà l'effettiva configurazione di una nuova realtà metropolitana: la «Città Ticino», un macrospazio diffuso e identitario già prefigurato nel Piano direttore cantonale. Occorrerà quindi avvalersi dei concetti pianificatori prescritti dalla legislazione federale e cantonale attualmente in vigore per affrontare la sfida di riprogettare questa nuova città territorio. Non a caso, occupandosi di quartieri di abitazione cooperativi localizzati al di là delle Alpi, «Archi» ha affrontato un tema quasi inesistente nell'attuale panorama residenziale della Svizzera italiana. Una scelta che ha avuto l'obiettivo di interrogarsi sulle ragioni strutturali per cui il modello abitativo cooperativo, ampliamente diffuso nel resto della Svizzera, fatichi ancora ad affermarsi in Ticino nonostante la crescente necessità di alloggi a prezzi moderati. L'intento è stato quello di analizzare le caratteristiche di un contesto che si è finora dimostrato refrattario a una modalità abitativa intrinsecamente democratica. Procedura frequente altrove come prassi rigenerativa delle periferie nonché efficace strumento di riequilibrio delle disuguaglianze sociali.

Grazie soprattutto all'intensa attività divulgativa della sezione ticinese della CASSI,3 è emerso recentemente un cauto interesse in alcune fasce della cittadinanza sulle possibilità di accedere all'alloggio cooperativo in complessi residenziali che rafforzino i legami sociali e riducano sensibilmente i consumi. In tal senso le diverse operazioni di riqualificazione urbana sostenute con fondi pubblici nelle principali città della Svizzera mettono in luce sia la volontà politica di dare risposta al diritto alla casa, sia la crescente consapevolezza dei cittadini sulla necessità di prendere l’iniziativa nell’autogestione collettiva della vita quotidiana.

Anche se nella migliore delle ipotesi bisognerà aspettare qualche decennio per parlare di cambiamenti significativi nelle tendenze abitative del Ticino, è proprio per questa ragione che in questa fase si rende inderogabile prediligere la ricerca progettuale sulla casa collettiva in tutte le sue più varie soluzioni tipologiche e funzionali: coesistenza di privacy e socialità, co-abitazione e transgenerazionalità, eterogeneità culturale, servizi collettivi, rapporti urbani e spazi verdi, mobilità sostenibile. Perciò il patrimonio di esperienze presente nel resto della Svizzera (Hunzikerareal, Kalkbreite, Kraftwerk1 o Greencity, solo per limitarsi a esempi zurighesi) offre spunti di riflessione e modelli di riferimento.

Questa terza via dell'abitare, a metà tra lo status di inquilino e proprietario, applicata al contesto ticinese potrebbe contribuire a trasformare la critica situazione abitazionale. In questo modo sarebbe possibile rivitalizzare non solo i tessuti urbani ma anche i villaggi geograficamente marginali, legando la questione del diritto di superficie sia allo spazio pubblico che al riuso dell'esistente.

Vi sono pure delle criticità che potrebbero prospettare ulteriori difficoltà nell’odierno panorama ticinese, tra cui il calo demografico, la riduzione dei salari, l'accelerazione dell'invecchiamento della popolazione e soprattutto il fatto che la costruzione di abitazioni sia proseguita ad un ritmo sostenuto negli ultimi anni, nonostante gli alloggi restino frequentemente sfitti.4 Dagli ultimi sviluppi emergono tuttavia alcuni segnali positivi. Da un lato l'attività della CAT5 evidenzia l'impegno dei professionisti locali nel promuovere questi obiettivi attraverso il concorso come garanzia di un processo progettuale che porti sostenibilità in campo edilizio e infrastrutturale, allargando il proprio compito alla consulenza verso istituzioni e committenti. Dall'altro, vi sono promettenti iniziative pubbliche in corso a Locarno, Bellinzona, Lugano e Mendrisio, con progetti che prevedono alloggi collettivi cooperativi, e sebbene sia ancora prematuro anticipare i risultati, l'auspicio è che queste proposte vengano gestite in funzione delle reali esigenze abitative della comunità.

Gli edifici residenziali presentati da Pablo Valsangiacomo per «TEC21» 7/2021 andrebbero dunque collocati in questo contesto di riferimento. Sono risposte progettuali distinte a tematiche di particolare attualità, realizzate da architetti di diverse generazioni per committenti privati, e ognuna di esse privilegia aspetti architettonici e urbani che sollecitano spinte di rinnovamento. Eppure sono eccezioni che confermano la regola: architetture che restano sostanzialmente estranee alla produzione di un mercato immobiliare in cui spesso la Baukultur non è considerata un valore aggiunto.
 

Questo articolo è apparso in tedesco, in una versione lievemente diversa, su «TEC21» 7/2021.

 

Note

  1. Tra gli esempi più significativi ricordiamo: Dolf Schnebli, casa per appartamenti sociali, Lugano, 1960; Luigi Snozzi, Livio Vacchini, case popolari ai Saleggi, Locarno, 1965-66; Roberto Bianconi, due case per appartamenti, Bellinzona, 1972. Sull'argomento, P. Fumagalli, Il collettivo in Ticino, «Archi» 6/2013, pp. 65-71.
  2. Cfr. T. Carloni, Pathopolis. Riflessioni critiche di un architetto sulla città e il territorio, Bellinzona 2011; idem, La grande trasformazione del territorio, in R. Ceschi (a cura di), Storia del Cantone Ticino, Bellinzona 2015, vol. 2: Il Novecento, pp. 671-700; P. Fumagalli, Cronache di architettura, territorio e paesaggio in Ticino, Bellinzona 2019.
  3. La CASSI fa parte dell’organizzazione mantello Cooperative d’abitazione svizzera (WBG-Schweiz).
  4. Cfr. G.P. Torricelli, Città Ticino 2020 – Cause e conseguenze di una stagnazione demografica, «Coscienza Svizzera», n. 3, 16.11.2020. Si aspettano inoltre risultati concreti del Piano cantonale dell'alloggio implementato nel 2015, mentre è stato istituito nel 2019 il Centro di competenza cantonale incaricato di monitorare questo settore. L'iniziativa portata avanti in collaborazione con la SUPSI risponde all’esigenza di avere un quadro aggiornato della situazione quale supporto informativo per elaborare misure concrete d’intervento da parte dell’ente pubblico nell’ambito degli alloggi a pigione sostenibile.
  5. CAT – Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino.

Articoli correlati