Pel­le, car­ne, os­sa

La ristrutturazione della Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe

Dopo la riparazione di considerevoli difetti strutturali e un aggiornamento tecnico, a partire da agosto la Neue Nationalgalerie di Berlino, opera di Mies van der Rohe, sarà di nuovo accessibile al pubblico. La meticolosa ristrutturazione, affidata allo studio di architettura David Chipperfield Architects, ha richiesto ben cinque anni.

Data di pubblicazione
17-06-2021

140 milioni di euro sono una somma cospicua per la ristrutturazione di un edificio di poco meno di 50 anni. Considerando inoltre che i lavori, cominciati all’inizio del 2016, sono durati fino a oggi, non vi è dubbio che si tratta di un oggetto straordinario.

La Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe a Berlino, progettata dall’architetto nel 1968 e suggestivamente collocata su un basamento di pietra come un antico tempio, è considerata un capolavoro. Il significato di questa sala espositiva in vetro, con il suo monumentale tetto reticolare nero, non risiede semplicemente nella sua forma: la galleria è infatti l’unico edificio realizzato dall’architetto in Europa dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti nel 1938, nonché la sua ultima costruzione in assoluto.

Inoltre rappresenta anche il punto finale del modernismo classico. All’inizio del 1977, a quasi nove anni dalla sua apertura, a Parigi fu infatti inaugurato il Centre Pompidou, progettato da Richard Rogers e Renzo Piano, con il suo provocatorio aspetto tecnicista a struttura reticolare tubolare. A questo punto la sensibilità per il pathos dei gesti di Mies van der Rohe si era persa: il «primo modernismo» era ormai morto.

Molta nuova carne

Nel 2012, nell’ambito di una procedura VOF (Regolamento per le gare di appalto per servizi professionali), la sede berlinese dello studio David Chipperfield Architects si aggiudicò il contratto per la ristrutturazione dell’edificio.

Ma come restaurare un monumento di così alto livello? Smontandolo pezzo per pezzo con la massima cura possibile, riparando o sostituendo dove necessario ogni singolo elemento e infine riassemblando accuratamente il tutto, con la ricollocazione di ogni pezzo al suo posto originale. Sin dall’inizio, tutte le parti coinvolte – conservatori di beni architettonici, committenza, architetti e utenti – erano concordi sull’obiettivo di preservare il più possibile della sostanza originale. Questo impegnativo lavoro di decostruzione dell’edificio fino alla sua struttura grezza era necessario non solo a causa delle sostanze nocive contenute nei materiali edili utilizzati (ad esempio amianto), ma anche perché il cemento della struttura portante e i soffitti dovevano essere rinnovati.

Martin Reichert, partner responsabile del progetto presso lo studio Chipperfield, parla di pelle, carne e ossa: mentre la «pelle», cioè le superfici dell’epoca della costruzione, e le «ossa», quindi la struttura grezza, hanno potuto essere in gran parte conservate, la «carne», vale a dire massetto, intonaco, soffitti a rete portaintonaco, isolamento termico ed elementi in calcestruzzo poroso, ha dovuto essere sostituita, provocando perdite considerevoli ma purtroppo inevitabili.

Decostruzione fino alla struttura grezza

In ogni caso, ovunque possibile – dalle maniglie delle porte alle scrivanie nell’ufficio del direttore, entrambe disegnate da Mies – si è optato per la riparazione invece della sostituzione, lasciando visibili le tracce di quasi mezzo secolo di storia. D’altra parte, i lavandini originali dei gabinetti per il pubblico, che nel frattempo erano stati sostituiti, sono stati fatti riprodurre in una serie limitata. Anche la moquette originale delle sale espositive era scomparsa; gli architetti l’hanno fatta ritessere sulla base di fotografie e campioni ritenuti originali.

Soltanto gli impianti tecnici non visibili dell’edificio, ormai antiquati, sono stati completamente rinnovati. Considerato il numero molto maggiore di visitatori rispetto al 1970 cui devono far fronte oggi i musei, l’efficienza degli impianti di climatizzazione e dell’intera infrastruttura dell’edificio doveva essere migliorata. Così è stato finalmente installato un vero ascensore per il pubblico: prima della ristrutturazione le persone in sedia a rotelle dovevano essere accompagnate dal personale di sorveglianza al piano inferiore con il montacarichi destinato alle opere d’arte.

Si potrebbe pensare che i proprietari dell’edificio, la Stiftung Preussischer Kulturbesitz (Fondazione prussiana per il patrimonio culturale), si siano concessi per il loro Mies una sontuosa ristrutturazione di lusso. Tuttavia, l'opera presentava, dopo quasi cinquant’anni di utilizzo, notevoli danni strutturali, alcuni dei quali «intrinseci al progetto», come afferma diplomaticamente Martin Reichert: Mies avrebbe infatti «prestato più attenzione all’estetica e alle proporzioni che alla funzionalità».

Vetri delicati

Le enormi lastre di vetro della facciata ne sono un buon esempio: per ottenere la massima trasparenza possibile, Mies aveva utilizzato vetri di soli 12 mm di spessore, e questo con formati di 5,40 per 3,43 metri nella sala superiore. All’inizio della ristrutturazione, solo quattro delle lastre di vetro fuso presenti erano originali. Tutte le altre si erano rotte a causa della dilatazione della facciata ed erano state sostituite con vetri suddivisi.

Dopo un’attenta valutazione, i partner del progetto hanno deciso tuttavia di accantonare l’opzione di una vetrata isolante che avrebbe, tra l’altro, reso inutilizzabili i telai esistenti dei pilastri verticali. Hanno optato invece per lastre di vetro di sicurezza stratificato spesse il doppio rispetto a quelle originali, composte da due lastre di 12 mm incollate insieme.

Una pellicola di 3 mm di spessore posta nel mezzo «salda» le due lastre di vetro parzialmente temperato. Si tratta di Ionoplast, un materiale più forte, più rigido e resistente alle temperature rispetto al polivinilbutirrale (PVB). Solo in Cina è stato possibile trovare un produttore che offrisse lastre di questo formato.

Nel corso degli anni, la condensa che si formava sulle lastre di vetro singolo quando la temperatura esterna scendeva sotto i cinque gradi Celsius aveva sensibilmente corroso alcuni telai. In futuro, una cortina di aria sul lato interno della nuova facciata, alimentata da feritoie di ventilazione sul pavimento, ridurrà l’appannamento. Inoltre, l’acqua di condensazione restante sarà asportata in modo controllato tramite scanalature di scolo.

Per motivi estetici si è rinunciato a una maggiore riduzione della trasmissione UV. Essa avrebbe infatti richiesto un rivestimento UV nell’interspazio del vetro, che avrebbe a sua volta provocato un riflesso blu-violetto. Il desiderio di garantire una luce possibilmente naturale e trasparente ha prevalso, a scapito dell’efficienza energetica dell’involucro dell’edificio.

La frequente rottura dei vetri era in gran parte dovuta all’incapacità strutturale della facciata di reagire adeguatamente alle deformazioni provocate dalle variazioni di temperatura. Per rimediare a questo problema, gli ingegneri delle facciate della Drees & Sommer di Stoccarda hanno sviluppato i cosiddetti «pilastri di espansione» in grado di assorbire in modo flessibile i movimenti della facciata. La costruzione è stata eseguita in modo ermetico, impermeabile all’aria e al vapore, per prevenire la corrosione all’interno dei giunti e nelle cavità dei profili.

Come avvenuto per la ristrutturazione del Padiglione Le Corbusier di Zurigo («TEC21», 22/2015), l’approccio meticoloso alla Neue Nationalgalerie, condotto con cura quasi archeologica, ha offerto l’opportunità di riflettere sugli attuali standard di tutela del patrimonio culturale e di esplorare l’intero ventaglio di opzioni a disposizione. «La serietà con cui anche questioni apparentemente marginali di cura del patrimonio culturale sono state discusse da tutte le parti coinvolte è stata una particolarità di questo progetto», afferma l’architetto Martin Reichert. Fortunatamente, i progettisti hanno potuto contare sulla consulenza, tra gli altri, del nipote di Mies, Dirk Lohan, che all’epoca aveva coordinato la realizzazione dell’edificio.

Riverenza invece di prevaricazione

Solo in due punti del piano interrato sono state apportate modifiche visibili: per poter gestire gli attuali flussi di visitatori, nella superficie di due ex magazzini sono stati allestiti un guardaroba per il pubblico e un negozio per il museo. Affascinanti in questi locali sono il soffitto in calcestruzzo a vista e i possenti pilastri, che nel resto dell’edificio sono celati da rivestimenti.

Gli infissi, quali armadi e banconi, si ispirano invece all’arredamento del progettista originario, che è stato imitato in modo creativo – inclusi gli «angoli Mies» sugli spigoli esterni degli armadi del guardaroba. Questo è notevole: solo 15 anni fa i conservatori dei beni architettonici di Berlino avrebbero insistito su infissi che si distanziassero chiaramente dagli elementi originali dell’edificio, specialmente in un'opera così importante.

I Musei statali di Berlino sono convinti che, dopo questa ristrutturazione molto discreta, l’edificio sia pronto per affrontare ulteriori cinquant’anni di utilizzo intensivo. Dopotutto, Mies stesso si era raccomandato vivamente con i suoi studenti di Chicago: «Non si può inventare una nuova architettura ogni lunedì». Alla Potsdamer Strasse ciò vale anche per la sua sostanza fisica.

La Neue Nationalgalerie aprirà nuovamente i battenti il 22 agosto 2021.


Traduzione di Sofia Snozzi

Approfondimenti

 


Partecipanti ai lavori

 

Committente
Stiftung Preussischer Kulturbesitz, rappresentata dal Bundesamt für Bauwesen und Raumordnung (BBR)

 

Architettura
David Chipperfield Architects Berlin con BAL Bauplanungs- u. Steuerungs GmbH

 

Direzione lavori
KVL Bauconsult GmbH, Berlino

 

Architettura del paesaggio
TOPOS Stadtplanung, Landschaftsarchitektur und Stadtforschung, Berlino

 

Fatti

 

Procedura di appalto
Procedura di appalto VOF (Regolamento per le gare di appalto per servizi professionali) 2012

 

Superficie lorda
ca. 14'000 m2

 

Superficie d'uso
9'200 m2

 

Costi totali
140 milioni di euro

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