Re­cen­sio­ne a «An­thos», 1/2020: «Ein­si­ch­ten-Au­sblic­ke/ Éclai­ra­ges-Per­pec­ti­ves»

Questo quaderno costituisce una bella riflessione su come la Federazione Svizzera Architetti Paesaggisti ha saputo portare il tema del paesaggio nel dibattito sulla sistemazione del territorio e degli spazi liberi, così come sulle relazioni tra le diverse discipline di progetto.

Data di pubblicazione
18-11-2020

In questo numero di «Anthos», l’organo della Federazione Svizzera Architetti Paesaggisti (FSAP), numerosi autori hanno portato il loro sguardo sulla pratica dell’architettura del paesaggio in Svizzera. Con articoli tematici, contributi brevi e diversificati, e la trascrizione dell’esito di due tavole rotonde, questo quaderno costituisce una bella riflessione su come la FSAP ha saputo portare il tema del paesaggio nel dibattito sulla sistemazione del territorio e degli spazi liberi, così come sulle relazioni tra le diverse discipline di progetto.

Dalla lettura degli articoli emergono diversi temi. Uno di essi riguarda la storia dell’architettura del paesaggio in Svizzera. Nel nostro paese la moderna architettura del paesaggio ha preso avvio dopo la seconda guerra mondiale e, nel corso di pochi decenni, è divenuta una disciplina estremamente matura. Un ruolo importante nella sua affermazione è stato svolto dalle mostre di giardinaggio e dalle fiere orticole, in particolare G 59 svoltasi a Zurigo e Grün 80 che ha avuto luogo a Basilea. Ed è proprio al seguito del successo della prima che, nel 1962, nacque «Anthos», una vetrina che è riuscita a diffondere nuovi temi nella professione. Il paesaggismo svizzero si qualifica per la sua concezione razionale, l’elegante profondità dei dettagli, una solida struttura e una pertinenza ecologica. Il lavoro di figure quali Dieter Kienast (la figura tutelare), a cui si aggiungono altri nomi quali Günther Vogt, Guido Hanger, Rainer Zulauf, Paolo Bürgi, Georges Descombes, Stefan Rotzler e altri ancora, ha avuto un impatto significativo, anche sulla scena internazionale.

Considerazioni interessanti riguardano poi gli approcci su cui si fonda la pratica dell’architettura del paesaggio. Guadagnando in diversità, i campi tematici della disciplina sono migrati dal giardino al paesaggio, sino al paesaggio urbano. Il cambiamento di denominazione dell’organizzazione dei paesaggisti da «Federazione svizzera degli architetti del giardino» a «Federazione svizzera degli architetti paesaggisti» è, a questo proposito, significativo. Occorre dire che, rispetto ad altre pratiche di trasformazione dello spazio, le gerarchie sono diverse, citando Jan Gehl: dapprima la vita, poi lo spazio, in seguito l’architettura. Nella pratica di trasformazione dello spazio occorre prestare attenzione anche alla scala territoriale e praticare un «urbanismo vegetale» capace di partire dal paesaggio; ciò permette, come sottolinea Natacha Guillaumont, di disegnare efficacemente il mondo periurbano e la campagna. La questione del mutamento climatico, tema che gli architetti del paesaggio proponevano di considerare da tempo, è ora diventata improvvisamente importante. Anticipare e accompagnare i cambiamenti climatici fa oggi parte della loro missione. Dunque l’architettura del paesaggio è una disciplina che si è aperta a scale e a dimensioni diverse permettendo così di ritematizzare la questione territoriale e proponendo modelli di intervento liberi da tradizioni troppo pesanti.

Nelle pagine di questo numero di «Anthos» è presente una ricca riflessione sulla pratica della professione di paesaggista e sulla formazione nell’ambito dell’architettura del paesaggio. Per la complessità degli elementi in campo, questa professione ha assunto un carattere pluridimensionale: occorrono specialisti capaci di pensare a progetti complessi, di assicurare la gestione e la mediazione, di dar vita a narrazioni e di osare visioni. Per concludere, facciamo notare che questa uscita testimonia anche di un grande paradosso. Infatti, in un momento in cui l’architettura del paesaggio ha raggiunto una visibilità e un certo prestigio (sembra anche essere «alla moda»), si chiude la pubblicazione – perlomeno sotto questa forma – che la rappresenta, e ciò per le difficoltà nelle quali si trova oggi la carta stampata.

«Archi» 5/2020 può essere acquistato quiQui si può leggere l'editoriale.

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