Pro­dur­re pae­sag­gi

Editoriale – «Archi» 1/2021

Oggi le regioni alpine sono segnate dalle infrastrutture: dighe, antenne, parchi eolici, centrali idroelettriche, nodi viari contribuiscono a trasformare il paesaggio in paesaggio tecnologico. «Archi» sonda questi luoghi, interrogandosi sullo statuto del paesaggio oggi e sul suo rapporto con la nozione di territorio.

Data di pubblicazione
15-02-2021

«Il paesaggio naturale non è solo l’elemento orientatore, è anche l’elemento ordinatore dell’assetto territoriale».
Aurelio Galfetti, 1996

Negli ultimi due secoli la regione alpina – una volta considerata un frammento di natura selvaggia – è stata fortemente addomesticata seminando ovunque interventi infrastrutturali che l’hanno trasformata in un paesaggio culturale. Sono così scaturiti paesaggi della comunicazione, costituiti da antenne e tralicci; paesaggi idroelettrici, tramite l’edificazione a grande scala di dighe e bacini idrici artificiali; paesaggi della mobilità, tracciati in grado di ridurre tempi e distanze ridisegnando l’assetto territoriale, ma anche paesaggi eolici, localizzati in zone ventose adatte all’installazione di aerogeneratori dai tratti essenziali.

Ascolta la co-curatrice Valeria Gozzi che presenta «Archi» 1/2021 ai microfoni di Rete Due

Sono tutti paesaggi tecnologici che rispondono a esigenze strategiche rivelando la loro potenzialità economica e industriale, la cui costruzione ha richiesto ricercati accorgimenti tesi a conquistare il consenso, processi logistici complessi e difficili trattative con gli enti coinvolti. In essi la morfologia dei fabbricati a cielo aperto – di solito minoritari rispetto al prevalere degli interventi sotterranei – e la variazione della topografia come risultato della movimentazione dei materiali estratti costituiscono solo alcune delle tante variabili che determinano il loro impatto ambientale.

Questi artefatti funzionali pongono inoltre agli studiosi del paesaggio una serie di problemi interpretativi, a cui si accenna nei saggi presentati. Come è noto, a partire dal XV secolo si è progressivamente delineato un comune «codice dello spazio» che ha orientato sia la produzione territoriale che la sua percezione individuale. Un codice collettivo che di fronte alle serrate trasformazioni della modernità è entrato in crisi nel Novecento evidenziando la fragilità degli equilibri precedenti. «Ora siamo messi a confronto con una realtà molto articolata – avverte Ferrata – in cui infrastrutture di diverso genere hanno acquisito un posto preponderante e configurato il territorio: una diversità dei paesaggi che non fa che riflettere la condizione ordinaria del mondo che ci circonda»; aprendo quindi degli interrogativi sulla relazione che queste opere intrattengono con i paesaggi, sul modo in cui alterano i sistemi di relazioni spaziali o i processi di territorializzazione. Ma come leggerli e da dove attingere nuovi codici spaziali? Qual è la differenza tra paesaggio e territorio?

Ciò che distingue questi concetti – ha ribadito Jakob in L’architettura del paesaggio – è proprio la «qualità estetica» del primo, «ogni tentativo di “oggettivarlo” o di identificarlo con un territorio da mappare non può che portare a una semplificazione del fenomeno», all’errore dunque di considerare il paesaggio come «una estensione terrestre misurabile e descrivibile in termini quantitativi (...)». Se il paesaggio è una rappresentazione mentale dei processi di territorializzazione, il destino dei paesaggi infrastrutturali sarà inesorabilmente il declino e la sostituzione con tecniche ottimizzate: «i paesaggi abbandonati delle vecchie territorialità possono così diventare materia prima per la costruzione di altri paesaggi» – segnala ancora Ferrata –, occasioni d’interesse per la progettazione contemporanea.

Nei territori fortemente antropizzati il progetto infrastrutturale conferisce ai luoghi nuovi significati; nei migliori esempi ticinesi esso è infatti strumento di riqualificazione ambientale, concepito come figurazione unitaria in una logica operativa interdisciplinare che interpreta la specificità del paesaggio in cui incide, senza trascurare la dimensione spaziale e la sua valenza formale.

Le antenne di telecomunicazioni del Monte Matro, di Arbedo-Castione e del Monte Tamaro costruite a «misura di territorio», il parco eolico del San Gottardo, la nuova centrale idroelettrica del Ritom, lo svincolo autostradale di Mendrisio o il prototipo della torre Energy Vault che cresce e decresce nella periferia di Bellinzona sono le infrastrutture illustrate da «Archi» nelle prossime pagine. Attraverso i principi che hanno guidato la loro progettazione, è possibile accennare al tipo di rapporto che questi manufatti stabiliscono con il paesaggio in cui fanno irruzione. Come spiegano i contenuti del numero, il paesaggio è un fenomeno ibrido, antropomorfo ed effimero, esiste solo come «sguardo mutevole sulla realtà naturale», la sua sostanza risiede nella continua «fabbricazione materiale dello spazio». È quindi nell’ambivalenza fra tutela e trasformazione che si definisce l’orizzonte in cui evolve ogni riflessione progettuale sul paesaggio.

In questo numero, a proposito di paesaggi tecnologici:

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