Cam­pus dif­fu­si co­me lear­ning ci­ties

Editoriale – «Archi» 2/2021

In occasione del completamento delle nuove sedi di USI e SUPSI a Lugano-Viganello e della SUPSI a Mendrisio, il numero 2/2021 di «Archi», a cura di Franco Gervasoni e Graziella Zannone Milan, affronta un tema di particolare attualità nello scenario nazionale e internazionale: i campus universitari quali catalizzatori di rigenerazione architettonica e urbana.

Publikationsdatum
12-04-2021

«L’università di massa è alla ricerca di un nuovo modello che già si configura radicalmente diverso dai precedenti: non è più una isolata guarnigione culturale, è una trama specifica ma non necessariamente emergente di una tessitura più generale che coinvolge tutti gli aspetti della vita associata».

Giancarlo De Carlo, 1968

Una notevole crescita quantitativa e qualitativa ha contraddistinto negli ultimi due decenni la SUPSI e l’USI all’interno del panorama universitario elvetico ed europeo. Il forte radicamento nel tessuto economico e sociale ticinese, l’indispensabile apertura internazionale e una sinergia istituzionale che ha trovato nella complementarietà il suo punto di forza hanno portato – con il sostegno della Confederazione, del Cantone e dei Comuni implicati – alla realizzazione dei nuovi campus di Lugano-Viganello (Tocchetti Pessina Architetti) e di Mendrisio (Bassi Carella Marello Architectes), mentre un terzo complesso universitario è previsto nelle vicinanze della stazione di Lugano (Cruz & Ortiz e Giraudi Radczuweit).

Podcast – Graziella Zannone Milan, co-curatrice di «Archi» 2/2021, presenta il numero

È il risultato di una strategia lungimirante che punta a riversare in ambito locale risorse e competenze, promuovendo lo sviluppo di differenti campi disciplinari che riguardano la formazione e la ricerca.

Dopo un complesso iter progettuale – descritto nei testi di Gervasoni e Iacobucci – questo primo traguardo si è concretizzato tramite diverse tipologie di concorso che, malgrado qualche criticità, hanno garantito il buon esito dell’operazione. Entrambi i poli universitari illustrati nelle prossime pagine danno risposta a obiettivi programmatici saldamente ancorati a parametri di sostenibilità ambientale: mobilità pubblica favorita dalla localizzazione in zone a elevata accessibilità, ubicazione in contesti urbani che incentivano la permeabilità e gli interscambi con la cittadinanza, razionalità energetica, gestionale e di manutenzione, senza dimenticare le infrastrutture digitali d’avanguardia e l’implementazione di sistemi edilizi innovativi nel processo costruttivo degli stessi fabbricati. «Archi» coglie dunque questa occasione per affrontare un tema di particolare attualità nello scenario nazionale e internazionale: i campus universitari quali catalizzatori di rigenerazione architettonica e urbana.

Considerando il modello di campus universitario diffuso inserito nell’assetto territoriale policentrico della nuova «Città Ticino», è possibile riprendere la nozione di campus virtuale a cui accenna Irace esaminando la nuova «cittadella universitaria» dell’Università Bocconi di Milano: non un’enclave autosufficiente esterna alla città come nel caso dei campus anglosassoni, ma un tipo di insediamento stratificato, definito dal susseguirsi nel tempo di architetture d’eccellenza (Pagano, Muzio, Gardella, Grafton Architects, SANAA, solo per citare gli episodi più rilevanti costrui­ti a partire dagli anni Trenta). Un nucleo fondativo integrato nel tessuto urbano che si espande per successive addizioni in funzione delle esigenze, riutilizzando il patrimonio edilizio esistente o costruendo ex novo in zone periferiche; una modalità di aggregazione fatta propria dai principali atenei del capoluogo lombardo. Ma gli interventi di potenziamento delle strutture universitarie, che si moltiplicano anche nel resto della Svizzera interagendo con la città, non accolgono solo aule e laboratori per la didattica, uffici e servizi: il programma si arricchisce con spazi comuni di socializzazione, attrezzature culturali e sportive, piazze, giardini, studentati.

Come dimostra un’ampia bibliografia specialistica, è proprio l’interpretazione dello student housing che oggi registra una significativa evoluzione: il superamento della visione tradizionale del «dormitorio universitario» mira alla multifunzionalità come strumento di apertura verso il contesto di riferimento. Nel caso italiano, infatti, la sperimentazione avviata nell’ultimo ventennio attraverso procedure progettuali e organizzative in partenariato pubblico/privato sta dando risultati incoraggianti di fronte all’esigenza di definire nuovi modelli abitativi, economici e flessibili, che – oltre a tutelare il diritto allo studio – siano in grado di influenzare positivamente le dinamiche immobiliari del settore residenziale. In Svizzera invece – stando all’analisi di Frank e Yerli –, nonostante alcuni esempi virtuosi, la questione non ha raggiunto lo stesso livello di riflessione rispetto a quello apportato negli spazi per l’insegnamento e la ricerca; occorre dunque constatare che le problematiche legate all’abitazione studentesca non sono state segnate dall’innovazione.

Forse in prospettiva questo aspetto potrebbe destare interesse nel dibattito ticinese su un equo accesso all’istruzione e all’alloggio, e quindi sulla Terza missione dell’università come elemento propulsore di trasformazione e rinnovamento collettivo.
 

In questo numero, a proposito di campus universitari:

Approfondimenti da espazium.ch:

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