AAM-USI: un cam­pus in di­ve­ni­re

Intervista a Riccardo Blumer

Riccardo Blumer, che sta raggiungendo la fine del suo mandato di direttore dell'Accademia di architettura di Mendrisio, racconta lo sviluppo del campus negli anni, estesosi fino a diventare parte integrante della città.

Data di pubblicazione
03-05-2021

Dal 1996, anno della sua fondazione, l’Accademia di architettura ha progressivamente dato forma a un campus universitario appena al di fuori del centro storico di Mendrisio, prendendo innanzitutto possesso di edifici già esistenti (Villa Argentina e Palazzo Turconi, due architetture neoclassiche progettate rispettivamente dagli architetti Antonio Croci e Luigi Fontana nell’Ottocento) e realizzando nuovi edifici come la piccola costruzione in legno di Aurelio Galfetti e Mario Botta, all’inizio pensata come aula polivalente e poi riconvertita a biblioteca dall’architetto Peter Disch, e il Palazzo Canavée (degli svizzeri Amr Soliman e Patrik Zurkirchen). Questo sistema di uffici, spazi didattici, amministrativi e di altro tipo, è evoluto negli anni, spostando ciclicamente il proprio baricentro in modo da adattarsi a nuove funzioni e ambizioni. E nuovi ospiti: nel 2018 è stato inaugurato il Teatro dell’architettura, che fonde insieme spazi espositivi e per la didattica. Tale processo è tutt’oggi in corso, con progetti appena terminati, arenati o in via di definizione. Ne abbiamo parlato con Riccardo Blumer, direttore dell’Accademia che nel 2021 conclude il suo mandato e può quindi fare un bilancio degli obiettivi raggiunti, delle occasioni mancate e delle prospettive future.

Gabriele Neri – Cominciamo dal Teatro dell’architettura, inaugurato all’inizio del tuo mandato, nel 2018: un nuovo organismo che è entrato nel «campo magnetico» del campus e in realtà in quello più allargato del Ticino. In che modo ha cambiato equilibri e prospettive di un’istituzione come l’Accademia, e forse anche oltre?
Riccardo Blumer – L’ingresso del Teatro nel nostro campus è ancora in itinere. Il suo arrivo ci ha fatto ad esempio toccare con mano la situazione museale del Mendrisiotto, che fino al nostro arrivo era piuttosto scollata. Grazie al Teatro abbiamo innescato una specie di «programma di visibilità» del sistema museale, fino a creare una rete dei musei del Mendrisiotto. Adesso esiste anche un sito con una comunicazione comune. È una bella cosa, perché così si mettono insieme realtà diverse: un museo universitario come il nostro, due musei comunali (Museo d’arte di Mendrisio e m.a.x. museo di Chiasso), la Pinacoteca cantonale Giovanni Züst e il Museo Vincenzo Vela, che è della Confederazione. Quindi il Teatro ha provocato una sinergia più allargata che va messa in atto, come stiamo facendo, ma un’altra riflessione si può fare pensando che un edificio da solo non basta.

Davanti al Teatro vediamo ancora oggi l’ormai «vecchia» biblioteca, appena trasferita nel Palazzo Turconi. Che cosa ne sarà di questa piccola costruzione, che nonostante le dimensioni e il carattere precario ha fatto per anni parte dell’immaginario collettivo di questa parte di Mendrisio?
L’edificio rimarrà con noi ancora per un anno circa; per ora non sarà rimosso per via dell’emergenza Covid, dato che abbiamo bisogno di spazi per la didattica: sarà utilizzato come aula, che alla fine era la sua prima funzione. Poi andrà non sappiamo ancora dove, per diventare un’aula polivalente. È un bell’edificio, progettato da Galfetti con Mario Botta, con una struttura sperimentale a incastro in legno…

Ci mancherà.
Sì, ma tutto questo ci riporta a un importante tema architettonico: il Teatro, in questo momento, è nascosto: è un edificio pubblico che non ha un affaccio pubblico. Questo non gli permette di confrontarsi con il luogo della vita pubblica, cioè la strada, perché la presenza della «vecchia» biblioteca lo nasconde. Nel futuro prossimo invece sarà creato un viale di accesso, dove ora c’è la biblioteca, che diventerà parte di un sistema più organico, uno spazio pubblico dove sarà possibile fare installazioni e altre attività. Allora il Teatro avrà finalmente una piazza davanti. Questo ampio sistema è in corso di progetto da parte del Comune di Mendrisio, e tiene dentro la piazza dell’ospedale (con il nuovo ampliamento oggi in costruzione), il Teatro, Palazzo Turconi e il fronte strada. L’intera zona dovrebbe diventare un’area a velocità ridotta, quasi pedonale. Il parcheggio dell’ospedale dovrebbe avere ingresso e uscita dalla stessa parte, in modo da fermare il traffico fuori da questa zona per chi arriva da Chiasso. Diventerà un sistema pubblico molto interessante, come una grande piazza allargata, con alternati spazi «verdi» e «minerali», cioè composti da natura e costruito, su progetto del bravissimo paesaggista ticinese Paolo Bürgi. Tutta quell’area, che chiamerei davvero una «piazza», sarà molto importante, perché sposta un po’ l’equilibrio dal parco della Villa Argentina, che attualmente è la parte più pubblica della scuola. Tante cose le facciamo lì: ad esempio le cerimonie dei diplomi. In questo momento è il parco la nostra piazza, perché non abbiamo uno spazio altrettanto generoso che metta in comunicazione i vari edifici.

Da non dimenticare la recente ristrutturazione del «Vignetta», che con il rinnovamento del bar/ristorante e l’inserimento di uffici nel fabbricato che si affaccia su via Turconi ha spostato il baricentro della vita comunitaria da Palazzo Canavée (dove c’era prima la caffetteria) verso il Teatro e il Turconi, dove tra l’altro è prevista la costruzione di nuovi atelier su progetto degli architetti Daniel Buchner e Andreas Bründler di Basilea, vincitori del concorso del 2015. A che punto è quest’ultimo progetto?
Avrebbe dovuto essere già quasi finito a quest’ora, ma i lavori sono stati bloccati dai ricorsi. Siamo per vie legali. Averlo avuto adesso, con la necessità di dilatare gli spazi creata dal Covid, sarebbe stato un grande vantaggio per l’Accademia. Eravamo già stretti prima… Ma sul fronte del Vignetta si sta anche lavorando con il Comune sul fabbricato che divide questa zona dalla Villa Argentina, per ripristinarne l’uso e collegare i due ambiti nel modo giusto e corretto. Questo aiuterebbe molto nella creazione di un sistema permeabile. Si avrebbe così un sistema verde, di giardini, composto da parco/Vignetta/Villa Argentina/Canavée, e invece un altro sistema che si può definire «minerale» composto da Turconi/Teatro/ospedale. È bello, perché tu hai su di un’area pubblica delle funzioni pubbliche estremamente importanti: ospedale, museo, scuola: se costruisci una nuova città parti da questi elementi…

Il campus non è insomma un’appendice isolata, ma una parte ormai coesa e necessaria rispetto all’intero sistema urbano, che si è venuta a creare negli ultimi quarant’anni, dalla costruzione del nuovo ospedale negli anni Ottanta fino alla fondazione dell’Accademia e ai suoi sviluppi successivi.
È proprio il grande tema delle espansioni delle città moderne: già Palazzo Turconi, che era un ospedale, nell’Ottocento mostrava la necessità di uscire dal centro e costrui­re al di fuori, creando una città pluricentrica. In questo senso, il nuovo spazio pubblico che si verrà a creare sarà fondamentale. Non ci sarà più una vera e propria strada, ma un sistema unico in cui l’automobile è quasi un po’ spaesata (ride): la macchina è un intruso; il pedone è protagonista.

C’era l’idea di spostare la scultura di Niki de Saint Phalle – ormai un simbolo per l’Accademia – dalla sua collocazione attuale all’ingresso del Turconi.
L’idea del suo spostamento è tramontata, perché sarebbe molto complesso, per tante ragioni, a cominciare da quelle relative al suo necessario restauro. Da un lato a noi piange un po’ il cuore, perché c’è un leggero degrado che deriva proprio dall’esposizione all’esterno. Ma dall’altro, quello è il suo posto perfetto. E poi se la togli, ormai, ci dovresti mettere qualcos’altro: sarebbe forse un edificio troppo austero senza questa presenza.

Così questa creatura colorata continuerà a salutare gli studenti al loro ingresso nel Turconi, oggi diventato la nuova biblioteca dell’Accademia.
La nuova biblioteca è bellissima. Quella «vecchia» è sempre stata un edificio aggiunto e provvisorio, aveva questo sapore. Ora invece, quando ci entri senti che è uno spazio progettato proprio per essere una biblioteca, e anche tutta la corte del Turconi prende senso, diventa la zona dove avviene la lettura, come nelle migliori biblioteche.

Tra qualche mese finirà il tuo mandato come direttore. C’è qualcos’altro che avresti voluto fare, rispetto alla conformazione del campus?
Ritorno al punto di prima: l’organizzazione della parte davanti al Teatro è la cosa più importante, anche perché attualmente la nostra aula magna è al piano interrato del Tea­tro e per arrivarci devi fare percorsi non adeguati: dall’interno del Turconi devi scendere sottoterra, oppure usare la passerella tra il Turconi e la «vecchia» biblioteca. Va tolto quel senso di «scappatoia» che c’è oggi, che mi dà molto fastidio. Ma non c’erano alternative: anche il progetto di questo collegamento provvisorio è stato molto complesso. D’altra parte, il Teatro poteva essere messo solo lì. Quando avrà il suo ingresso, avrà finalmente un’immagine architettonica potente.

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