Pro­get­ti di in­ter­ni sul­la "Scuo­la che ver­rà"

Progetti di ieri e di oggi per costruire l'università di domani

Per una classe del Bachelor in Architettura d’interni della SUPSI e i loro docenti di progetto, quale occasione migliore che l’inserirsi con delle proposte progettuali nella riflessione relativa a una riforma della scuola media, che mira da una parte a rappresentarsi come istituzione in modo rinnovato e dall’altra a individuare forme di relazione didattica flessibili e modulari.

Publikationsdatum
04-10-2017
Revision
09-10-2017
Pietro Vitali
Architetto dipl. ETH, responsabile del corso di laurea in Architettura d'interni della SUPSI

Il risvolto immediato è la possibilità data ai giovani progettisti di confrontarsi da subito con questioni di carattere ed espressività degli spazi, esigenze funzionali nuove da concepire in strutture preesistenti.

Fondamentale per il lavoro degli studenti è stata l’occasione di porsi in relazione con un committente consapevole dell’importanza che l’immagine progettuale dei nuovi spazi assume per illustrare al meglio ciò che il gruppo di lavoro propone in forma testuale.

Già il gruppo di lavoro del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) ha dal suo punto di vista cercato di individuare modelli di riferimento anche architettonici per avere una visione globale e scientificamente fondata dell’esistente. Allo stesso modo è consuetudine per gli studenti affrontare il progetto raccogliendo e studiando esempi preesistenti nella storia, relativi sia al contesto in presenza – per porsi in relazione al luogo concreto –, sia al contesto in assenza per costruire una nuvola di immagini che possa dar corpo ai caratteri spaziali e alle soluzioni funzionali costruttive delle nuove proposte.

L’operatività costruttiva deve inevitabilmente cimentarsi in modo razionale e proficuo con edifici già costruiti. Alcuni hanno, nelle loro concezioni strutturali-costruttive, come matrice la volontà di adeguarsi all’evoluzione delle necessità d’uso, altri sono più tesi a rappresentare in modo esplicito l’immagine e la forma di un modello di scuola e di istituzione a loro contemporaneo e che già ora è ampiamente evoluto e ancor più si vuol fare evolvere. Questa fissità nel tempo, nei casi migliori, ha assunto il carattere di Bene culturale, protetto proprio in forza del ruolo di memoria storica che rappresenta.

Per questa varietà delle preesistenze, si sono individuate due sedi di scuola media, non solo agli antipodi dal punto di vista geografico, ma anche perché interpreti dei due modelli citati «modulare» e «monumentale»: Biasca e Mendrisio.

È proprio della pratica dell’architetto d’interni lavorare sulla prossimità che il fruitore degli spazi coglie con tutti i sensi, attraverso la forma degli invasi, la dinamica dei percorsi che si strutturano mediante le dimensioni, la luce naturale e artificiale, il colore, la percezione tattile e tutti gli altri infiniti aspetti dei materiali e dei rivestimenti. Tutti questi stimoli si percepiscono attraverso il linguaggio proprio dell’architettura e interagiscono con la nostra corporalità e la nostra cultura.

Nel formulare i temi specifici da assegnare allo studente, ci si è rifatti al modo narrativo con cui il gruppo di lavoro del DECS descrive le diverse situazioni nel fascicolo di presentazione della riforma. In assenza di un programma non ancora definito come rigido elenco di funzioni e relative metrature necessarie, si è supplito con la sintetica descrizione di scene di vita scolastica da ambientare in zone degli edifici designati. Questa strategia ha permesso di affrontare subito i temi con l’obiettivo di dar corpo a proposte che fossero veramente esemplificative di possibili casi specifici. Le soluzioni scaturite sono comunque molto aderenti a una possibile realtà e risolte tanto dal punto di vista espressivo quanto da quello costruttivo e funzionale.

La permeabilità maggiore fra gli spazi è uno dei presupposti espressivi dei nuovi progetti. Sono stati individuati due grandi gruppi di temi: gli spazi didattici strutturati e gli spazi comuni. Gli spazi comuni attualmente sono considerati alla stregua di percorsi di raccordo, zone di transito o sosta breve senza particolari connotazioni se non per le strutture di servizio come gli appendiabiti e gli armadietti, e con eventuali arredi lasciati all’iniziativa dei più intraprendenti fruitori. Questi luoghi «dei passi perduti» sono quelli a cui in genere è affidato l’austero compito di rappresentare l’istituzione: qui le voci riverberano, la scelta dei materiali come impone «il manuale» è improntata all’ottimizzazione delle pulizie, al contenimento dei vandalismi e al flusso sicuro degli allievi. Mentre i progetti arredano di luoghi raccolti e di carattere domestico i lunghi corridoi. Questi spazi rispondono a esigenze che diventano importanti più in generale per favorire la socializzazione, e in particolare per lo studio individuale o di piccoli gruppi o come estensione/decentralizzazione della biblioteca d’istituto, finalizzati a stabilire un rapporto più informale con il libro, la rivista o il tablet.

La maggior «domesticità» dei luoghi è la cifra stilistica che spesso ritorna sia nelle richieste che nelle risposte progettuali alla ricerca di un rapporto più «sciolto» e meno strutturato fra docente e discente. Questi progetti degli spazi comuni evocano spesso luoghi altri, avulsi dalla scuola: giardini d’inverno, arredi urbani, soggiorni di casa nel tentativo di avvicinare la scuola alla domesticità, infrangendo i confini, aprendo il tempo dello studio ad altre situazioni. Sono territori già esplorati dalle multinazionali del virtuale con intenti produttivi che qui vogliono anche ridurre la dualità casa-scuola, nel desiderio anche di accrescere un’alleanza educativa fra i due ambiti.

Gli spazi didattici strutturati richiedono diverse tipologie e dimensioni che devono conformarsi di volta in volta alle nuove forme di relazione didattica. Tra quelle che la riforma promuove, vi possono essere per esempio due classi raggruppate con uno o più docenti impegnati in lezioni frontali o particolari, oppure una parte della classe che svolge in modo autonomo una ricerca o ancora un gruppo di studenti impegnato a discutere con il docente. Tutte queste molteplici situazioni richiedono in generale maggior flessibilità o articolazione agli spazi.

Le aule specialistiche sono state oggetto di riflessioni che hanno portato a una caratterizzazione riferita alle future professionalità a cui le materie preparano e che vanno dall’aula di educazione musicale che diventa, con elementi di arredo fisso, la scena di un piccolo teatro, all’aula di attività artistiche affiancata da una galleria espositiva accessibile dall’esterno. Se da una parte la biblioteca si espande negli spazi di transito e ricreazione, in altri progetti ingloba luoghi di lavoro mediante la formazione di postazioni per lo studio individuale nei sistemi di scaffalatura.

La personalizzazione che spesso compare negli spazi, con affissioni, scritte e oggetti d’arredo estemporanei, dice del bisogno di molti utenti di fare proprio lo spazio e svela il disagio verso luoghi di difficile identificazione e con un’immagine stereotipata. In molte soluzioni studiate si è cercato di offrire a questa importante necessità la possibilità di esprimersi in forme strutturate da elementi architettonici che siano in grado di accogliere nel sistema di arredi fissi queste necessità di personalizzazione dello spazio. Nei progetti si è approfondito lo studio di elementi spaziali o d’arredo che richiamano il legame con il luogo e il territorio cui la sede fa riferimento e più in generale gli sguardi sul paesaggio sono entrati nella dinamica di sguardi dall’interno all’esterno.

Anche i locali destinati ai docenti sono stati pensati in funzione dello sviluppo di una cultura collaborativa all’interno del sistema formativo e questo richiede spazi non solo finalizzati a riunioni formali «attorno a un tavolo», ma anche la possibilità di relazioni più distese e conviviali.

Si sono cercate soluzioni anche a situazioni come le occasionali visite di genitori che spesso arrivano a scuola per un colloquio non sempre agevole con il corpo insegnante. Le soluzioni hanno mirato a ridurre la distanza fra gli interlocutori e fornire la necessaria riservatezza ai colloqui.

In conclusione, possiamo dire che la giovane età degli studenti ha favorito un’empatia particolare al tema e il loro conseguente impegno progettuale e creativo, ciò che ha sicuramente permesso l’elaborazione di una paletta di modelli e soluzioni che riassumono non solo le necessità, ma anche lo spirito delle innovazioni proposte dalla riforma.

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