«I con­cor­si so­no la miglio­re stra­da ver­so la qua­li­tà»

Gli edifici delle ambasciate, oltre a svolgere molteplici funzioni, sono anche i biglietti da visita della Svizzera. Quali valori devono esprimere, e con quale linguaggio architettonico? Un'intervista sul valore – per la Baukultur – del concorso di progetto.

Publikationsdatum
14-12-2020

Judit Solt – La Confederazione svizzera ha una rete di oltre 170 rappresentanze, che occupano oltre 300 immobili di sua proprietà, in cui il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) tutela gli interessi elvetici all’estero. Realizzare e mantenere gli edifici spetta all’Ufficio federale delle costruzioni e della logistica (UFCL), che in quanto committente svolge un compito particolarmente impegnativo: le rappresentanze all’estero devono infatti soddisfare non solo esigenze generali di funzionalità, economicità o estetica ma anche una serie di requisiti specifici. Uno di essi è che le ambasciate, a mo’ di biglietti da visita della Svizzera all’estero, esprimano valori elvetici; di che valori si tratta?
Hanspeter Winkler – Riserbo e consapevolezza di sé, adatti al ruolo di mediatrice che ha la Svizzera nella diplomazia internazionale. E ciò a cominciare dalla scelta dell'area: molte nostre rappresentanze sorgono in quartieri di ambasciate. Programma degli spazi e arredamento, tuttavia, non puntano allo sfarzo: danno un’impressione di pregio, accuratezza e voluta progettualità, ma sempre in un rapporto rispettoso col contesto.
Jodok Brunner – La varietà culturale è una componente essenziale dell’identità svizzera, così come l’apertura al mondo e l’internazionalità. Scopo delle ambasciate è trasmettere questi valori, fra l’altro confrontandosi su un piano architettonico elevato col contesto culturale, climatico, economico e politico del paese ospite. Ciò vale, del resto, non solo per gli edifici ma anche per i loro spazi esterni: i giardini sono molto importanti.
Marianne Jenni – La Svizzera si presenta all’estero aperta al mondo, moderna e innovativa, ma mostrando anche un atteggiamento di riserbo, di un’eleganza discreta. Contatti personali e discussioni d’affari dovrebbero svolgersi in un quadro adeguato al nostro paese e sottolinearne l’immagine nel senso auspicato. L’elveticità è una componente centrale, ma qui non vogliamo cadere in stereotipi: si tratta non solo di favorire l’arte, il design o i mobili prodotti in Svizzera, ma anche di trasmettere valori elvetici o in rapporto con la Svizzera. Nei locali di rappresentanza si ricorre ad hoc, per i pezzi d’arredamento più visibili, a design e mobilio svizzeri.

Gli edifici delle ambasciate sono strumenti della diplomazia, quindi è importante che il paese ospite li interpreti in modo corretto. Ma da certi colori, forme e materiali nascono associazioni che hanno connotati culturali, e il significato dei simboli varia a seconda dei paesi. Come ci si può accertare che l’ambasciata – «edificio» ma anche «messaggio» – venga compresa correttamente? Come si determina il linguaggio architettonico adeguato?
Winkler – In un processo iterativo. Per tutti i nostri edifici adottiamo una procedura di concorso, nel caso ideale un concorso aperto. Ciò comporta un’accurata preparazione del bando, a cui partecipa – in quanto futuro utente – anche il DFAE. In tale sede definiamo con grande precisione le condizioni quadro e i requisiti dello stabile, lasciando invece apertissime le modalità con cui raggiungerli; ogni team dovrebbe progettare liberamente. Quanto più ampia è la gamma delle soluzioni presentate, tanto più produttivo è il dibattito per scegliere il progetto vincitore. In materia di linguaggio architettonico noi non abbiamo norme o, come avviene in parte per altri paesi, canoni prefissati all’insegna di uno stile nazionale. Ovviamente abbiamo direttive interne di massima: la croce svizzera, ad esempio, per quanto possibile non andrebbe usata come elemento decorativo, e l’edificio nel suo complesso dovrebbe esprimere i nostri valori. Una buona architettura, progettata per un contesto e un compito specifici, riesce a farlo.
Jenni – Il DFAE è coinvolto da vicino nella fase di progettazione e, con l’aiuto delle rappresentanze in loco, assicura anche che il progetto non violi tabù culturali locali.

«La Svizzera si presenta all’estero aperta al mondo, moderna e innovativa, ma mostrando anche un atteggiamento di riserbo, di un’eleganza discreta»

Nel mondo valori come modestia, sobrietà e understatement non riscuotono dappertutto lo stesso consenso. In molti luoghi occorre un certo sfarzo per suggerire il concetto di ricchezza, quindi di affidabilità.
Brunner – Ci sono differenze, certo. Il calcestruzzo a vista, per esempio, in molti paesi è considerato un materiale povero, adatto per ponti, gallerie, strutture protettive, autorimesse sotterranee; l’architettura svizzera lo arricchisce invece con una lavorazione accurata e innovativa, conferendo al modesto materiale grezzo un aspetto signorile e rappresentativo. Lo stesso vale per il legno. Questo approccio per certi paesi è in­consueto; ci accade però di osservare che l’edificio, una volta finito, li convinca comunque e dia il via a un discorso nuovo nella realtà architettonica locale.
Winkler – Negli ultimi anni, in vari paesi ospiti, siamo riusciti a far sì che i nostri approcci venissero compresi davvero dall’autorità competente: coinvolgendola le abbiamo fatto capire la nostra opinione, cioè che signorilità e rappresentanza sono possibili anche con sottigliezza. Quando il tutto è coerente, viene anche compreso: nel discorso per l’inaugurazione dell’ambasciata a Mosca (fig. 2) perfino il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha evidenziato la raffinatezza dell'edificio nonostante le dimensioni modeste rispetto alla scala moscovita.
Jenni – In tutto il mondo la Svizzera è nota negli ambienti architettonici, ma anche fra politici e diplomatici, per il suo linguaggio qualitativamente formale basato su soluzioni sobrie ma innovative e convincenti. Il valore del riconoscimento è quindi molto alto; questa continuità nell’espressione architettonica ci assicura apprezzamenti anche in paesi ove di solito si ammira di più un’archi­tettura estroversa.

Gli edifici dovrebbero rapportarsi al contesto del paese ospite. In concreto che cosa significa?
Brunner – Dipende sempre dalla realtà specifica. A Seul abbiamo scelto una tipologia che in Corea del Sud ha una lunga tradizione ma oggi è piuttosto inconsueta; l’abbiamo reinterpretata, con un programma degli spazi attuale e con nuovi materiali (vedi fig. 3 e l'articolo Uno scambio costruttivo: l’ambasciata svizzera a Seul), e ne è scaturito un vivace dibattito fra gli architetti locali. La nostra nuova ambasciata a Nairobi, invece, è una moderna costruzione svizzera che ricorre al cromatismo dell’Africa orientale, con il rosso della terra locale e il verde della vegetazione (vedi fig. 4 e Drago rosso su fondo verde).
Winkler – Confrontarsi col contesto non significa solo adeguarsi. A Mosca da un lato eravamo soggetti alle clausole rigide delle autorità edilizie o preposte alla tutela dei monumenti: dovevamo rispettare, ad esempio, le severe norme sul cromatismo delle facciate, di prassi per le costruzioni storiche. La regola di tutela moscovita, d’altro canto, consente di abbattere l’intero nucleo dello stabile protetto e preservarne la sola facciata; noi però, volendo gestire il nucleo storico dell’edificio in modo più sottile, abbiamo rinunciato a demolirlo. Occorre sempre trovare un equilibrio fra inserimento nel contesto e mantenimento della propria autonomia.
Jenni – L’edificio non deve solo rapportarsi al contesto del paese ospite; va tenuta presente anche la sfera di mansioni della singola rappresentanza. Uno stabile dedito ad attività prevalentemente diplomatiche, ad esempio, deve apparire più rappresentativo di un altro che si concentra sulla cooperazione internazionale allo sviluppo: l’edificio deve rispondere ai compiti dell’ambasciata.

«In linea di massima la tipologia edilizia dell’ambasciata consiste in due parti: un muro di protezione e un edificio. Conciliare i due elementi e rapportarsi ai dintorni rappresenta una sfida per il progetto»

Un ulteriore aspetto essenziale delle ambasciate è il conflitto fra rappresentanza e sicurezza: gli edifici devono da un lato segnalare apertura e impersonare i valori democratici della Svizzera, dall’altro soddisfare standard di sicurezza elevati.
Brunner – In linea di massima la tipologia edilizia dell’ambasciata consiste in due parti: un muro di protezione e un edificio. Conciliare i due elementi contraddittori e rapportarsi ai dintorni rappresenta una sfida per il progetto.
Jenni – In effetti è una sfida ricorrente, perché il DFAE coi suoi edifici non vuole isolarsi ma vivere una cultura dell’accoglienza. Anche qui ogni volta, a seconda del contesto, sono necessari compromessi: la sicurezza del personale va garantita.

C’è poi la varietà degli utilizzi. Jacques Pitteloud, l’ambasciatore svizzero negli USA, ha scritto: «In futuro il DFAE vuole assicurare all’estero una presenza coerente e visibile della Svizzera. […] Ciò significa che tutti gli attori della Svizzera presenti in loco sono riuniti sotto lo stesso tetto». In concreto attori come Svizzera Turismo, la camera di commercio e così via sono alloggiati nello stesso edificio con il consolato. Queste istituzioni però hanno esigenze diverse in termini di frequenza del pubblico, sicurezza, orari di apertura, rappresentanza ecc.; come si procede al riguardo?
Winkler – Se la concezione architettonica è forte e l’intera cornice è valida, si possono offrire sistemazioni interne individuali per utilizzi differenti; grandi differenze non sono possibili, bisogna operare scelte graduali. Se Svizzera Turismo, ad esempio, desidera arredare i suoi locali in modo un po’ più vivace, la cosa dev’essere fattibile; un ufficio visti, invece, deve soddisfare precise esigenze di funzionalità e di sicurezza.
Brunner – L’utilizzo dell’edificio di un’ambasciata è sempre complesso: il programma degli spazi comprende locali d'abitazione, zone di lavoro, servizi per il pubblico e locali di rappresentanza, a volte anche ambienti per mostre o eventi. In poco spazio vanno soddisfatti bisogni diversi, spesso contraddittori; l’arte consiste nel riunire il tutto sotto lo stesso tetto.

Le ambasciate elvetiche hanno il poten­ziale di pubblicizzare la nostra cultura in ambito architettonico non solo all’estero ma ­anche in patria: la Strategia interdipartimentale per la promozione della cultura della costruzione (cfr. box in fondo) chiede che la Confederazione funga da modello, in quanto committente, e formula una serie di misure. Fra le molte che all’UFCL vengono attuate già da parecchi anni c’è anche il rafforzamento dei compiti svolti dalla committenza: «Una cultura della costruzione di qualità può essere garantita solo se la committenza formula e richiede requisiti corrispondenti». All’UFCL è una pra­tica standard anche quella di docu­mentare le costruzioni federali, per promuovere le conoscenze sulla cultura svizzera della costruzione contemporanea. Particolarmente esemplare, tuttavia, è il ruolo dell’UFCL nelle procedure di aggiudicazione: i man­dati vengono assegnati sistematicamente – con successo, come mostrano gli esiti ­raggiunti – mediante concorsi aperti o procedure di messa in concorrenza. A questa prassi dei concorsi come si è arrivati?
Winkler – Diciotto anni or sono, al momento di entrare in carica, vedevo due motivi per procedere con coerenza sulla strada dei concorsi. Da un lato conoscevo esempi esteri in cui un’assegnazione per incarico diretto, senza un vero dibattito specialistico, aveva dato esiti poco convincenti. Dall’altro la Confederazione ha una lunga tradizione di concorsi, che in molti decenni ha prodotto regolarmente edifici estremamente duraturi; un concorso d’alto livello è già quello che fu alla base del Palazzo federale. I concorsi sono la via migliore verso la qualità. E più sono aperti, meglio è. Non appena si scelgono procedure selettive, il campo delle proposte si restringe, la probabilità di idee davvero originali cala e la confrontabilità si riduce. Nei concorsi aperti, fino a un terzo delle proposte viene dall’estero. È un privilegio e una ricetta vincente poter scegliere fra tutti questi progetti e approcci culturali la risposta migliore ai diversi quesiti.
Brunner – Anche nella composizione della giuria badiamo a tenere conto di più prospettive. Idealmente dovrebbe farne parte uno specialista straniero, che veda la Svizzera dall’esterno e che conosca, se possibile, il contesto locale.

«I concorsi sono la via migliore verso la qualità. E più sono aperti, meglio è. Non appena si scelgono procedure selettive, il campo delle proposte si restringe, la probabilità di idee davvero originali cala e la confrontabilità si riduce»

Potete darci un esempio?
Winkler – Per l’ampliamento dell’ambasciata a Singapore (vedi fig. 5 e Say hello) abbiamo indetto un concorso aperto. Sulla cinquantina di partecipanti, quasi tutti hanno cercato la soluzione nell’edificio esistente; solo da un team è giunta la proposta inattesa di spostare altrove un locale riunioni, proposta che in modo semplicissimo offriva molta più superficie utile e soddisfaceva le nostre esigenze. Come tutti gli altri team, anche noi nel bando ci eravamo sempre concentrati sulla costruzione esistente; occorreva uno sguardo del tutto diverso per vedere di colpo il dettaglio evidente ma sfuggito a tutti, come in un quadro di Magritte. Questo pensare fuori dagli schemi porta autentica innovazione, un vantaggio inestimabile; se si limita il campo dei partecipanti, un simile colpo di fortuna diventa meno probabile.
Brunner – Un altro vantaggio già citato della messa in concorrenza è l’impegno dei futuri utenti. Il DFAE partecipa sempre fin dall’inizio, già nella stesura del bando di concorso e poi nella giuria. Il che è un valore aggiunto enorme: così nascono edifici più funzionali, senza tempo e quindi più sostenibili.
Winkler – Il processo del bando e della valutazione nella giuria coinvolge le parti interessate. È una partecipazione alla pari, che aumenta il consenso; gli utenti hanno collaborato all’edificio, lo apprezzano e lo gestiscono meglio. Sono fieri della sua qualità progettuale, e magari ne scaturisce un dibattito con la realtà architettonica locale.

Il che ci riporta alla funzione degli edifici in quanto strumenti diplomatici…
Winkler – E anche alla sostenibilità: per noi è importante gestire le nostre risorse con parsimonia. Il che significa, fra l’altro, spezzare paradigmi: se un tempo nelle ambasciate erano di prammatica gli uffici individuali, oggi possiamo immaginare anche spazi lavorativi aperti. Progettiamo, inoltre, locali che con semplici interventi di sistemazione consentano utilizzi flessibili, per ricevimenti o riunioni. Naturalmente ciò limita la scelta del mobilio; nell’intera ambasciata occorre uniformare il più possibile tavoli alti e sedie impilabili, ricombinabili ogni volta. Senza questa flessibilità, per gli stessi utilizzi bisognerebbe mettere a disposizione molta più infrastruttura. Ma appunto, la cosa funziona quando gli utenti partecipano alla concezione che poi condividono.

«A Mosca era normale che alcuni operai abitassero nel cantiere, e nel Bangladesh un direttore dei lavori locale si stupiva della nostra precisione svizzera nel ­piano delle scadenze: "You can see in the future!

Un concorso riserva sempre sorprese, buone e cattive. Committenza competente, programma ben preparato, giuria d’alto livello e coinvolgimento di tutte le parti non sono una garanzia di successo. Per questa procedura di aggiudicazione occorre avere anche coraggio?
Winkler – Occorrono desiderio d’innovazione e disponibilità al rischio (calcolato). Un concorso a procedura aperta è anche un’incognita da affrontare con professionalità. Noi all’UFCL abbiamo le spalle coperte per svolgere concorsi aperti, anche nel caso degli edifici all’estero, e per cercare soluzioni su misura a un livello architettonico elevato; si tratta di un privilegio che non è scontato nel contesto internazionale. E che ci viene invidiato.
Jenni – Al DFAE vediamo con favore i concorsi di architettura; le esperienze in materia sono ottime. Il coinvolgimento del DFAE nell’intero processo della genesi, dalla preparazione alla decisione della giuria e all’elaborazione del progetto, assicura che l’edificio prescelto tenga presenti i requisiti e i bisogni attuali o futuri degli utenti.
Brunner – Molti degli studi che partecipano ai nostri concorsi non hanno mai progettato un’ambasciata né costruito fuori dalla Svizzera o dall’Europa. Il che naturalmente si può considerare un rischio, e qui svolge un ruolo essenziale il fatto che la gestione del progetto da parte del committente sia affidata a architette e architetti che viaggiano regolarmente in paesi diversi e hanno familiarità con le prassi locali. Il loro know-how confluisce nel bando di concorso ed è disponibile al team di progettazione in qualsiasi momento. Certe cose, semplicemente, bisogna averle vissute…
A Mosca era normale che alcuni operai abitassero nel cantiere, e nel Bangladesh un direttore dei lavori locale si stupiva della nostra precisione svizzera nel ­piano delle scadenze: «You can see in the future!» Il ruolo di mediazione assunto dalla direzione di progetto è quindi ­importantissimo, e fra l’altro non solo per ridurre i rischi: conoscere e sfruttare i punti forti dell’edilizia locale è un’opportunità. In certi paesi, ad esempio, la manodopera è conveniente rispetto al materiale; si possono allora realizzare manufatti artigianali eccellenti che in Svizzera sarebbero impagabili. Nell’ambasciata a New Delhi, per esempio, invece degli interventi artistici abbiamo inserito mobili stupendi, sobri e di pregio, disegnati da uno studio di archi­tettura locale e costruiti da falegnami del posto (fig. 6).

In sede esecutiva collaborate spesso con aziende locali?
Brunner – Sì. Sostenibilità significa anche costruire con efficienza e senza spreco di risorse. Chi prende la cosa sul serio, reagendo in maniera pragmatica, non tarda a trovare soluzioni locali ma con approccio svizzero. Nella tecnica ­della costruzione, ad esempio, cerchiamo di limitarci a ciò che è davvero necessario e di fornire indicazioni semplici e generali. La soluzione tecnica elegante diventa allora uno strumento della comunicazione diplomatica (un po’ come il design): un’insegna dell’industria cleantech svizzera.

Ne risultano anche trasferimenti di know-how?
Winkler – Nelle costruzioni antisismiche l’ingegneria elvetica è leader su scala mondiale. Anche nell’ambito delle costruzioni in calcestruzzo la Svizzera può vantare soluzioni innovative, in termini non solo progettuali ma anche tecnici; ne derivano scambi intensi con gli studi d’ingegneria in loco che seguono la fase esecutiva.
Brunner – Quando abbiamo costruito in Thailandia un impianto fotovoltaico, l’incarico ha poi permesso alla ditta locale di avviare un campo d’attività del tutto nuovo, che porta avanti tuttora con successo.
Winkler – In India abbiamo installato un impianto di collettori sotto vuoto per gestire il sistema di riscaldamento e raffreddamento (fig. 7). Nel paese ci sono sì ingegneri a sufficienza che potrebbero mettere in atto una simile tecnologia, ma appunto occorre sempre qualcuno che lo faccia per primo e condivida le proprie esperienze; anche questo è un privilegio.

Strategia interdipartimentale per la promozione della cultura della costruzione
 

Nei giorni 21 e 22 gennaio 2018, subito prima dell’appuntamento annuale al Forum economico mondiale di Davos, i responsabili dei dicasteri culturali europei hanno varato una dichiarazione su come radicare a livello politico e strategico una cultura delle costruzione di qualità in ambito europeo. Dal 26 febbraio 2020 è in vigore la Strategia interdipartimentale per la promozione della cultura della costruzione elaborata dall’Ufficio federale della cultura (in collaborazione con tutti i servizi federali rilevanti) su incarico del parlamento, poiché il messaggio governativo sulla cultura 2016-2020 ha fissato esplicitamente la cultura della costruzione come elemento della cultura elvetica.

Il concetto su cui si basa la Strategia gravita su tre punti. Anzitutto il termine si riferisce non solo allo spazio antropico strutturato in quanto risultato ma anche ai processi che portano alla sua strutturazione; in secondo luogo la cultura della costruzione comprende sia il patrimonio edilizio storico sia le opere contemporanee. E in terzo luogo sono espressioni di cultura della costruzione tutte le attività aventi un’incidenza territoriale: dalle opere infrastrutturali che segnano il paesaggio all’urbanistica, dall’architettura al dettaglio artigianale. Poiché però questa definizione non considera affatto il livello qualitativo, la visione strategica si intitola «Verso una cultura della costruzione di qualità per la Svizzera» e viene descritta così: «Una cultura della costruzione di qualità si esprime in città, agglomerati, villaggi e paesaggi ben progettati, sostenibili e vivaci, in grado di rispondere alle mutevoli esigenze della società pur conservando le loro peculiarità storiche. Inoltre, contribuisce a garantire una maggiore qualità di vita, promuovendo il benessere, rafforzando le identità e creando valori condivisi».

Per realizzare questa visione, la Strategia individua cinque linee d’azione:

  1. mediazione;
  2. formazione specialistica, ricerca e innovazione;
  3. produzione edilizia;
  4. sviluppo territoriale;
  5. collaborazione e coordinamento.
     

Essa definisce sette obiettivi strategici:

  1. La società si confronta con la qualità dello spazio antropico.
  2. Le basi normative sono improntate a un’elevata qualità dell’ambiente di vita.
  3. I progetti di costruzione e pianificazione garantiscono un’elevata qualità, commisurata alla funzione e al luogo.
  4. Gli specialisti e le specialiste dispongono di competenze sulla cultura della costruzione.
  5. La ricerca sulla cultura della costruzione è radicata.
  6. La Confederazione funge da modello in riferimento alla cultura della costruzione.
  7. La Confederazione promuove la creazione di reti e la collaborazione nell’ambito della cultura della costruzione.
     

Un piano d’azione stabilisce 40 interventi per mettere in atto gli obiettivi strategici.

Gli articoli del numero speciale «Ambasciate svizzere» verranno pubblicati a puntate qui.

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