Uno scam­bio co­strut­ti­vo: l’am­ba­scia­ta sviz­ze­ra a Seul

A colloquio con Nicolas Vaucher, Burckhardt + Partner, Losanna

Per progettare l’ambasciata svizzera, Burckhardt + Partner rivisita la tipologia della casa tradizionale coreana. In un contesto estremamente urbanizzato e in un paese che ha perso gran parte della propria tradizione costruttiva, il gesto non è privo di significato.

Data di pubblicazione
16-11-2020

Marc Frochaux – Nel 2012 avete vinto un concorso di architettura conforme
alla norma SIA 142 relativo alla nuova ambasciata di Seul. Quali sfide avete affrontato?

Nicolas Vaucher – Il programma del concorso, ben documentato, integrava la storia del sito, ma anche il suo sviluppo futuro: il quartiere doveva essere completamente riprogettato per accogliere una trentina di grattacieli residenziali alti da 40 a 60 metri. All’inizio del progetto il sito dell’ambasciata assomigliava a una no man’s land, per di più a New Town, un densissimo agglomerato di grattacieli, e si trattava di posizionarsi nei confronti di questa brutale trasformazione. Anziché cercare di mettersi in concorrenza con quella molteplicità di edifici verticali, abbiamo proposto un edificio modesto, di due-tre piani. L’ambasciata, sviluppata intorno alla sua corte interna, s’ispira all’hanok, la tradizionale casa coreana.

L’enorme salto di scala rappresenta in questo contesto una vera provocazione. Come inserire un edificio in questa situazione, nel cuore di una megalopoli?
Il paesaggio urbano di Seul è caratterizzato dalla sua topografia collinare. La città assomiglia a un’enorme distesa di edifici incastonati fra colline verdi che emergono qua e là. L’ambasciata è ubicata in prossimità del centro, ai piedi di una collina adibita a parco. Nella pianta della città il progetto da noi proposto, una modesta casa in mezzo ai grattacieli, potrebbe effettivamente passare per un atto di resistenza, una pacifica isola nel cuore della densità urbana, una piccola Svizzera. Ma sul posto, considerata la topografia della parcella e la presenza di numerosi alberi, si capisce che s’inserisce nella continuità della collina limitrofa e del suo parco. L’ambasciata è rivolta verso tale collina ed è intesa come ingresso al parco.

«Nella pianta della città il progetto da noi proposto potrebbe effettivamente passare per un atto di resistenza, una pacifica isola nel cuore della densità urbana, una piccola Svizzera»

Può darsi che sia così, ma una tradizionale casa coreana è davvero adatta come sede di un’ambasciata svizzera? Questa tras­lazione tipologica può sembrare piuttosto artificiale.
Non se la si osserva dal punto di vista dell’utente. Noi l’abbiamo considerata molto adeguata. Nel quartiere vicino ci sono infatti alcune case tradizionali che abbiamo studiato attentamente. Tutti i locali della zona giorno sono disposti attorno a una corte che funge da area di distribuzione esterna. Non ci sono corridoi. Essendo le case praticamente contigue, tutti i locali sono rivolti verso la corte. Questa disposizione corrisponde piuttosto bene alla duplice funzione che un’ambasciata deve svol­gere: proteggere e raccogliere. Essa permette di riunire in un solo edificio destinazioni d’uso differenti, di delimitare il perimetro della parcella con un muro, il tutto proteggendo una corte di rappresentanza.
Per proseguire l’analogia con la casa coreana, abbiamo proposto una struttura portante in legno e una facciata perimetrale che segue la sagoma della corte interna. Nello sviluppo del progetto, questa sarà realizzata in calcestruzzo, operando una sorta di «pietrificazione» delle facciate tradizionali.

«Pietrificare» così un edificio è un gesto che si conosce bene in Svizzera; si usa per evocare il passaggio della storia. Ma in questo contesto la scelta potrebbe piuttosto suonare come una critica: il progetto sembra mettere in discussione la distruzione del quartiere pre­esistente. Quali sono state le reazioni?
La nostra intenzione era soprattutto quella di creare dei legami fra le due culture costruttive, facendo appello alla memoria collettiva; riuscire a trovare in questo modo un fattore d’integrazione per l’ambasciata. I coreani guardano essenzialmente al futuro. Il loro paese è stato invaso, dilaniato dalle guerre, e Seul ha dovuto reinventarsi tra le sue ferite e lo sfrenato sviluppo economico. Praticamente non restano edifici antichi, a parte i templi imperiali e qualche casa preservata grazie al volere civico. Così, quando un quartiere si trasforma, i coreani vedono prima i lati positivi: i nuovi abitanti, i parchi e le infrastrutture.
In questo contesto, riproporre l’architettura tradizionale, anche se usando materiali diversi, ha affascinato molto gli architetti e anche i residenti. Parlavamo di un’analogia tipologica, mentre loro l’hanno descritta come una reinterpretazione dell’hanok. Hanno ammirato il modo di costruire in legno, un savoir-faire che i coreani, al contrario dei giapponesi, hanno completamente perso. Invece di proporre un’architettura fuori dal comune, l’ambasciata si confronta con una tradizione costruttiva, trasmette dunque un messaggio di modestia, ma divulgando allo stesso tempo l’idea della qualità svizzera.

«Quando un quartiere si trasforma, i coreani vedono prima i lati positivi: i nuovi abitanti, i parchi e le infrastrutture»

Il progetto di concorso non prevedeva facciate in calcestruzzo. Come mai avete poi optato per questo materiale?
Nella fase del concorso abbiamo proposto una facciata leggera, rivestita di lamiera, che secondo il parere del committente non infondeva sufficiente sicurezza: per un’ambasciata la sicurezza è di fondamentale importanza. Siamo approdati a questa soluzione massiccia dopo avere fatto un sopralluogo e valutato il lavoro delle imprese locali.
Osservando le costruzioni locali, ci siamo resi conto che gli operai coreani lavorano con grande perizia il calcestruzzo in piccole casseforme cave da 60×100 cm. Sarebbero quindi stati in grado di realizzare una facciata in calcestruzzo, malgrado la complessità del progetto che proponevamo: doveva essere eseguita con calcestruzzo gettato in opera, e i giunti di dilatazione e di getto dovevano essere rilavorati. Per ottenere una venatura superficiale, il fondo delle casse­forme doveva essere realizzato con assi di legno di Sugi (una conifera giapponese), unite da chiodi. Questo metodo, che noi non pratichiamo più in Svizzera (a causa degli elevati costi di manodopera), è adottato invece di frequente dagli operai coreani. Casserano grandi sezioni, costipano il calcestruzzo con il martello, facendo praticamente a meno dell’uso di aghi vibranti. Abbiamo condotto alcuni studi per capire i loro metodi e le loro ricette senza coadiuvanti. Nonostante le nostre titubanze, il risultato è stato perfetto.
La facciata in calcestruzzo, con la sua espressione di «pietrificazione», pare essere più coerente dell’idea iniziale del progetto di concorso.

Cosa ci può dire dello scambio con gli architetti e le imprese?
Per quanto concerne i requisiti di qualità della realizzazione, si può dire che la Corea assomiglia un po’ alla Svizzera.
Lo scambio è stato avvincente: quando si è trattato di mettere in sintonia il nostro progetto con il know-how locale, l’impresa incaricata di realizzarlo ne ha fatto una questione d’onore. I costruttori hanno proposto delle varianti, ma non per abbassare i costi, bensì per ottenere una migliore qualità! Questa esigenza era legata alle conoscenze delle attuali tecnologie: il costruttore ha progettato l’intera ossatura in 3D, risolvendo giunzioni e assemblaggi prima di procedere al taglio CNC.

Cosa c’è di svizzero in questa costruzione?
È la sua reinterpretazione ad essere elvetica. Alcuni motivi tradizionali hanno trovato una traduzione contemporanea, come la complessa stratificazione del tetto o la sua cornice, che trova espressione nella gronda. I claustra, tradizionalmente in legno o in pietra, sono stati realizzati in ceramica. I dettagli di porte e finestre in legno, con una cerniera invisibile, sembravano essere del tutto sconosciuti in Corea, ma erano necessari per evidenziare la leggerezza e la permeabilità di questa architettura.
Di molto svizzero c’è anche la tecnologia: collettori solari per la produzione dell’acqua calda sanitaria, sonde geo­termiche per il riscaldamento ecc. Questi impianti, che promuovono l’uso delle energie rinnovabili, non vanno trascurati perché sono temi molto discussi negli scambi diplomatici.
Le norme sono state spesso argo­mento di discussione fra i due paesi. In generale si sono rispettate le norme coreane, visto che il permesso di costruzione era stato rilasciato dalle autorità locali. Ma in alcuni casi i requisiti federali hanno dettato certe scelte.
Ad esempio, il piano interrato doveva ospitare un rifugio antiatomico, ma i coreani non hanno subito capito la sua funzione.

Partecipanti al progetto


Committenza Confederazione svizzera, Ufficio federale delle costruzioni e della logistica
Capoprogetto Cédric Pernet
Architettura Burckhardt + Partner SA, Losanna; Erae Architects & Engineers, Seul (Corea del Sud)

Architettura del paesaggio Hüsler & Associés Sàrl, Losanna; Mokwoo Environmental Design, Seoul (Südkorea)

Ingegneria civile Ingeni SA, Losanna; SQ Engineering Co. Ltd., Seul (Corea del Sud); Corporation Jungin, Seul (Corea del Sud)

Ingegneria RVCS Planair SA, La Sagne; Northstar Engineering Co. Ltd., Seul (Corea del Sud)
Progetto impianti elettrici Christian Risse SA, Givisiez; Hyeob-In Co. Ltd., Seul (Corea del Sud)
Progetto facciate Xmade Sàrl, Basilea

Sicurezza SBIS Securitas SA, Losanna

Architettura d'interni Atelier Oï SA, La Neuveville

Consulenza sul calcestruzzo TFB Romandie SA, Puidoux

Arte e architettura Water Connections, Lena Maria Thüring, Zurigo

 

Facts & Figures

 

Concorso di progetto internazionale con procedura libera (GATT/OMC), 2012

Realizzazione 1.2017-11.2018

Consegna 1.2019

Superficie del fondo 2700 m2
Superficie dei locali SIA 416 3540 m2

Superficie utile SIA 416 1522 m2
Volume edifici SIA 416 14 042 m3

Costi di costruzione (CCC 1-9) 15,2 milioni di franchi

Premi Korean Institute of Registered Architects, Korea Architecture Award 2019. Award of Excellence Monocle Magazine, Soft Power Award 2019: Best Embassy

Gli articoli del numero speciale «Ambasciate svizzere» verranno pubblicati a puntate qui.

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