Vi­sio­ni obli­que

Data di pubblicazione
14-02-2024
Alberto Winterle
Architetto, direttore di «Turris Babel», rivista della Fondazione Architettura Alto Adige/Südtirol

«La vision à la verticale est rare et fugitive. Le plus souvent, c’est la vision oblique qui vous surprend. Alors les maisons, les monuments, les reliefs se présentent sous l’aspect cubique». Daniele Del Giudice, 1994

Ogni occasione di confronto sul patrimonio architettonico contemporaneo, costituisce una rilevante opportunità di porre lo sguardo, o meglio, come nel nostro caso, di incrociare più sguardi su una specifica realtà territoriale e culturale. Anche il premio SIA Ticino 2024, come avviene per altri premi e rassegne di architettura, propone, attraverso il lavoro di una giuria, uno spaccato delle dinamiche in atto in un contesto dove l’attenzione non è riservata solamente a chi quei luoghi li vive, ma anche a chi li osserva con particolare interesse da lontano.

Valutare i risultati di un premio è però un esercizio implicitamente legato alla consapevolezza che non vi può essere una visione per forza oggettiva, «zenitale», ma che ogni considerazione propone sempre una visione obliqua, uno sguardo laterale. Ma è proprio questa peculiarità di non avere dei risultati scontati che costituisce la ricchezza del contributo della giuria. Come evidenzia Daniele Del Giudice, narrando nel romanzo Staccando l’ombra da terra (Einaudi, Torino 1994) la sua esperienza di aviatore che rimane colpito dalle indicazioni relative al volo contenute nella Guide des voyages aériens Paris-London, i componenti della giuria, come dei piloti in ricognizione che sorvolano un territorio nuovo, ne hanno una visione trasversale e sorprendente, capace di mettere in evidenza la «tridimensionalità» delle diverse questioni relative all’architettura.

Si tratta di un’analisi approfondita non solo dei linguaggi usati, delle forme e delle funzioni costruite, dei materiali impiegati, ma anche delle ragioni profonde che hanno portato i committenti a esprimere la necessità di quelle opere e ai concetti progettuali individuati dagli architetti per realizzarle. Ma si tratta anche di una più generale valutazione dei condizionamenti positivi e negativi del contesto, alla luce di una sempre più diffusa ibridazione della società e di conseguenza anche dell’architettura. In questo senso, proprio guardando attraverso una lente di ingrandimento la realtà ticinese, è interessante tentare di cogliere, se ci sono, le possibili differenze rispetto ad altri contesti simili. Esistono elementi di distinzione rispetto a ciò che accade in altre regioni alpine? C’è un carattere distintivo che identifica l’architettura e l’ingegneria contemporanea del Ticino?

Provando ad allargare lo sguardo ai territori limitrofi, ripensando inizialmente ai caratteri originari delle costruzioni rurali, possiamo trovare allo stesso tempo molte analogie ma anche specifici elementi identitari. Storicamente, infatti, si possono individuare comuni modalità con cui gli abitanti hanno cercato di insediarsi nei territori alpini provando a sfruttare le risorse presenti in loco. Soprattutto nelle aree più estreme e isolate, le condizioni di vita subordinate a un’economia di sussistenza hanno portato a sviluppare, attraverso un’esperienza empirica di successivi affinamenti, le migliori tecniche costruttive per la realizzazione di abitazioni e strutture rurali, così come per la coltivazione e la conservazione dei prodotti. A poca distanza però, passando da una vallata all’altra, da una regione all’altra, si possono cogliere piccole differenze e sfumature che caratterizzano le diverse realtà. Sistemi costruttivi comuni ma realizzati impiegando diversi materiali, elementi tecnici o elementi di decoro che si diffondono solo in alcune vallate. Per fare degli esempi pratici, pur essendo basati su schemi strutturali e dimensionali molto simili, i fienili delle viles della Val Badia sono diversi da quelli del Comelico nel Bellunese o da quelli Walser nel Vallese. A volte si tratta anche solamente del diverso sistema tecnico di essiccamento del fieno, altre volte delle aperture necessarie per l’areazione dei rustici trasformate in decoro, altre ancora delle particolari cornici e decori sulle superfici murarie come quelle caratteristiche dell’Engadina. Sono queste differenze e sfumature che ritroviamo anche negli idiomi locali. Nelle diverse declinazioni linguistiche, così come nelle forme dialettali, si possono cogliere infatti molto frequentemente anche minime difformità spostandosi di pochi chilometri. Si tratta di differenze fertili e peculiari che segnano una sorta di resistenza all’omologazione.

Se però, un tempo, le difficoltà di collegamento e di comunicazione permettevano lo svilupparsi di linguaggi parlati e costruiti, in ambiti perlopiù limitati, oggi ciò appare ancora riconoscibile? Permangono nelle diverse realtà locali, anche per quanto riguarda l’architettura contemporanea, elementi capaci di contraddistinguere uno specifico territorio? Possiamo riconoscere e distinguere un’architettura ticinese da un’architettura grigionese, o da una sudtirolese, tanto per fare alcuni esempi?

Credo che nel passaggio dalla «tradizione», intesa come evoluzione delle tecniche originarie dei territori alpini, alla modernità sia stata fondamentale l’opera di alcune figure che proprio lavorando in specifici ambiti locali sono diventate il riferimento per le successive generazioni di architetti. In quel delicato momento storico alcuni «maestri» hanno influito in specifici ambiti, alimentando un’identità locale anche nel contemporaneo. Le loro opere realizzate, così come anche l’influenza avuta rispetto alla committenza pubblica e privata, hanno portato all’alimentazione di nuove «tradizioni» che ancora oggi seguiamo. Le esperienze sviluppate attraverso un rigore quasi assertivo di Luigi Snozzi nel Ticino, la libertà creativa di Othmar Barth in Sudtirolo, l’approfondito confronto con la storia rurale di Edoardo Gellner nel Bellunese, la sperimentazione delle opere di Carlo Mollino nelle sue Alpi piemontesi, hanno alimentato un particolare senso di appartenenza e declinazione locale dei linguaggi. Come è avvenuto un tempo per le «architetture spontanee», anche il moderno fondato nella profonda conoscenza e confronto con il contesto, ha portato a svelare quelle minime caratterizzazioni non applicabili in altri luoghi e a costruire quindi nuove identità riconoscibili.

Tentare di alimentare questi percorsi è un’opportunità che la nostra professione ci offre. Tuttavia, ciò che realizziamo oggi, ciò che possiamo vedere anche analizzando il corpus di elaborati inviati al Premio SIA Ticino 2024, sembra da un lato ancora legato a quelle esperienze fondative, dall’altro pare invece seguire il tendente eclettismo dell’architettura contemporanea. In questo senso, sarà interessante osservare cosa accadrà nel prossimo futuro anche in conseguenza della sempre maggiore facilità di comunicazione dell’architettura fatta di immagini evanescenti. Questo appare evidente non solo verificando la nostra produzione architettonica, ma anche analizzando il modo con cui noi la documentiamo e diffondiamo. Basti pensare al fondamentale contributo di lettura e indagine dei fotografi che in alcuni casi tende però ad omologare il lavoro di professionisti diversi, stendendo una patina omogenea che tutti accomuna. In questa evoluzione complessiva lo stesso apporto didattico «esterno» nelle scuole di architettura offre una contaminazione positiva, proponendo anche gli strumenti critici per affrontare i continui stimoli a cui sono sottoposti quelli che saranno i professionisti di domani.

Per questo lo sguardo di un contesto territoriale attraverso i premi e le rassegne di architettura costituisce una sorta di corale tentativo di «autoanalisi» dove i colleghi partecipanti si misurano e si mettono in gioco «usando» il proprio lavoro per fare il punto su quale sia l’evoluzione del linguaggio contemporaneo. Un confronto che per il Premio SIA Ticino 2024 trova sintesi nella valutazione di una giuria formata da un gruppo caratterizzato da professionalità eterogenee: coordinata dall’architetta Federica Botta, la giuria è stata presieduta dal giornalista Damiano Realini, e composta inoltre da Silvia Barrera (architetta del Comitato SIA TI), Elena Fontana (architetta e pianificatrice), Eugen Brühwiler (ingegnere civile), Wilfried Schmidt (architetto e urbanista), Dominique Ghiggi (architetta del paesaggio). La giuria ha individuato alcuni progetti che più di altri, a loro avviso, rappresentano lo stato della situazione odierna. Interessante valutare i risultati da cui emerge che rispetto a 54 progetti inviati i 4 progetti scelti come vincitore e segnalati sono tutti edifici pubblici. E di questi quattro, tre sono scuole o strutture complementari e di servizio alla scuola. Ciò da un lato evidenzia il ruolo sociale e culturale dell’architettura, che proprio attraverso l’iniziativa pubblica offre esempi virtuosi a cui ispirarsi. Dall’altro lato però, mancando l’apporto dei privati, committenti delle molte abitazioni singole o collettive, non risulta chiaro quale sia il loro contributo e non restituisce un quadro chiaro del peso del settore immobiliare. Relativamente alla mancata attribuzione del premio sostenibilità, la scelta evidenzia che forse oggi non è più necessario identificare uno specifico progetto per le sue caratteristiche tecniche ed energetiche, in quanto ciò è parte stessa del progetto, una componente ormai data per scontata. Si dovrebbe forse iniziare a interrogarsi sulla base di quali categorie più innovative si potrebbe premiare un progetto attento alla salvaguardia dell’ambiente, che vada oltre al tema ormai quasi inflazionato della sostenibilità in sé. Infine, il progetto vincitore, che certamente non affronta le complessità delle tematiche che caratterizzano i contesti urbani, ci dimostra come proprio il senso della misura può riportarci al ruolo etico e sociale dell’architettura.

I premi rappresentano sempre un’occasione di confronto e crescita per un territorio e tutta la sua comunità. Dalla selezione del Premio SIA Ticino 2024 si dovrebbe ora ripartire per comprendere meglio e individuare quali possono essere degli indirizzi di sviluppo futuro, su quali cardini rinforzare le riflessioni e quali invece possono essere nuovi punti di partenza, per continuare a restare in ascolto di una società che cambia sempre più rapidamente, e con questa anche la sua architettura.

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