La SIA in un tri­lem­ma

La SIA è spesso chiamata a esprimersi pubblicamente su dei progetti. Se sulla cultura della costruzione prende posizione in modo netto, nel caso di opere specifiche le cose non sono sempre così chiare… Come nel caso della trasformazione del sedime Hoffmann-La Roche, a Basilea, firmata da Herzog & de Meuron.

Data di pubblicazione
07-12-2020
Ivo Vasella
Arch. dipl. PFZ/SIA, co-responsabile servizio Comunicazione SIA, portavoce, membro del Comitato dei quadri

La SIA si impegna per un ambiente di vita progettato con lungimiranza e all’insegna della sostenibilità, promuovendo, laddove e quando possibile, una cultura della costruzione di qualità. Si potrebbe pensare che le azioni portate avanti dalla Società e le prese di posizione che essa formula siano tutte ascrivibili a questa asserzione incisiva, chiara e trasparente. Eppure, purtroppo, nella realtà dei fatti, non è proprio tutto così univoco. Progettare con lungimiranza e tutelare, al contempo, la cultura della costruzione, sono certo due obiettivi ambiziosi che, di tanto in tanto, possono però porsi in contraddizione. Questa stessa discordanza emerge anche dalle discussioni condotte di recente sul prosieguo della trasformazione del sedime Hoffmann-La Roche, a Basilea.

Il progetto degli architetti Herzog & de Meuron, che prevede la costruzione di un terzo grattacielo, solleva infatti non pochi grattacapi nella cosiddetta area sud. La realizzazione del nuovo edificio porta con sé problemi di varia natura, primo fra tutti quello di dover sacrificare una vera e propria icona della costruzione industriale: lo stabile produttivo opera di Otto Rudolf Salvisberg, esponente di spicco dell’architettura moderna. Ma non solo. Per far posto al grattacielo, andrebbe completamente raso al suolo anche l’edificio multipiano adibito a uffici, realizzato alla fine degli anni Cinquanta da Roland Rohn. Come emerge dall’articolato dibattito, condotto al riguardo nella cornice degli «Architektur Dialoge» di Basilea, il ventaglio di opinioni è ampio e sfaccettato, a comprova che qui non esiste giusto o sbagliato. Esistono però punti di vista diversi, ciascuno con le proprie legittime giustificazioni. Eppure, ecco i media farsi avanti, pretendendo che la SIA prenda una chiara posizione in materia. È giusto fare tabula rasa per lasciare spazio al futuro? Oppure è imperativo tutelare il patrimonio costruito? O forse meglio restare «svizzeramente neutrali», con il rischio di venire poi rimproverati di non avere una propria opinione al riguardo?

La SIA si trova insomma di fronte a un vero e proprio trilemma, e non è la prima volta. Di fatto, ciascuna delle tre vie percorribili porta con sé pro e contro, e altrettante potenziali critiche. Pertanto, in questa causa, così come in altri casi simili, la SIA preferisce non elargire sentenze. Ogni tanto, insomma, vanno prese decisioni univoche, non senza sacrifici.

Anche le sezioni incitano spesso la SIA a una presa di posizione netta, in modo da conferire maggiore peso a un dibattito regionale, spostandolo sul piano nazionale. In questo contesto, capita sovente di dover impedire, anche all’ultimo momento, la realizzazione di progetti che poggiano su procedure non conformi alle direttive SIA. Il che, in realtà, altro non è che mettere in atto la visione e i principi in cui la Società crede. Ma la domanda di fondo è un’altra: occorre davvero che nei quotidiani la SIA venga dipinta come una sorta di «poliziotta delle procedure» o come colei che mette volentieri il bastone fra le ruote ai progetti in via di realizzazione?

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