Am­ba­scia­ta sviz­ze­ra a Nai­ro­bi, Ke­nya

Posto in una città strategica per i rapporti tra Svizzera e Africa, il progetto dello studio Röösli & Maeder adotta un linguaggio e materiali che alludono fortemente all'architettura elvetica, rimarcando sul piano formale le peculiarità di cui l'ambasciata si fa portatrice.

Data di pubblicazione
02-04-2020

Coi suoi massicci muri rossi l’ambasciata svizzera a Nairobi, opera dello studio Röösli & Maeder Architekten, emana eleganza e riserbo. La sua architettura, ecologicamente calibrata, in gran parte è l’esito di un’insolita collaborazione keniano-elvetica.

La via d’accesso attraversa un boschetto che è un probabile residuo della vicina Karura Forest, confinante con il quartiere residenziale. A fine strada c’è una sorpresa cromatica: il semplice muro perimetrale dell’ambasciata svizzera. Nel verde dell’erba ben rasata il suo bruno-rossastro argilloso («coffee soil red») ricorda quel colore del terreno che coi suoi ossidi di ferro, almeno a partire dalla stagione delle piogge, in Kenya tinge senza pietà il basamento di ogni casa. Sfruttando il lieve pendio del terreno, gli architetti hanno fatto sì che guardando l’ambasciata da fuori se ne veda, a seconda dell’angolazione, un piano al massimo.

Solo a chi, dietro il muro, nel giardino rigoglioso, ha già avvistato il rosso brillante della bandiera elvetica e superato la barriera di sicurezza alla portineria, il luogo rivela, nell’ingresso, il proprio lato rappresentativo: gli imponenti lampadari a corona minimalisti, la vetrata frontale a tutta altezza da cui si scorge il giardino tropicale, il massiccio parquet elegante in eucalipto che dalle scale prosegue nei due livelli dell’edificio. Lì i locali dell’ambasciata hanno finestre sorprendentemente ampie, per questo clima e per questa città. La fluidità di vani d’accesso e uffici punta a dissolvere le gerarchie: cooperazione allo sviluppo (DSC), consolato e diplomazia operano sotto lo stesso tetto.

Un segnale nel focus dell’Africa orientale

L’ambasciatore Ralf Heckner espone così la rilevanza regionale del Kenya: «È il centro economico dell’Africa orientale, dove si prendono le decisioni più importanti della regione. La città, inoltre, ospita l’ONU coi suoi programmi per l’ambiente e per gli insediamenti umani. Il nuovo stabile mostra che qui la Svizzera ufficiale persegue una presenza solida e durevole». Anche tutto ciò può spiegare l’architettura pregnante, moderna del nuovo edificio; in effetti questo tipo di segnale dato dagli svizzeri sembra fare scuola, o forse il fatto che anche Francia e Australia hanno curato moltissimo le loro nuove ambasciate risponde a una necessità politica e allo spirito dei tempi. Finora non era scontato: in genere le rappresentanze diplomatiche a Nairobi sorgono sì in quartieri privilegiati, ma spiccano piuttosto per i vetri riflettenti alle finestre, i box dei condizionatori antistanti e gli ingressi incorniciati da capitelli corinzi. L’ambasciata progettata dallo studio Röösli & Maeder rispetta lo standard di sostenibilità della Confederazione e soddisfa i requisiti fissati dall’ONU nell’Environment Programme of Sustainability. Quest’ultimo punto è importante per rendere la Svizzera credibile nei dibattiti parlamentari all’ONU, per evitare cioè, in un certo senso, che la comunità internazionale la veda predicare bene ma razzolare male.

Pareti massicce fatte a mano

Dal giardino la costruzione evoca un rettile rossastro arrotolatosi qui fra gli alberi a fare la siesta. Il bilancio termico del rettile spiega, in chiave semplificata, anche quello dell’edificio: la massa dei notevoli muri in calcestruzzo, privi di strati intermedi e ispessiti da riquadri frangisole intorno alle finestre, è sufficiente per immagazzinare calore diurno o frescura notturna. Gli utenti, se non si ostinano a volere una gamma di temperatura ristretta, possono fare a meno dell’aria condizionata. Nei locali il termometro talvolta segna sì 18 gradi nella stagione fredda e 25 in quella calda, ma secondo Christian Maeder, che ha seguito la costruzione in loco, accade pochi giorni l’anno.

Per lui era importante una struttura in calcestruzzo massiccia, creata sul posto. Dapprima in Svizzera sono stati allestiti modelli di casseri per la facciata con macchine CNC a 4 assi, poi però, visto il risultato, si è detto che in Kenya casseri così complessi per getti faccia a vista non erano fattibili; l’ubicazione dell’ambasciata in un quartiere residenziale, dove l’andirivieni dei camion è soggetto a restrizioni, rendeva inoltre impossibile consegnare il cemento con autobetoniere, quindi agli architetti è stato suggerito da più parti di ripiegare su muri intonacati. «Sono contento che ci siamo attenuti alla nostra idea progettuale originaria e che il committente l’abbia appoggiata», dice Christian Maeder. L’appaltatore generale keniano, accettata la sfida, ha sorpreso tutti per i casseri precisi, realizzati col segaccio, e per il calcestruzzo della qualità voluta, prodotto a mano in cantiere.

«La muratura è eccellente. Questi artigiani keniani meritano il massimo rispetto», osserva l’architetto. Qui molto viene fatto a mano, dalla ghiaia ai componenti per tubi d’aerazione, e a suo avviso è un peccato che tutto questo know-how vada perduto con i prodotti finiti importati. Il fenomeno è frequente: nell’Africa orientale le cose non si fanno come in Svizzera. Se però si spiega bene come dev’essere l’esito finale, alla fine il risultato c’è.

A stupire i keniani, viceversa, sono stati i quattro svizzeri che in meno di una settimana hanno montato tutte le finestre di sicurezza a triplo vetro prefabbricate su suolo elvetico. Le loro strette alette laterali di aerazione sono munite di una fine grata metallica: un posto discreto in cui sistemare anche la croce svizzera, che in tutte le nostre ambasciate trova una qualche forma di interpretazione architettonica.

Sono stati impegnativi i circa due metri di profondità delle fondamenta, su cui gli ingegneri svizzeri hanno insistito per la ridotta capacità portante del terreno. Il direttore dei lavori in loco, Simon Johnson, sorride della scrupolosità elvetica, ritenendo che sarebbe bastato anche meno. E racconta che la sfida maggiore, per gli uffici di costruzione keniani, è stata l’esattezza. Il calcestruzzo è sì comunissimo in Kenya, ma alle tolleranze millimetriche per i getti faccia a vista non si è abituati; alla fine però la cosa è andata in porto, e gli artigiani hanno imparato un parametro nuovo della qualità.

Non restare inattivi ma piantare

Le acque reflue raccolte nella parte inferiore del fondo vengono filtrate tre volte e riutilizzate per mantenere il giardino, in cui gli alberi vecchi, dove possibile, sono stati conservati. Il progetto dello studio Röösli & Maeder prevedeva di «dipanare» la costrizione intorno agli alberi, ma per due kapok ammalati si è reso necessario l’abbattimento; peccato, perché le loro capsule, che aprendosi lasciano cadere sul terreno fitti fiocchi serici, stagionalmente l’avrebbero imbiancato… quasi come fa la neve in Svizzera. D’altra parte nel fondo sono stati piantati molti alberi nuovi. La ricerca delle piante adatte per il tetto a verde è stata lunga, perché non si voleva che diventasse né un tappeto rinsecchito né una giungla debordante; l’idea ha stupito più di un keniano. Eppure già l’attivista ambientale, premio Nobel per la pace e futura viceministra keniana Wangari Maathai era stata a lungo incompresa in patria, quando diceva: «Solo se prima scavi un buco, pianti un albero, lo innaffi e lo aiuti a sopravvivere hai fatto qualcosa; prima hai soltanto parlato». Un motto semplice, ma che anche noi in Svizzera dovremmo tenere presente.

Committenza: Ufficio federale delle costruzioni e della logistica UFCL, Berna
Capoprogetto: Jodok Brunner
Rappresentante della committenza a Nairobi: René Häni, Bautop 2001, Bienne
Architettura: ro.ma. röösli & maeder, dipl. architekten eth bsa, Lucerna
Collaboratori: C. Maeder, P. Röösli, A. Rogger
Architettura in loco: Simon Johnson, DMJ Architects, Nairobi
Construction management: Andrew Ward, General Mathenge Drive, Nairobi 
Architettura del paesaggio: Bruce Hobson, Concrete Jungle, Nairobi
Ingegneria civile: Markus Pieper, BG Ingenieure und Berater, Berna; Khalid Alkizim, Metrix Integrated Consultancy, Nairobi
Ingegneria impiantistica: Maxime Raemy, Benoît Müller, BG Consulting Engineers, Losanna; Gordon Schofield, EAMS Ltd. Consulting Engineers, Nairobi
Fotografia: Iwan Baan, Amsterdam

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