Re­tro­spet­ti­va sul­la Mo­stra In­ter­na­zio­na­le di Ar­chi­tet­tu­ra di Ve­ne­zia

Dilemmi, esperienze, contenitori e tendenze: dalla "Presenza del Passato" al "Laboratorio del Futuro", ripercorrere la storia della Biennale di Architettura è un’occasione per riflettere sul senso della rassegna e sul ruolo dell’architettura.

Data di pubblicazione
10-12-2023

Pochi festival artistici vantano una storia lunga e prestigiosa come la Biennale di Venezia. Negli ultimi decenni, eventi simili si sono diffusi in tutto il mondo, ma l’esposizione in laguna rimane un evento unico, in grado di attirare notevoli risorse e folle di persone, oltre a essere un ottimo motivo per gli architetti di tutto il mondo di incontrarsi al rituale celebrativo dell’inaugurazione.

Fin dalla sua creazione, la Biennale ha mostrato una molteplice valenza culturale. Da un lato, Venezia costituisce un palcoscenico unico, sebbene molto fragile e ancora per poco tempo intoccabile. Dall’altro, la gestione coinvolge molti paesi del mondo e da statuto, ha il compito di documentare e studiare gli aspetti più rilevanti della ricerca progettuale su scala globale. Ogni due anni, il curatore selezionato dal presidente della Biennale deve dare una direzione, in tempi assai ridotti, a una mostra di dimensioni gigantesche, scegliere un tema a cui i contributori e i paesi del mondo aderiscano e affrontare la questione di come una mostra di architettura possa funzionare da barometro per lo stato attuale della disciplina.

Nel costante processo di negoziazione fra la necessità di esplorare il passato, analizzare il presente e anticipare il futuro, la Biennale è sospesa fra dilemmi e contraddizioni: se adottare uno sguardo critico o semplicemente divulgativo, in che modo esporre l'architettura, quale architettura mettere in mostra. Il tema della mostra è condensato in un titolo, che funge da manifesto e veicolo di comunicazione prima, durante e dopo l’esposizione. A questo proposito, il Padiglione della Lettonia nell’edizione in corso The Laboratory of the future, offre una rappresentazione provocatoria della Biennale come un minimarket con casse e carrelli, che espone i titoli delle edizioni passate come se fossero prodotti confezionati. Gli slogan posti sugli scaffali si rivolgono pronti al consumo al visitatore, che diventa responsabile di ogni acquisto; allo stesso tempo, inducono a riflettere sulla pressione di produrre concetti e visioni, talvolta sovraccarichi di significato, per fare parte dell’evento.

Quando a Jacques Herzog è stato proposto di essere curatore della manifestazione, ha dichiarato di non sentirsi pronto e disponibile, proprio per la difficoltà di presentare l'architettura come un prodotto confezionato. “L'architettura è fatta per essere esposta da qualche parte, e questo è molto diverso da una mostra d'arte. Se dovessi curare la Biennale, si tratterebbe dell'impossibilità di esporre l'architettura”1. Una mostra di architettura ha effettivamente il limite di non poter esporre gli oggetti costruiti ma solo una loro rappresentazione. “Con la messa in valore degli oggetti generati nel corso del processo di progettazione, la mostra sposta l'attenzione dall'oggetto finito al processo, dall'opera costruita all'idea, dalle proprietà fisiche dell'edificio alla sua concezione e alla sua ricezione critica.”2 D’altra parte, questa limitazione contribuisce a dare un'interpretazione più ampia e aperta della disciplina, orientata verso la formazione di un insieme di pratiche e un modo di concepire e agire nel mondo.

Esperienze

Non sempre gli architetti si sono rivelati bravi curatori. Il lavoro dell’architetto è progettare lo spazio di vita dell’uomo, offrire un’esperienza, ispirare una riflessione. Nel corso delle edizioni passate, sono emersi progetti espositivi che hanno permesso ai visitatori di sperimentare lo spazio in modo tangibile. “Hormonorium”, l’installazione all’interno del padiglione Svizzero del 2002, realizzata da Decostéred e Rahm, simulava un clima alpino a 3.000 m di altitudine, uno spazio fisiologicamente stimolante ottenuto riducendo il livello di ossigeno dal 21% al 14,5%. Con “Metavilla” (2006), Patrick Bouchain ha trasformato il padiglione francese in uno spazio abitativo informale, dove cucinare, incontrarsi, lavarsi e dormire. Per “After the Party” (2008) OFFICE Geers Van Severen ha allestito una festa fittizia per celebrare il centenario del padiglione belga, costruendo un recinto che metteva in scena l’involucro dell’edificio, il cui spazio interno era lasciato deliberatamente vuoto. Nel Giardino delle Vergini all’Arsenale, realizzato da Piet Oudolf nel 2010, Alvaro Siza ha mostrato come un’installazione possa dare forma e significato a un luogo; il suo Percorso, formato da tre pareti indipendenti e intrecciate colorate di rosso, rievocava il complesso tessuto urbano di Venezia. O ancora, nel padiglione svizzero nel 2016, Christian Kerez ha presentato Incidental Space, uno spazio che sconvolgeva l’abituale sistema di riferimento del visitatore attraverso un’architettura che non rappresentava null’altro che l'esperienza spaziale in loco. In maniera più letterale, i curatori di Unfolding Pavilion, un evento temporaneo parallelo al programma ufficiale, mettono in mostra edifici significativi ma generalmente inaccessibili, come la Casa alle Zattere di Gardella e le abitazioni sociali alla Giudecca di Valle, permettendo ai visitatori di viverli in prima persona. L'edizione attuale della rassegna alternativa è dedicata ai Giardini di Castello e rappresenta un manifesto della colonizzazione della città da parte della Biennale.

Contenitori

Fino all'inizio dell'Ottocento, l’area dei Giardini ospitava edifici storici, chiese, conventi e altre costruzioni minori. Nel 1807, un decreto di Napoleone stabilì la creazione di una passeggiata pubblica e di un giardino. Il progetto urbanistico fu affidato a Gian Antonio Selva, che realizzò l'interramento di una parte del rio di Castello per creare la Strada Eugenia (poi via Garibaldi) e un piazzale d’ingresso al nuovo parco. L'idea di organizzare una Mostra Internazionale d'Arte a Venezia nacque un secolo dopo, durante incontri tra artisti e appassionati al Caffè Florian. Fra i partecipanti figurava il sindaco della città, Riccardo Selvatico, che nel 1895 s’impegnò personalmente nell'organizzazione della prima Biennale. L'evento ebbe luogo al Palazzo”Pro Arte” nei Giardini, che furono parzialmente recintati per l'occasione, interrompendo il processo di reintegrazione dell'area nella città. Il complesso espositivo dei Giardini di Castello, formato da padiglioni isolati fra gli alberi, oltre a essere una peculiarità della Biennale di Venezia, è un vero e proprio museo dell’Architettura del Novecento, che comprende interventi di Scarpa, Hoffmann, Rietveld, Aalto, BBPR, Fehn e Stirling.

Nel corso del ventesimo secolo, la Biennale ha ampliato il proprio raggio d’azione, includendo i festival internazionali di Musica (1930), Cinema (1932), Teatro (1934) e Danza Contemporanea (1999). Architettura, a differenza delle altre sezioni, è nata come una mostra da svolgersi in anni alterni all’esposizione d'arte. La sua creazione fu la risposta alla crisi istituzionale scaturita da un periodo d’instabilità politica, in seguito alle proteste studentesche e sindacali diffuse in Europa nel 1968. Ne seguì un lungo processo di riforma dell’istituzione, che fino allora aveva operato secondo le regole stabilite durante la prima guerra mondiale dal governo fascista. Dal punto di vista curatoriale, la disciplina fu inserita nel settore delle arti visive nel 1975, sotto la direzione di Vittorio Gregotti, che realizzò in successione importanti mostre tematiche in diverse località di Venezia. Solo nel 1980, con la celebre esposizione La presenza del Passato, curata da Paolo Portoghesi, architettura divenne una sezione autonoma.

Tendenze

Nelle Corderie dell’Arsenale, un lungo edificio in mattoni prima utilizzato come stabilimento per la produzione di cordami e cavi per le navi, Portoghesi affronta il paradosso delle mostre di architettura: la sfida di esporre un edificio all'interno di un edificio. “La Strada Novissima” è fabbricata attraverso la collaborazione attiva di venti architetti, ognuno dei quali progetta una facciata, il cui insieme offre una nuova prospettiva su uno spazio urbano emblematico. L’installazione, un intelligente “dispositivo di curatela spaziale e rappresentativa”3, deve il suo successo a un’aggressività visiva e un’efficacia comunicativa, caratteristiche distintive del movimento post-moderno. Charles Jencks chiarisce in proposito: “Invece di costruire gli edifici - non avevamo né il tempo né i soldi - abbiamo costruito le facciate e abbiamo fatto passare il messaggio perché era amplificato dai media.”4Un anno prima, in occasione della mostra Venezia e lo spazio scenico, Portoghesi commissionò la realizzazione di un teatro a Aldo Rossi. Il Teatro del mondo, costruito nei cantieri navali di Fusina e trasportato con un rimorchiatore a Punta della Dogana, è diventato un’icona dell’architettura intesa come evento.

Dopo un’edizione curata dallo stesso Portoghesi, Architettura nei Paesi islamici, per la terza mostra Progetto Venezia, il nuovo direttore Aldo Rossi espone i risultati di un concorso per la riqualificazione e la trasformazione di specifiche zone della città lagunare e del suo entroterra, mostrando la capacità della Biennale di generare nuovi contenuti. L’edizione successiva Hendrik Petrus Berlage. Disegni, curata da Rossi a Villa Farsetti, costituisce l’unico esempio di esposizione monografica. Architettura è ormai diventata una parte strutturale della Biennale. La Quinta Mostra Internazionale di Architettura del 1991, diretta dallo storico e critico d’architettura Francesco Dal Co, si distingue per l’assenza di un titolo e di un tema unificante, privilegiando la diversità e la varietà di proposte. Il formato prevedeva la partecipazione autonoma dei padiglioni nazionali e di 43 facoltà di architettura. I concorsi per la ristrutturazione del Padiglione Italia, del Palazzo del Cinema e la riqualificazione di piazzale Roma (anche se mai realizzati), testimoniano l’intenzione della Biennale di incidere sullo sviluppo di Venezia. Viene inoltre realizzato il nuovo Padiglione del libro su progetto di James Stirling, destinato a diventare un’icona dell’architettura all’interno dei Giardini di Castello. Nella successiva edizione del 1996, per la prima volta, un architetto non italiano, Hans Hollein, presenta Sensori del Futuro: L'architetto come sismografo, mettendo in luce le nuove tendenze che trovano espressione nell’opera individuale dei singoli autori. L’architettura si è personalizzata e risulta superfluo cercare di individuare un movimento o una convinzione condivisa, perché non considerare le realizzazioni singolarmente e accettarne la loro unicità?

Con l'arrivo del nuovo secolo, le mostre si susseguono regolarmente con un ritmo biennale e sono per lo più dirette da critici e storici di architettura, che cercano con modalità distinte di fornire una visione completa dell'architettura su scala globale. I programmi si riflettono nei titoli scelti dai curatori: Less Aestethics More Ethics di Massimilano Fuksas, Next di Dejan Sudjic, Metamorph di Kurt W. Foster, Città Architettura e Società di Richard Burdett e Out There. Architecture Beyond Building di Aaron Betsky. L'impiego di nuove tecnologie e la partecipazione di artisti e fotografi mettono in luce la necessità di un approccio interdisciplinare per affrontare le sfide del presente ma con la vertiginosa diffusione dell'informazione, la rappresentazione panoramica dello stato dell'arte come modello per l'allestimento mostra alcuni limiti, tanto che queste Biennali sono state definite “una sequenza di crisi”5. In contrasto a questa tendenza, nel 2010 Kazuo Sejima, la prima donna a curare la mostra, offre a ogni partecipante un’area di grande dimensioni, in modo da poter utilizzare lo spazio come mezzo per esprimere il proprio pensiero. La sua mostra People meet in Architecture incoraggia gli architetti a presentare ambienti in scala 1:1, nei quali i visitatori possano accedere alle strutture e sperimentare l’architettura come esperienza fisica. Gli allestimenti modellano lo spazio utilizzando luce, suono, vapore acqueo, vegetazione, immagini proiettate e filmati. Due anni dopo, David Chipperfield ritiene che sia giunto il momento di ritornare alla solidarietà tra gli architetti, incarnata nel concetto di Common Ground e nelle scelte condivise per garantire la sopravvivenza della professione, stimolando i colleghi a reagire alle attuali tendenze che enfatizzano azioni individuali e isolate. In una società che celebra il superfluo, l’architettura può, nel proprio ambito, opporre resistenza e parlare il proprio linguaggio. 34 anni dopo aver partecipato alla prima edizione nella “Strada Novissima”, Rem Koolhaas realizza Fundamentals, una mostra storica che esplora i fondamenti dell'architettura. In “Elements of Architecture”, finestre, porte, pavimenti, soffitti e scale mobili di diverse epoche vengono presentate in una sorta di showroom come articoli di un catalogo. Con “Absorbing Modernity: 1914-2014”, i padiglioni nazionali sono invitati a partecipare a una riflessione comune sull’eredità del ventesimo secolo fra utopie, realizzazioni e fallimenti. Reporting from the front di Aravena mette in luce la dimensione politica insita nella professione; i partecipanti sono schierati e i progetti diventano strumenti di cambiamento sociale di cui l’architetto si fa carico. Attraverso il concetto di Freespace, Grafton Architects celebrano la cultura condivisa dell'architettura, dimostrando quanto possa essere inventiva, confortante, modesta ed eroica quando è messa al servizio dei bisogni degli esseri umani.

Le edizioni più recenti, How We Will Live Together?, curata da Hashim Sarkis e The Laboratory of the Future di Lesley Lokko, affrontano le sfide globali che affliggono il pianeta: dalla crisi climatica alle migrazioni, dalle instabilità politiche all'aumento delle disuguaglianze razziali, sociali ed economiche. In una società liquida, interconnessa e globale, l'architettura s’inserisce in modo più sottile nel tentativo di affrontare le sfide contemporanee su scala mondiale. L'attenzione principale è così rivolta alla denuncia delle problematiche sociali, ecologiche e politiche, tanto che secondo diverse critiche a rimanere assente dal dibattito è proprio l’architettura. Questo cambiamento solleva interrogativi sull’identità della manifestazione: è forse riduttivo definirla esclusivamente “Biennale di Architettura”, anziché per esempio “Biennale per la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta”? Oppure, al contrario, “un prossimo laboratorio del futuro potrebbe rinunciare alla presunzione di salvare il mondo. Scontenterebbe gli indignati di professione, ma contribuirebbe al compito più urgente e grave dell’architettura contemporanea: trovare il suo ruolo in una nuova possibile civiltà sostenibile.”6 La comprensione degli eventi attuali richiede uno sforzo maggiore; per valutarne appieno il significato è necessario il passare del tempo. L’Archivio storico delle Arti Contemporanee custodisce il patrimonio della Biennale, offrendo un prezioso strumento alle future generazioni per esaminare le linee teoriche e proporre rivisitazioni critiche. Più che essere preoccupati sul senso della Mostra Internazionale in laguna, occorre interrogarsi, per chi ne abbia voglia, sul ruolo e sul destino dell’architettura.

Note

  1. Jacques Herzog, in Jacques Herzog: The Reluctant Exhibitionist, iconeye.com, Christopher Turner, 2014
  2. Eve Blau, Curating Architecture with Architecture, in Log No. 20 Curating Architecture, 2010
  3. Léa-Catherine Szacka, “The 1980 Architecture Biennale: The Street as a Spatial and Representational Curating Device”, in OASE 88
  4. Charles Jencks, intervista con Eva Banscome, 200
  5. Marco De Michelis, Architecture Meets in Venice, in Log No. 20 Curating Architecture, 2010
  6. Vittorio Magnago Lampugnani, Biennale Venezia 2023: indignazione senza architettura, Domus 1081, luglio 2023

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