L'e­sem­pio di Zu­ri­go

Editoriale 3/2014

La città è di più, infinitamente di più, che un semplice insieme di qualche migliaio di case. Hans Bernoulli, 1946

Data di pubblicazione
05-06-2014
Revision
08-10-2015

Nell' archi 3/2014, l’architetto della città di Zurigo Patrick Gmür racconta che nelle aree cittadine di superficie maggiore di 6.000m2, la norma in vigore consente di aumentare la densità edificabile rispetto a quella ordinariamente stabilita a condizione che il progetto risulti particolarmente interessante sotto il profilo architettonico e comporti un vantaggio urbanistico. E poi al naturale quesito – come si può garantire un’architettura di elevata qualità – risponde che il modo più efficace è quello di consigliare agli operatori di organizzare concorsi, alle cui giurie partecipino rappresentanti dell’Ufficio per la pianificazione territoriale urbanistica della città.

Questo passo dell’importante racconto di Gmür ci sollecita due riflessioni. La prima è che è possibile gestire la discrezionalità nel giudicare la qualità di un progetto architettonico, soltanto se vi sono obiettivi ampiamente condivisi, una cultura comune, tra architetti, addetti della pubblica amministrazione, politici, investitori privati. La seconda è che i concorsi sono considerati un valido, democratico e normale strumento di gestione della cosa pubblica (anche quando la proprietà è privata) da tutti gli attori che partecipano alla costruzione della città. 

È chiaro che la condizione ticinese è diversa da quella di Zurigo. Qui le città sono molto piccole, non ci sono vaste aree industriali dismesse da trasformare, la proprietà fondiaria è molto frammentata, non ci sono tradizioni di associazionismo cooperativo, né la politica ha costruito nel tempo una capacità di intervento autorevole nella gestione del territorio, né, infine, la cultura architettonica ha sviluppato un livello di riflessione e di elaborazione adeguato alla scala delle trasformazioni territoriali in atto. E solo negli ultimi anni la cultura architettonica sta prendendo consapevolezza e organizzando confronti su questi temi cruciali. Per questo Archi dedica molto spazio alla questione delle abitazioni e delle città, al grande tema della densità, e della qualità che la strategia della densificazione deve perseguire, offrendo materiali alla riflessione e alla ricerca di proposte e progetti adeguati alla specifica realtà urbana e territoriale ticinese.

All’ultima domanda dell’intervista, su quali misure sarebbero da adottare in una città la cui cultura edilizia negli ultimi anni è stata caratterizzata principalmente dalla speculazione immobiliare e che inoltre soffre del problema dei trasporti, Patrick Gmür risponde che è necessario un denominatore comune, un’idea di città, un progetto da elaborare e da condividere convintamene tra tutti gli attori sociali interessati, un progetto complessivo di sviluppo, che tenga assieme tutti gli elementi di cui è composta la città.

La forte progettualità, che caratterizza questa fase dello sviluppo di Zurigo, esprime un’architettura di grande qualità, adeguata al livello della trasformazione urbanistica in atto. Sono le grandi modificazioni economiche e territoriali a provocare il rinnovamento dei linguaggi. Come sottolineano Andrea Casiraghi e Stefano Tibiletti nel loro commento ai progetti pubblicati nell'archi 2/2013, la componente figurativa caratterizza gran parte dell’architettura impegnata nel rinnovamento della città, con un dichiarato riferimento, in molti dei suoi autori, all’architettura milanese del dopoguerra. È molto interessante questa relazione, traslata nel tempo, tra culture architettoniche che hanno avuto storicamente pochi e isolati contatti. A testimoniare questo speciale interesse, l’ultimo numero del 2013 di «Werk, Bauen und Wohnen» è stato dedicato al 100° compleanno di Luigi Caccia Dominioni e alla sua opera, un anniversario che nei media italiani è stato appena citato. 

Quella felice fase dell’architettura milanese, cui hanno fatto esplicito riferimento diverse altre culture architettoniche, come quella catalana con Josep Antoni Coderch, ha accompagnato la ricostruzione e lo sviluppo postbellico reagendo a quello stile, diffuso internazionalmente, che omologava il linguaggio moderno in un vocabolario che, annullando le differenze, tradiva le stesse ragioni della modernità. Ebbene, l’esercizio figurativo cui si stanno dedicando questi architetti zurighesi si può forse comprendere come alternativo alla precedente diffusione di un linguaggio più astratto, in alcuni casi minimalista fino alla ricerca dell’inespressivo, che è risultato invece inefficace a rappresentare il realismo di una nuova fase di costruzione della città. Nei cinque progetti pubblicati troviamo anche la riscoperta della composizione, del disegno cioè di fronti composti di più parti ed elementi, per esercitarsi nella quale bisogna ricorrere a regole, che perpetuano, in modi nuovi e tecnicamente aggiornati, più antiche lezioni progettuali. Così concepita, la composizione impegna anche i fronti dei fabbricati nella ricerca di relazioni con il contesto, cioè a fare città.

La Milano di oggi, invece, vive una fase di rinnovamento decadente. Due termini apparentemente contradditori, ma che esprimono lo smarrimento del carattere, l’incapacità di continuare se stessa.

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