Il rapporto tra urbanistica e politica per progettare la città di domani
Intervista a Patrick Gmür, direttore dell’Amt für Städtebau della città di Zurigo.
L’intervista è stata raccolta a Zurigo il 10 aprile 2014 da Stefano Tibiletti, assieme a Federica Colombo, presidente di SIA Ticino.
Archi: Zurigo è considerata una delle città con la qualità di vita più alta al mondo. Il suo sviluppo urbanistico può essere preso a modello da altre città. Il tema «Coniugare centro e quartieri periferici» è stato, negli scorsi quattro anni di legislatura, un ambito d’intervento importante per il consiglio comunale. Quali sono a Zurigo le strategie e i progetti per definire la città e la sua pianificazione? E come si relazionano questi progetti con il sopracitato tema della legislatura?
Patrick Gmür: La domanda è interessante. Prima di cominciare a rispondere, vorrei però fare un passo indietro e mettere in evidenza la dimensione politica del piano urbanistico: a Zurigo la politica ha riconosciuto che l’architettura e l’urbanistica costituiscono una parte importante del mondo che ci circonda e si è così dichiarata favorevole alla promozione di una «buona pianificazione» e di una «buona architettura». Questo riconoscimento contribuisce in modo sostanziale al successo della pianificazione urbanistica di Zurigo e ha una sua tradizione. Quando la città di Zurigo, nel 1893, inglobò i comuni circostanti e divenne così una grande città, il ruolo dell’architetto o ingegnere municipale esisteva già. Inoltre la pianificazione urbanistica qui come in altre grandi città, ha una sua storia. Senza il lavoro di Arnold Bürkli, ad esempio, non avremmo il lungolago e senza Albert Heinrich Steiner non sarebbe mai nata la città giardino di Schwamendingen.
Sono convinto che, se ci si vuole imporre nell’ambito dell’architettura o dell’urbanistica, il sostegno della politica sia imprescindibile. Ma come lo si ottiene? A Zurigo ci sono da anni dei punti fermi che il consiglio comunale ridefinisce nell’ambito di ogni nuova legislatura. Questi punti riguardano determinati temi e stabiliscono dei campi d’intervento. Negli anni 2010-2014 uno dei punti fermi era «Coniugare centro e quartieri periferici». Negli anni precedenti c’erano tra gli altri i temi «Pianificare e costruire per la città di domani», «Abitazioni per tutti» o «10.000 abitazioni in 10 anni». Vede, in questo modo la politica riconosce il grande significato dell’urbanistica, della pianificazione e dell’architettura. Naturalmente c’è anche uno stretto legame con altri temi come la politica sociale, la sostenibilità e per questo è necessario un progetto interdisciplinare.
Un altro strumento che ci sostiene politicamente e ci rafforza sono le strategie per il 2025. Si tratta del tentativo di definire una visione della città di Zurigo per l’anno 2025. Nel 2007 e nel 2011 il consiglio comunale si è chiesto che aspetto dovrà avere Zurigo nel 2025. Gli sono state rivolte tre domande a questo proposito «Di cosa vivremo domani? Come vivremo? E come ci organizzeremo » Il consiglio comunale ha cercato di rispondere a queste domande insieme all’amministrazione, ha poi sviluppato delle strategie e stabilito degli obiettivi. Quindi Zurigo nel 2025 dovrà essere una città residenziale con una popolazione mista, una città con una qualità di vita alta oppure un polo innovativo dal punto di vista scientifico e economico. Questi obiettivi danno un’immagine del futuro ancora relativamente vaga. La cosa interessante tuttavia fu che il consiglio comunale, in seguito a queste ipotesi, incaricò l’amministrazione di sviluppare delle immagini futuribili della nostra città.
Tutto questo introdusse alla strategia di sviluppo territoriale (RES) elaborata dall’ufficio urbanistico della città unitamente ad altri settori. La RES si fonda su un’attenta analisi della città perché per pianificare è indispensabile conoscere le qualità territoriali e urbanistiche della città. Con nove strategie parziali, vincolanti per gli uffici competenti, lo sviluppo della città viene ora indirizzato nella direzione desiderata. Le strategie parziali sono a loro volta strettamente collegate ad altri strumenti di pianificazione come il Piano direttore regionale, il regolamento edilizio e il regolamento di zona, il procedimento cooperativo e i progetti creativi o l’inventario degli oggetti da tutelare per il loro valore artistico e culturale.
Come lei può osservare, si tratta di un sistema estremamente complesso in cui la politica e l’amministrazione, insieme alla popolazione della città di Zurigo, ai proprietari e agli investitori, stabiliscono, tramite visioni, strategie e diversi strumenti di pianificazione, la direzione di sviluppo della città. Questo è un processo della durata di parecchi anni che richiede costanza e capacità di imporre le proprie idee. Io però sono profondamente convinto che in questa modalità risiede il grande segreto della città di Zurigo. Noi riusciamo ogni volta a conciliare interessi spesso divergenti e a trovare un compromesso elvetico.
La città di Zurigo presenta l’attuale revisione del regolamento edilizio e di zona con lo slogan «Crescere sì, ma nel modo giusto» come lo devono interpretare architetti e urbanisti, e come invece i cittadini?
Devono capire tutti la stessa cosa. «Crescere sì, ma nel modo giusto» per noi significa che nella città di Zurigo si può e si deve continuare a costruire. Intendiamo però inoltre che, nel quadro di questa crescita, le qualità della nostra città vanno conservate o addirittura rafforzate. Questo significa ad esempio che il paesaggio urbano verrà modificato nel luogo «giusto», che dovrà continuare a esserci una buona commistione sociale e che la costruzione di abitazioni o di edifici a uso commerciale non potrà avvenire se non con la necessaria infrastruttura ovvero verde pubblico, scuole e buoni collegamenti. È a questo scenario che allude lo slogan. Vogliamo crescere in un modo che sia giusto per tutti e vogliamo rimanere una città per tutti, quindi nella stessa misura per i ricchi e per i poveri, per i giovani e per i vecchi, per le famiglie e per i single, per coloro che sono nati a Zurigo e per quelli che vi si sono trasferiti, per gli investitori e per i proprietari, per i pianificatori e per gli architetti, per le attività commerciali e per tutte le altre professioni possibili.
Noi siamo parte di un tutto. Per questo, tra le altre cose abbiamo rielaborato il regolamento edilizio e il regolamento di zona del 1999. Ma anche le nuove conoscenze ottenute in base alle strategie per il 2025 e alle strategie per lo sviluppo territoriale, che hanno maturato un’esperienza di quasi quindici anni con il regolamento edilizio e il regolamento di zona in vigore nonché con la revisione del Piano direttore cantonale, ci hanno indotto a questa rielaborazione. Siccome però sussistono moltissimi interessi in parte anche divergenti in fin dei conti si tratta pur sempre dell’uso parcellizzato di un terreno e quindi di denaro la revisione del regolamento diventa una questione squisitamente politica. Questo è un fatto che si è potuto osservare molto bene nei mesi scorsi.
Subito dopo Vienna, siamo la città con la più alta qualità di vita al mondo. Oltre all’ambiente politico e sociale, oltre alle condizioni economiche e al sistema sanitario o ai servizi pubblici, è l’immagine attraente e interessante del nostro paesaggio urbano a conferirci questo secondo posto. Economia e identità si condizionano a vicenda. Il significato dei valori etici condizionerà sempre più in futuro gli interessi economici. Anche per questo le qualità architettoniche e urbanistiche di ogni città assumeranno un peso sempre maggiore nell’ambito della concorrenza globale. Ne sono assolutamente certo.
Il cambiamento più evidente nel paesaggio urbano di Zurigo sono sicuramente le torri, che hanno origine nel regolamento edilizio e di zona (BZO) del 1999. In che forma questa esperienza ha contribuito allo sviluppo dei nuovi progetti di densificazione contenuti nel BZO riveduto del 2014?
Bisogna capire quello che accadeva all’epoca. Negli anni Novanta l’industria se n’è andata dalla città. I proprietari dei terreni volevano sfruttare il loro capitale. Ed era anche l’epoca in cui il settore delle banche e quello dei servizi prendevano sempre più spazio sottraendolo alle aree abitative. Allora Ursula Koch, socialdemocratica, era responsabile del dipartimento per l’edilizia. La sua era una politica di «crescita controllata». La necessità di trovare abitazioni a prezzi accessibili collideva con la richiesta di spazio per gli uffici. Questo portò a un vero e proprio scontro che mi piace definire con l’immagine della «pentola a pressione». Se è vero che nel ’92 la popolazione accettò il nuovo regolamento edilizio, è anche vero che tale regolamento fu in seguito bloccato da centinaia di ricorsi e che tre anni più tardi fu sostituito dal BZO 95. Il BZO 99, oggi in vigore, nasce infine da un compromesso: è un buon regolamento edilizio perché contiene grandi clausole. Quando, costruendo, si cominciarono a sfruttare quelle clausole, emerse la questione delle torri. L’ufficio urbanistico sviluppò successivamente un ordinamento per la costruzione delle torri che entrò in vigore nel 2005.
Questo ordinamento definisce per un verso tre zone differenti in cui è possibile costruire ad altezze diverse, mentre nelle altre zone della città ad esempio sui pendii, nella città vecchia o sulle rive del lago non si possono costruire torri. D’altra parte le costruzioni, anche nelle tre zone libere, devono sottostare a determinate esigenze qualitative. Devono perciò portare dei vantaggi sul piano urbanistico e mostrare dei pregi sul piano architettonico. Perché la qualità architettonica possa essere garantita, consigliamo ai professionisti di discutere preventivamente il progetto con l’ufficio per la pianificazione territoriale e urbanistica della città. In seguito il progetto dovrà ancora essere approvato dalla commissione edilizia il cui direttivo sottostà anch’esso all’Ufficio per la pianificazione territoriale e urbanistica. La commissione consta di otto membri indipendenti tra i quali vi sono architetti noti a livello nazionale e internazionale. All’interno di quest’organo si trovano anche due consiglieri di Stato. Così, dopo discussioni a volte anche complesse, alla fine viene sempre favorito il progetto che soddisfa sia le esigenze politiche che quelle urbanistiche e architettoniche. In questo modo riusciamo a sviluppare la città in armonia con la politica e quindi con i rappresentanti eletti democraticamente dalla popolazione. Al tempo stesso è possibile mantenere un livello molto elevato di qualità architettonica e urbanistica.
Ad esempio una torre deve possedere requisiti estetici particolarmente alti. La strada migliore per assicurarne la qualità è il concorso d’architettura. Consigliamo perciò sempre di bandire un concorso. In questo modo è la giuria che sceglie il progetto migliore, dopo di che la scelta viene ratificata dalla commissione edilizia e così la qualità è doppiamente garantita. D’altronde, laddove sia la stessa città di Zurigo la committenza, anch’essa bandisce un regolare concorso, e non soltanto per le torri: anche quando si tratta del piano di zona particolareggiato o della ripianificazione di interi quartieri o edifici pubblici. Questo fa sì che noi, a Zurigo, possiamo dire di avere un ambiente molto vivace dal punto di vista architettonico. Ci sono molti uffici, anche giovani, che grazie ai concorsi hanno la possibilità di mettere alla prova le proprie capacità, di ottenere incarichi e alla fine di realizzare i loro progetti.
Nell’opuscolo Dichter («Più densi», una documentazione sui cambiamenti urbanistici a Zurigo) vengono presentati 30 esempi che rivelano un’alta qualità architettonica e urbanistica. Le chiediamo: che ruolo ha svolto l’Ufficio per la pianificazione territoriale e urbanistica nella gestione del progetto? Inoltre ci ha colpito il fatto che tra i committenti figurino non solo delle cooperative ma anche molte realtà private come agenzie assicurative, banche, fondazioni, agenzie immobiliari o imprese generali. Quali strumenti di pianificazione possono garantire soluzioni così diverse e interessanti? Sono state scelte attraverso concorsi o gare d’appalto?
A Zurigo esistono moltissimi terreni di dimensioni superiori ai 6000m2, sui quali è possibile edificare secondo la normativa vigente o una regolamentazione speciale, l’Arealuberbaung (area con progetto urbanistico alla quale vengono concesse deroghe sugli indici). Ovvero, quando un progetto risulta particolarmente interessante sotto il profilo architettonico e comporta un vantaggio urbanistico, la committenza può chiedere di costruire più di quanto stabilito e sfruttare così al meglio la zona. In tal caso, per esempio, essa può fabbricare in una zona residenziale da 3 fino a 7 piani e, includendo piano interrato e soffitta, arrivare a 9. Nell’opuscolo Dichter sono riportati questi esempi.
La questione centrale tuttavia è: come si può garantire un’architettura di elevata qualità? A mio parere il modo migliore è bandire concorsi e mandati di studio. L’Ufficio per la pianificazione territoriale urbanistica ha sempre una rappresentanza all’interno delle giurie - in veste di consulente o con diritto di voto -, sia che si tratti di concorsi aperti o a invito. In questo contesto c’è un’altra cosa importante: il nostro Ufficio mette a disposizione anche una consulenza architettonica. Come dice il nome stesso, quest’organo offre consulenze in materia architettonica sia alla committenza che agli architetti stessi. Abbiamo inoltre elaborato un Best Practice, un documento che funge da guida per committenti e architetti e fornisce loro informazioni sui criteri di valutazione e sui possibili diversi procedimenti.
Fra i punti principali dell’attuale revisione del BZO figura l’adeguamento delle norme e l’uso dei piani interrati e dei piani terreni. Ci farebbe piacere sapere qualcosa di più in proposito, come pure sulla qualità urbana dei diversi quartieri residenziali in materia di densità e d’identità.
Alla fine la questione ruota sempre intorno alla definizione di cosa s’intende per piano interrato o piano terreno. Nel BZO 99 il legislatore ha avanzato la proposta di rendere utilizzabili i piani interrati di un fabbricato su un terreno in pendenza. Fin qui d’accordo. A questo punto però ci si chiede cosa succede con il piano interrato quando si costruisce su una zona piana. Un giurista ingegnoso ha fatto ricorso contro il privilegio di coloro che posseggono un’abitazione su un terreno in pendenza. La decisione del tribunale ha infine stabilito che il piano interrato, quando è sotto di circa 10cm, non rientra più nell’indice di edificabilità indipendentemente dal fatto che il terreno si trovi in pendenza o meno. Si è così arrivati al cosiddetto «piano interrato zurighese». All’improvviso, quasi tutti i progetti, vista la rendita maggiore, prevedevano dei «piani interrati» indipendentemente dal fatto che funzionassero o meno con l’architettura dell’edificio. Una cosa, questa, che volevamo correggere nell’attuale revisione del BZO. Un piano interrato deve rimanere un piano interrato e un piano terreno non deve più essere classificato come il primo piano superiore. Sicuramente ha letto sui giornali che questa proposta ha incontrato grande resistenza. Ora stiamo cercando una soluzione che sia praticabile per tutti senza che nessuno debba perderci.
Lei mi chiede anche della qualità urbana nei vari quartieri residenziali in relazione alla densità; è evidente che sarà necessario continuare ad aumentarne la densità. Va però assolutamente discusso, vista l’accresciuta densità e l’aumento del numero di piani previsti (che porteranno anche a un incremento della popolazione), come possiamo introdurre anche le necessarie infrastrutture. Affinché un quartiere rimanga attraente o lo diventi, è necessario impegnarsi per la comunità con strutture sociali come scuole, aree verdi o dei buoni collegamenti. Un esempio: in un quartiere vengono edificati 15.000 nuovi appartamenti nel quadro di una pianificazione cooperativa. Questo comporta 7500 bambini in più nel quartiere.
Cosa significhino queste cifre per l’utilizzo pubblico delle infrastrutture, è evidente. È altrettanto evidente che un proprietario non sarà disposto a cedere spontaneamente alla collettività il suo terreno perché vi si costruisca una nuova scuola o un grande parco giochi. È evidente che aumentare la densità senza pensare in modo globale può essere fatale. Ma chi paga i milioni necessari per tutto questo? Solo i contribuenti? O devono fare la loro parte nelle infrastrutture gli stessi proprietari, che grazie al maggior sfruttamento del terreno ottengono comunque una plusvalenza, un guadagno? Cos’è più giusto? Proprio da qui inizia la pianificazione cooperativa che va rinforzata nell’ambito del Piano direttore o degli adeguamenti del BZO e mira a trasformare il suddetto guadagno in infrastrutture. Così tutti possono beneficiarne.
Che ruolo ha il pool di innovazione e sostenibilità nella gestione, nel controllo e nella promozione alla qualità urbanistica e architettonica? E in base a quali criteri le persone entrano a far parte del pool?
Quando, 5 anni fa, ho lasciato la mia funzione di architetto indipendente e sono entrato a far parte dell’ufficio urbanistico della città, per poi diventarne il direttore, mi sono reso conto che i collaboratori dell’amministrazione, gli architetti, i pianificatori e i politici parlano lingue diverse. Un esempio: nel 2008 gli elettori zurighesi hanno detto sì, a grande maggioranza, al piano di sviluppo sostenibile e alla Società a 2000 Watt i cui obbiettivi si riflettono nell’ordinamento comunale. Ci siamo detti, se la Società a 2000 Watt a Zurigo è così importante, noi stessi dobbiamo possedere solide conoscenze sulla sostenibilità e dobbiamo poterle comunicare sia internamente che all’esterno.
Il «pool d’innovazione» è nato per discutere e approfondire i temi attuali che riguardano lo sviluppo territoriale della città dal punto di vista della sostenibilità. Per elaborare questi temi e confrontarci invitiamo dei liberi professionisti specializzati, architetti, urbanisti, conservatori, ma anche persone che hanno posizioni critiche nei confronti della sostenibilità. Così nasce un vero dialogo interdisciplinare. Le conoscenze così acquisite vengono poi documentate e passate ad altri gruppi di lavoro. Nell’ufficio di urbanistica della città di Zurigo abbiamo peraltro sviluppato anche delle linee guida che appoggiano lo sviluppo territoriale sostenibile, e che sono ampiamente documentate nell’opuscolo Weiter («Oltre»).
Le esperienze fatte, «Testplanung» o workshop, soprattutto nell’ambito del risanamento di aree industriali dismesse, vengono utilizzate ancora oggi per la ricerca di soluzioni urbane, oppure nel frattempo sono state sviluppate nuove strategie di pianificazione?
Per rendere più incisive determinate impostazioni del problema e definirle con maggior precisione, lavoriamo ancora oggi con «Tesplanung» (mandati di studio in parallelo) o workshop. L’esperienza ha dimostrato che lo sviluppo della città contemporanea va pianificato con il massimo anticipo e nel modo più ampio possibile per poter essere efficace. E la pianificazione non va fatta soltanto con gli architetti e gli urbanisti, ma anche con organizzazioni, associazioni, con gli abitanti dei quartieri o con il pubblico raggiunto dai media. Per questo il consiglio comunale ha proposto e qui la domanda ci riporta all’inizio di mettere l’accento in questa legislatura sul tema «Coniugare centro e quartieri periferici». Prima si conoscono i bisogni di tutti e più un proposito viene sostenuto e trova un’ampia condivisione e più sarà semplice e veloce sviluppare una soluzione praticabile. Nel processo di densificazione inoltre la comunicazione accurata gioca un ruolo decisivo.
La nostra domanda-chiave: lei ha una ricetta per un piano di sviluppo efficace e futuribile in una città la cui cultura edilizia negli ultimi anni è stata caratterizzata principalmente dalla speculazione immobiliare e che inoltre soffre del problema dei trasporti? E quali sono le misure politiche e anche urbanistiche che la città potrebbe adottare?
Non credo che ci sia una ricetta fatta e finita per questo problema. Ma sono convinto che sia necessario trovare un denominatore comune con tutte le persone interessate e coinvolte, con la politica e con la popolazione, per poter realizzare qualcosa di convincente che sia accettato da tutti.
A Zurigo persino gli investitori constatano che non sempre il massimo è la soluzione migliore né quella economicamente più interessante. C’è una determinata densità all’interno della quale è ancora possibile vivere bene e in modo accattivante. Se questa densità viene superata, gli zurighesi non stanno più bene. Forse questa è anche la differenza che passa tra una città svizzera e una cinese o indiana. A Shanghai o a Mumbai le città esplodono e le torri crescono come funghi, ma l’identità, la storia, la memoria, vanno irrimediabilmente perdute. E le infrastrutture, che accanto ad altri parametri determinano la qualità della vita, mancano: non ci sono più spazi esterni di qualità. Alla fine non ci guadagna nessuno e, ammesso che i conti tornino, gli spazi esterni mancano, i parcheggi non sono risolti, mancano i collegamenti, mancano le scuole, non si può utilizzare il piano terreno e infine non c’è nemmeno più un’identità. Lo sviluppo di una città deve avvenire in modo complessivo.
Si ringraziano Catherine Gläser-Tibiletti e Corinne Gasal per la redazione dell’intervista in lingua originale.