Le sta­zio­ni in Le­ven­ti­na

Il progetto degli interni come matrice di sviluppo territoriale

Da questo numero inizia una nuova rubrica curata dalla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI), che porterà ai lettori di Archi un interessante contributo di informazioni sull’attività culturale e scientifica di una delle istituzioni più prestigiose del Ticino.

Data di pubblicazione
13-06-2016
Revision
16-06-2016
Pietro Vitali
Architetto dipl. ETH, responsabile del corso di laurea in Architettura d'interni della SUPSI

I filoni di indagine del corso di laurea in Architettura d’interni della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) comprendono temi progettuali volti a identificare strategie d’intervento alla scala di pertinenza dell’architettura d’interni, capaci di stimolare uno sviluppo qualitativo dell’ambiente costruito a scala territoriale. 

I mutamenti a cui sono soggetti le città, i villaggi, il territorio, non sono sempre chiaramente identificabili in una singola opera come nel caso di AlpTransit. Grandi cambiamenti avvengono attraverso fenomeni capillari e diffusi, che possono riguardare l’uso di luoghi ed edifici, mutamenti tipologici o il sistema di relazioni che li collegano e li costituiscono.

Se è evidente che il nuovo traforo ferroviario determina un sostanziale cambiamento del territorio, del suo uso e della sua percezione a scale diverse – da quella locale a quella continentale –, è meno eclatante come a scala regionale la sua messa in funzione comporti una serie di importanti conseguenze. Prima fra tutte la dismissione – quantomeno parziale – della linea storica del San Gottardo fra Erstfeld e Biasca.

Per quanto riguarda il versante meridionale è necessario capire come ciò condizionerà il territorio della Valle Leventina, confrontata ancora una volta con gli effetti delle grandi infrastrutture: linea ferroviaria, centrali idroelettriche, industria metallurgica e autostrada. La realtà locale è sempre stata sopraffatta dall’invasività e dallo scarto di scala che queste opere comportano sulla dimensione regionale, sia in occasione della loro realizzazione, che della loro eventuale dismissione.

Nel caso della linea ferroviaria Biasca–Airolo si presenta l’occasione di fare di necessità virtù e immaginare un suo recupero, che consideri e valorizzi il suo potenziale se integrata alle attività e allo sviluppo della regione.

Caratteristica essenziale della linea ferroviaria leventinese è la sua articolazione lineare lungo il fondovalle. In essa si coglie il ruolo che la ferrovia ha giocato nello sviluppo e nella rappresentazione della valle stessa, unita lungo questa linea di binari e ritmata dalle sette stazioni che ne scandiscono le tappe e le potenziali ramificazioni a partire dai villaggi in cui sorgono.

Un altro aspetto fondamentale è il valore patrimoniale di questa infrastruttura e in particolare degli edifici ad essa collegati. La loro rilevanza storica e architettonica può costituire una risorsa sociale, economica e culturale?

È nel cercare di rispondere a questi interrogativi che nel 2013 è stato affrontato il tema del riuso della linea ferroviaria della Leventina, sottoposto a 15 laureandi come lavoro di tesi.

In particolare è stato ipotizzato di progettare una struttura dislocata di accoglienza, insediata negli edifici delle stazioni, collegate fra loro tramite un treno locale, e dove possano essere integrate attività culturali, di svago ed economiche, indirizzate ai turisti e alla popolazione locale. Le sette stazioni sono infatti state riprogettate come un ostello diffuso, distribuito lungo la linea ferroviaria. Per ogni stazione è stata individuata una funzione specifica che valorizzi le risorse del villaggio in cui sorge (sport e prodotti caseari ad Airolo; gastronomia a Lavorgo; architettura e cultura a Giornico; logistica e start up a Bodio, …).

I progetti propongono modalità di intervento in grado di conciliare in modo sostenibile il passaggio dall’alta velocità del nuovo tunnel ferroviario, a un sistema di mobilità lenta volto a favorire il rapporto di prossimità fra le persone, il territorio e le sue risorse.

La struttura originaria delle stazioni della Gotthard-bahn risponde a un disegno unitario, a un sistema architettonico modulare pensato già allora per adattarsi alle diverse esigenze che ogni fabbricato avrebbe dovuto soddisfare, sia per dimensioni che in termini di importanza. Il sistema prevedeva infatti tre classi di «edifici viaggiatori», ognuna caratterizzata da un preciso sistema costruttivo, una struttura modulare e un apparato decorativo unitario. Negli edifici di terza classe il piano terreno alloggiava l’atrio, la sala d’aspetto e un ufficio. A quelli di seconda classe si aggiungevano un wc, una sala d’attesa supplementare e delle verande. Le stazioni di prima classe contavano inoltre un ufficio postale. Tutti gli edifici viaggiatori al primo piano ospitavano l’abitazione del capostazione.

Era inoltre previsto un «edificio merci con rampa» da affiancare alle stazioni a seconda delle necessità, indipendentemente dalla classe dell’edificio viaggiatori.

Lo stato di questi edifici è relativamente buono e favorisce un loro eventuale recupero. Di particolare valore è sicuramente l’unitarietà del carattere architettonico proprio dei sette fabbricati. La conformazione generale delle stazioni è però frutto di alcune modifiche e diverse aggiunte. È stato quindi valutato in che misura le stazioni originarie possono, da sole, rispondere a un nuovo programma funzionale e, viceversa, qual è il valore architettonico degli edifici aggiunti che ne giustificherebbe il mantenimento e il riuso nell’ottica di una valorizzazione dell’intera struttura.

Programma dettagliato e grado di intervento sono il risultato di una valutazione che pondera queste possibili declinazioni.

I progetti elaborati dagli studenti si concentrano sulla trasformazione dei singoli edifici. La qualità delle soluzioni proposte deriva tuttavia dalla traduzione di una visione generale del tema in spazi architettonici che rispondono in modo pertinente e sensibile alle esigenze del progetto. Un approccio che, dal punto di vista disciplinare, non si limita al recupero del singolo oggetto architettonico, ma ha l’ambizione e la forza di contaminare l’area urbana in cui l’edificio sorge, proponendosi in tal modo come matrice di sviluppo territoriale.

Dal punto di vista didattico questa strategia risponde all’esigenza di formare professionisti con chiare competenze specifiche all’ambito dell’architettura d’interni, consapevoli del ruolo e dell’importanza che ha l’architetto d’interni nella società in cui opera; cosciente di essere l’interprete e il progettista di molti mutamenti diffusi e capillari che cambiano il nostro territorio e le nostre città.

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