La lu­ce del co­lo­re

«Il colore è la bandiera dell’umano» (Maria Zambrano: Dire Luce, 2013)

Conversiamo con Daniela Mondini*, docente responsabile del progetto di ricerca dell’AAM/USI «Da Ravenna a Vals. Luce e oscurità in architettura dal medioevo al presente». Il progetto, finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, promuove uno studio trasversale del ruolo e delle valenze estetiche e semantiche della luce, naturale e artificiale, in architettura, dal Medioevo al Contemporaneo.

Data di pubblicazione
24-04-2014
Revision
08-10-2015
Laura Ceriolo
Architetto, dottore di ricerca in storia delle Scienze e Tecniche Costruttive

Laura Ceriolo: La luce e l’oscurità sono il tema della ricerca, ma la luce ha un colore o lo crea. Quando e come i due concetti sono o non sono inscindibili? Ci sono state delle riflessioni in questo senso durante la sua ricerca?

Daniela Mondini: Con gli studi di Isaac Newton, il concatenamento inscindibile fra luce e colore è ormai un dato di fatto indiscusso. Con le sue sperimentazioni sulle caratteristiche ottiche dei prismi, il fisico inglese dimostrò che la luce bianca non è, come ritenevano i suoi predecessori, luce pura, ma si costituisce attraverso la fusione di raggi che suscitano l’effetto di colori diversi. Il bianco nasce dunque dalla miscela ben calibrata dei sette colori dell‘iride. Questi sette colori nascono dalla rifrazione di un raggio di luce solare che passa attraverso un prisma; per raffigurarli, Newton creò un dispositivo detto cerchio cromatico, pubblicato nel suo trattato Opticks del 1704, gettando così le basi per tutte le successive ricerche teoriche sul colore. Anche senza utilizzare un dispositivo «tecnico» come il prisma, è possibile osservare lo strettissimo rapporto tra luce e colore guardando un arcobaleno.

Le nostre ricerche riguardo la luce e l’oscurità in architettura si concentrano su altri aspetti, che però sono sempre connessi al rapporto tra luce e colore. In primo luogo ci interessano le diverse qualità, quantità, i distinti impieghi di luce naturale e artificiale nello spazio architettonico e la relazione fra questi fattori. In un approccio diacronico si possono rilevare importanti modificazioni nel rapporto tra luce naturale e artificiale; ad esempio nell’architettura religiosa si sviluppano differenti forme di finestre e tipi di decorazioni, dalle superfici affrescate ai paramenti musivi o ai rivestimenti marmorei. Inoltre si riscontrano differenze nei riti liturgici, in occasione dei quali è spesso proprio la luce calda, dinamica e preziosa delle candele di cera d’api, ad avere un ruolo centrale.

Laura Ceriolo: La percezione del colore è tecnicamente considerata una qualità della sensazione visiva costruita dal nostro cervello. Tuttavia il processo è strettamente legato ad una particolare proprietà della luce. Come sono state utilizzate queste conoscenze in passato in architettura?

Daniela Mondini: L’impiego del colore e della luce nel progetto architettonico è determinato da complesse condizioni preliminari, che vanno dalla funzione dell’edificio ai mezzi economici e ai materiali utilizzati, dalle possibilità tecniche fino alle aspettative dei progettisti e della committenza. Le condizioni preliminari che determinano la costruzione di una cattedrale gotica nel XIII secolo, di un edificio rurale nel Seicento o di una casa d’artisti nella Germania del primo Novecento sono evidentemente ben diverse.

In linea generale si rilevano due possibilità: la tinteggiatura di una superficie illuminata dalla luce diurna, approccio piuttosto convenzionale, oppure la colorazione della luce stessa. Del primo caso troviamo esempi interessanti nel XX secolo, in quanto l’industria ha messo a disposizione dell’architettura nuove sostanze coloranti. Bruno Taut, grande maestro del costruire «a colori», tinteggiò le superfici esterne della sua casa a Dahlewitz (vicino a Berlino) seguendo il corso della luce solare e l’orientamento dell’edificio. La planimetria della casa è un quarto di cerchio, con la facciata curva rivolta a oriente e dipinta di nero per assorbire e trattenere il calore dei raggi solari. Il prospetto verso il giardino è invece tinteggiato di bianco, in modo da riflettere il calore.

L’architettura del medioevo offre esempi straordinari di come la luce attraversa uno schermo colorato traslucido con le sue vetrate, già impiegate in epoca altomedievale in Svizzera, come testimoniano interessanti reperti archeologici, ad esempio nel monastero di Müstair. Nella cattedrale di Chartres, in una giornata di forte insolazione, i colori delle vetrate risalenti circa agli anni 1220-1230 vengono proiettati sulle pareti e le volte, schermi ottimali grazie ai loro colori chiari. Non sembra però che questo effetto fosse stato primariamente voluto dai costruttori e, già pochi decenni più tardi, le pareti degli interni gotici muniti di vetrate colorate riceveranno una loro cromia più intensa, che annulla questi effetti. Basti pensare alla Sainte Chapelle di Parigi (1248; restaurata nell’Ottocento) o alla decorazione pittorica della basilica superiore di Assisi realizzata negli ultimi decenni del Duecento. L’elemento centrale nell’architettura gotica era la parete traslucida contenente rappresentazioni di santi e storie bibliche; queste immagini sacre, col mutare della luce diurna, acquisivano una valenza epifanica.

L’illuminazione digitale LED con il suo ampio spettro cromatico apre oggi nuove possibilità, tra cui quella di creare spazi di colore variabili e programmabili.

Laura Ceriolo: Le funzioni del colore sono molteplici e la sua materialità è espressa attraverso il potere della luce. Durante le sue ricerche ha potuto verificare esempi concreti al proposito?

Daniela Mondini: Le nostre ricerche prendono in considerazione gli effetti della luce naturale e artificiale sulle superfici architettoniche; i casi studio sono relativi a epoche e programmi architettonici diversi, dall’architettura religiosa dal IV al VI secolo a Ravenna, alle case d’artista del XX secolo a Parigi e in Costa Azzurra all’operato di Richard Neutra in California. Questi studi dimostrano che ogni edificio analizzato prevede una sua specifica regia della luce naturale (mediante aperture e dispositivi di oscuramento) e artificiale (con lampade a olio o candele oppure con lampadine elettriche). Oggi l’eccessiva illuminazione artificiale dei monumenti storici appiattisce i rilievi e gli effetti delle superfici coperte da mosaici o affreschi, come accade per esempio nella Basilica superiore di San Francesco ad Assisi. La nostra ricerca intende sensibilizzare al fatto che ogni spazio storico debba essere esperito e apprezzato nella «sua» luce, spesso molto più ridotta di quella oggi adottata.

Laura Ceriolo: La luce del colore è influenzata dai materiali utilizzati. Cosa lega Ravenna a Vals in questa ricerca ?

Daniela Mondini: Certamente la luce del colore è influenzata dalla texture dei materiali che la riflettono. L’effetto ottico varia notevolmente a seconda che le superfici siano ruvide, riflettenti, diafane o traslucide. La «lunga durata» dei saperi su come reagiscono all‘illuminazione le diverse superfici lega i nostri oggetti di ricerca attraverso epoche distinte, dai rivestimenti marmorei di San Vitale a Ravenna allo gneis nelle Terme di Vals . In questo ambito segnaliamo il progetto di ricerca sperimentale Oberflächengestaltung am Bau della scuola «Haus der Farbe» di Zurigo, che indaga la «Topografia delle superfici» in rapporto alla luce e al colore.

*Daniela Mondini è professore di Storia dell’Arte Medievale e Storia della Fotografia all’AAM e all’Istituto di studi italiani dell’USI.

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