Gli ef­fet­ti an­ti­ci­pa­ti del­la Gal­le­ria di ba­se del Ce­ne­ri

Nel 2019, l'Osservatorio dello sviluppo territoriale ha fatto una scoperta: le abitudini residenziali degli abitanti del Ticino stavano cambiando, ribaltando dinamiche che parevano ineludibili. I cambiamenti sembravano dovuti, almeno in parte, all'influsso della futura Galleria di base del Ceneri. Ma tali tendenze continueranno nel mondo post-Covid-19? L'analisi di Gian Paolo Torricelli.

Data di pubblicazione
02-10-2020
Gian Paolo Torricelli
Geografo, Osservatorio dello sviluppo territoriale, Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana, Mendrisio

Premessa – Pensare le migrazioni al tempo del Covid-19

In questo anomalo aprile del 2020, come suscitare un pensiero non affetto dalla pandemia provocata da questo nuovo coronavirus? Al tempo del Covid-19 le basi delle relazioni umane sembrano vacillare, non attraverso la violenza della guerra, non con sanguinosi attentati terroristici, ma con l’applicazione delle misure del confinamento e del «distanziamento sociale» che – come abbiamo sentito ripetere dagli specialisti – hanno permesso di rallentare la corsa del virus e il picco dei contagi (e dei morti). Di fronte alla domanda su come sarà il mondo post-Covid-19 non ho risposte né ipotesi pertinenti, poiché a tutte le scale geografiche dell’azione umana il mondo è cambiato. Alla scala delle persone i rapporti sono cambiati, ma anche alla scala degli Stati e delle grandi potenze scopriamo un mondo fatto da egoismi e nuove rivalità. Ci saranno dei cambiamenti repentini e degli aggiustamenti, ma il mondo post-Covid-19 sarà diverso. Anche sul piano della città e delle migrazioni residenziali, le cose sembrano destinate a cambiare, magari durevolmente, forse solo temporaneamente.

Torniamo quindi indietro di qualche mese, prima dell’impensabile pandemia. Nel 2019 il laboratorio che dirigo1 realizzò uno studio sulle tendenze recenti dell’insediamento in Ticino.2 La domanda di fondo alla quale cercammo di rispondere era: che cosa è cambiato nell’insediamento della popolazione nella «Città Ticino» nei primi decenni del XXI secolo? Si decise di fare uno studio a più scale – da quella cantonale a quella dei comuni, sino a quella del singolo quartiere – analizzando in un primo tempo le migrazioni residenziali tra i comuni, cercando, in un secondo tempo, di identificare a scala locale i luoghi più gettonati dalle famiglie per la residenza, insomma i «nuovi quartieri» di abitazione.

Le tendenze recenti dell’insediamento alla scala cantonale

Alla scala cantonale osservammo due fenomeni migratori in controtendenza rispetto agli ultimi tre decenni e in rafforzamento dal 2014: la diminuzione degli arrivi / l’aumento delle partenze per l’estero (in particolare da e per l’Italia) e il sensibile incremento del flusso migratorio dal Ticino verso altri cantoni e città della Svizzera (Zurigo, Berna, Basilea, Ginevra o Losanna). Questi cambiamenti, con il contributo di un saldo naturale negativo in quasi tutto il Cantone, con l’eccezione del Bellinzonese, avevano di fatto portato alla riduzione – sino all’azzeramento – della crescita demografica cantonale. La diminuzione del saldo migratorio internazionale, almeno in parte, appariva influenzata dalle decisioni dei lavoratori frontalieri, che potevano decidere di stabilirsi in Svizzera, ma anche di tornare in Italia dopo pochi anni, qualora vi fossero condizioni più favorevoli. Nel caso invece del saldo migratorio con la Svizzera, sempre più negativo, ipotizzammo che una delle cause principali fosse da ricercare nelle tensioni sul mercato del lavoro e le pressioni sui salari delle giovani generazioni, quindi nella ricerca di migliori retribuzioni nelle città d’oltralpe.

Per contro, i flussi migratori tra i comuni mostravano un processo relativo di migrazione dal Sottoceneri (in particolare dal Luganese) verso il Sopraceneri, in special modo verso il Bellinzonese, che appariva (e appare tuttora) l’agglomerato più attrattivo in termini di scelta della residenza (cfr. tabelle e mappe nella galleria d'immagini). All’evidenza, interpretammo questi risultati alla luce della disponibilità di alloggi nuovi e in costruzione (generalmente a prezzi inferiori a quelli del Luganese) e, quindi, di un «effetto anticipato» della messa in servizio del tunnel di base del Ceneri, a fine 2020 (secondo il programma precedente alla pandemia), che ad ogni modo metterà la stazione di Bellinzona a meno di 15 minuti di treno da quella di Lugano.

I nuovi quartieri

A scala locale, al fine di identificare i luoghi che più avevano incrementato la popolazione negli ultimi anni, i dati demografici georeferenziati più dettagliati (forniti dall’Ufficio federale di statistica) furono trattati con algoritmi di calcolo geo-spaziale e modelli GIS, cercando di accertare l’insediamento delle famiglie con bambini e adolescenti. Il procedimento (si veda la pubblicazione per i dettagli, nota 2) permise di identificare 82 piccole zone che conobbero una forte crescita demografica (oltre il 20% tra il 2011 e il 2016). Il risultato fu per certi versi sorprendente: infatti, oltre il 60% della popolazione di queste 82 zone si situava in aree urbane consolidate (Tipo C, vedi l'immagine 5), nelle città o nei comuni urbani adiacenti. Questa popolazione corrispondeva al 54% del saldo demografico complessivo (dal 2011 al 2016) dei «nuovi quartieri». Si trattava di porzioni di aree urbane generalmente caratterizzate da densità elevate, con una certa predominanza di edifici di abitazione plurifamiliari, un’ottima accessibilità ai servizi (come scuole, negozi, studi medici ecc.) e un eccellente (commisurato al Ticino) collegamento al trasporto pubblico.

Questo risultato mostrava che la scelta delle famiglie stava cambiando, probabilmente più rapidamente di quanto si poteva immaginare al momento, per privilegiare la città quale luogo di residenza. Così, per la prima volta dall’inizio degli anni 1980, la spinta all’urbanizzazione periferica sembrava essersi in qualche modo arrestata. Infatti, i «nuovi quartieri» situati in contesti periurbani, fuori dalle città, dove predominano le piccole abitazioni unifamiliari (ad es. Piano di Magadino, colline del Luganese, Piana del Vedeggio ecc.), risultarono una minima parte delle zone di recente insediamento (Tipo A: solo 7 su 82), della popolazione (4,2%) e dei nuovi residenti tra il 2011 e il 2016 (7,1%). Infine, avevamo anche 32 zone caratterizzate da una posizione suburbana, in quartieri e comuni più vicini ai centri urbani (Tipo B), dove sussistevano situazioni di maggior mescolanza tra case unifamiliari e palazzine plurifamiliari, nonché migliori accessibilità ai servizi e qualità del trasporto pubblico, tuttavia inferiori rispetto ai «nuovi quartieri» centrali (Tipo C).

Il cambiamento più importante riguardava quindi la scelta dell’insediamento delle famiglie, che rispetto al passato tendevano ora maggiormente a privilegiare localizzazioni urbane (o più centrali), mentre molto meno attrattive risultavano le ubicazioni periurbane o comunque più lontane dai centri.

Questo risultato, che rafforzava l’ipotesi di un effetto anticipato rispetto alla messa in esercizio del tunnel di base del Ceneri, sembrava anche confermato, a livello svizzero, dal rapporto sul mercato immobiliare del Credit Suisse,3 che ugualmente osservava il cambiamento delle preferenze dei giovani che ora privilegiavano la permanenza in città anche dopo aver costituito una famiglia. Il Ticino, secondo la nostra valutazione, non faceva eccezione.

Come interpretammo questi cambiamenti nella scelta della residenza delle famiglie? Un primo motivo evocato fu l’incremento del traffico automobilistico e in particolare quello dei pendolari verso i maggiori centri. Le famiglie avrebbero scelto così localizzazioni più centrali per poter usufruire di un miglior servizio di trasporto pubblico e questo, probabilmente, valeva sia per i «nuovi quartieri» dell’agglomerato e della città di Bellinzona, sia per quelli situati nella città di Lugano. Anche la relativa scarsità di nuovi quartieri nel Mendrisiotto venne spiegata attraverso l’incremento del traffico e dei disagi indotti (inquinamento, congestione delle strade, rumore ecc.). Un secondo motivo del cambiamento di tendenza fu visto nella ricerca di un migliore accesso ai servizi, alle scuole in particolare. Infine, anche la maggiore disponibilità di spazi pubblici fu presa in considerazione quale motivazione di insediamento nelle prossimità dei centri urbani.4

Sintesi – Conclusione

Torniamo ora al presente di questo anomalo aprile 2020. Che fare di questi risultati? È molto probabile che – almeno temporaneamente – i comportamenti cambieranno. Anche nella scelta della residenza. Anzi, possiamo ora immaginare che le persone e le famiglie ricercheranno maggiormente luoghi meno densamente insediati. Sino a ieri abitare a due passi dalla stazione (luogo di passaggio e densamente frequentato) era percepito come un vantaggio, ma chi ci dice che domani non sarà visto come un’esposizione supplementare a un nuovo rischio di contagio? In tutta l’Europa il confinamento ha avuto quale corrispettivo un parziale svuotamento delle città e chi poteva disporre di un’abitazione al mare, in montagna o in campagna ne ha approfittato. Forse è l’anticipo di una nuova epoca di fuga dalle città, probabilmente transitoria – ma nel frattempo la vita urbana cambierà, in meglio o in peggio starà a noi decidere. Poiché questi cambiamenti dipenderanno soprattutto dai nostri comportamenti in fatto di residenza e di mobilità e non riguarderanno soltanto il piccolo Ticino o la piccola Svizzera, ma tutti i territori sottoposti a quarantena. Possiamo quindi, in conclusione, fare un’ipotesi generale con due scenari estremi.

Da un lato possiamo pensare che le persone vorranno proteggersi e proteggere le loro famiglie, prima di pensare al clima o all’ambiente o semplicemente al prossimo. E siccome l’uscita dal Covid-19 sarà molto probabilmente un’epoca di forte recessione economica, una recessione che non abbiamo mai conosciuto, in questo «nuovo contesto» molti non avranno più i mezzi per vivere come prima, quindi ci sarà una richiesta per abitazioni lontane dai centri anche per motivi economici. Così i comportamenti migratori e nei trasporti potranno mettere a rischio l’edificio dello sviluppo sostenibile (ad esempio, il ritorno in auge del «tutto in auto», il declino del trasporto pubblico, la fine della densificazione dei quartieri, la fine della centralità degli spazi pubblici in quanto base della vita urbana ecc.): uno scenario distopico a medio e lungo termine, che verosimilmente brucerà tutti gli sforzi ambientali fatti negli ultimi 10 o 15 anni.

D’altro lato, possiamo anche immaginare nuove solidarietà locali e nuove alleanze per lo sviluppo di città basate su un approvvigionamento alimentare il più possibile locale (a chilometro zero) e su un concetto di commercio più equo nei rapporti con il Sud globale, su reti di trasporto che favoriranno – molto più di ieri – la mobilità pedonale e ciclabile, su strutture sanitarie più numerose, più piccole ma più efficienti, su reti sociali in grado di sostenere i più vulnerabili, su una produzione energetica sostenibile… su quartieri e spazi pubblici aperti, accoglienti e sicuri, anche in caso di nuove epidemie. Questo scenario richiede un ruolo più attivo della partecipazione dei cittadini e delle piccole imprese – compresi gli studi di consulenza ambientale, di progettazione o di pianificazione – al rilancio dei territori; ma senza nuove alleanze, senza modelli economici e sociali che consentano l’inclusione di tutti a tutte le scale dell’azione umana, in questo «nuovo contesto» il rischio è quello di un «si salvi chi può» non sostenibile e territorialmente distruttivo.

«Archi» 5/2020 può essere acquistato quiQui si può leggere l'editoriale.

Note

  1. L’Osservatorio dello sviluppo territoriale (OST) dell’Accademia di architettura – USI è un piccolo laboratorio di osservazione geo-spaziale, fondato nel 2007, finanziato con un mandato di prestazione del DT e con contributi di ricerca svizzeri e internazionali. Maggiori informazioni sul sito del Cantone e dell'Accademia.
  2. Cfr. Torricelli G. P., Pessoa Colombo V., Vallenari L., Garlandini S., Migrazioni residenziali e insediamento nel Ticino. Tendenze 2011-2017, Mendrisio 2019, 76 pp. Le mappe e le tabelle dell’articolo sono state estratte da questa pubblicazione.
  3. Cfr. Mercato immobiliare svizzero 2019, marzo 2019, Credit Suisse AG, Investment Solutions & Products, 68 pp.
  4. D’altro canto, non si poterono escludere motivazioni più legate al reddito disponibile e ai prezzi dell’immobiliare. Ma su questo fronte purtroppo i dati a disposizione non permisero di formulare delle ipotesi pertinenti: sarebbero state necessarie delle inchieste approfondite presso i «nuovi residenti».

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