Brauen Wäl­chli Ar­chi­tec­tes

Otto domande

Lo studio di architettura di Losanna Brauen Wälchli risponde alle otto domande de "Lo spessore dell'involucro".

Data di pubblicazione
17-10-2016
Revision
17-10-2016
Laura Ceriolo
Architetto, dottore di ricerca in storia delle Scienze e Tecniche Costruttive

1. In che modo secondo lei l’evoluzione delle richieste energetiche e di «comfort» ha cambiato negli ultimi vent’anni il modo di concepire una facciata?

La facciata è il volto e l’anima di un edificio; comunica ciò che l’edificio vuole esprimere rispetto al suo contenuto e al contesto. In questo senso la progettazione di una facciata non ha subito evoluzioni negli ultimi vent’anni. È piuttosto l’approccio urbanistico, ossia l’interesse a inserire il progetto nel suo ambiente o la volontà di affermarlo come oggetto indipendente, che è cambiato. 

A livello tecnico, e per rispondere in modo preciso alla vostra domanda, l’evoluzione dei vincoli energetici e del comfort ha avuto un’influenza sul modo in cui affrontare il progetto in facciata. Le soluzioni costruttive sono divenute più esigenti in quanto le esigenze tecniche e energetiche sono diventate molto più complesse. Oggigiorno non è più possibile sviluppare una facciata senza aver fatto ricorso a specialisti in vari settori. Il minimo per avere il controllo della costruzione di una facciata è la collaborazione con un fisico dell’edificio e un ingegnere specializzato.

È inutile constatare che la complessificazione, in particolare con l’arrivo delle etichette di qualità energetica e l’inasprimento dei vincoli legali, non è sinonimo di comfort nell’utilizzo né di un’economia di energia; al contrario, tende a far dimenticare il buon senso! Per fare un esempio, non è più piacevole per l’utente godere di una buona ventilazione naturale aprendo una finestra piuttosto che istallare una ventilazione meccanica sofisticata?

Durante la progettazione della facciata del ciclo di orientamento di Drize a Carouge (Ginevra), siamo riusciti a sviluppare una facciata «low-tech» con una ventilazione naturale che garantisce il ricambio di aria e l’apporto di ossigeno necessario al benessere degli utenti. Per evitare il surriscaldamento controlliamo con esattezza la protezione dall’irraggiamento solare per mezzo di tapparelle e degli sporti del tetto e utilizziamo il raffreddamento naturale grazia all’inerzia termica delle lastre in beton (apertura delle finestre e ventilazione notturna, stoccaggio del freddo nelle lastre in beton, irraggiamento durante il giorno). Può accadere che i vincoli esterni, ad esempio il rumore, impongano una ventilazione meccanica controllata. Tuttavia, per la sede della CSS Assurance a Losanna, costruita in prossimità dell’autostrada, gli utenti hanno imposto, per il loro benessere, delle finestre apribili nonostante le emissioni acustiche dell’autostrada.

Riassumendo, per la riuscita di una facciata bisogna evitare di lasciarsi sommergere dalla troppa tecnica legata ai vincoli energetici, e sviluppare in primis un concetto architettonico pertinente con delle risposte adatte al contesto urbano e al benessere degli abitanti. Le soluzioni tecniche vengono di conseguenza. 

2. Ad una «Podiumdiskussion» tenutasi nel corso dell’ultima edizione della Swissbau, qualcuno dei partecipanti sosteneva che tra i fenomeni evolutivi negativi ai quali stiamo assistendo, ci sarebbe l’abuso del ricorso alle facciate interamente vetrate, indifferenti e uguali tra loro. Gli edifici realizzati in questo modo e ripetuti ovunque nel mondo, sarebbero poco a poco responsabili della perdita di identità e specificità dei luoghi. Condivide questa tesi? O come la declinerebbe? Le pare invece che siano nate nuove specificità locali negli ultimi anni?

Se questa constatazione era forse giustificata qualche anno fa, i vincoli energetici di oggi richiedono delle architetture meno radicali. Per esempio alle nostre latitudini la costruzione di facciate interamente vetrate è diventata difficile. 

Ma si può capire l’interesse per il vetro, che è un materiale con caratteristiche straordinarie; è polivalente, durevole, riciclabile, ecologico. Una facciata completamente vetrata offre la sensazione di cancellare il limite tra il dentro e il fuori, portando il massimo di luce all’interno. Questo concetto intrapreso dall’architettura moderna non ha perso il suo fascino. 

Grazie alla sua polivalenza, il vetro – utilizzato sia come apertura sia come rivestimento – offre un’opportunità di unità e di astrazione. Il vetro è uno dei vari materiali sul mercato della costruzione. Un architetto che sa sfruttare le opportunità di un materiale gestendone i vincoli lo utilizzerà in maniera adeguata e saprà utilizzarlo in modo pertinente.

A tutt’oggi il vetro è frequentemente utilizzato per la sua immagine simbolica di contemporaneità e di progresso. Dal punto di vista della prestazione energetica per contro, dopo 100 anni di evoluzione, il vetro non è ancora utilizzato in maniera propria. Per evitare il surriscaldamento – uno dei problemi ricorrenti di questo materiale – bisogna proteggerlo dal sole, ma gli architetti non amano molto le tapparelle e gli sporti. 

Le nostre due realizzazioni per conto del Comitato Olimpico Internazionale, il Museo olimpico e il Padiglione multifunzionale, traggono entrambe vantaggio dalla massima trasparenza legata al vetro servendosi di coperture con sporti. Il museo olimpico è dotato di una pergola brise-soleil che all’ultimo piano permette di offrire una vista sul paesaggio. Il padiglione della sede olimpica è coperto da un tetto «sospeso» al fine di sottolineare la relazione interno-esterno. 

La tentazione di costruire degli immobili interamente vetrati ovunque, di cui si è trattato in occasione di Swissbau, ci ha particolarmente coinvolti al momento della nostra esperienza boliviana. In effetti, il centro città di La Paz, sito a 3’600 m d’altitudine, è caratterizzata da numerosi edifici a torre di ispirazione americana in acciaio e vetro, ma con del vetro semplice e dei giunti di impermeabilizzazione talvolta inesistenti. Ne consegue che la temperatura interna è a mala pena governata a colpi di climatizzazione ad oltranza.

Il nostro progetto dell’Ambasciata svizzera in Bolivia è riuscito a dimostrare agli architetti e costruttori del paese che c’era un’altra strada: osservare i vincoli climatici e trarne profitto. Abbiamo costruito delle facciate massicce in mattoni monolitici con delle finestre le cui dimensioni si adattano all’esposizione: finestre più grandi al nord per approfittare dell’apporto solare passivo e finestre più piccole al sud per evitare le dispersioni termiche (la Bolivia si trova al di sotto dell’equatore). Per trarre beneficio dal sole quasi verticale abbiamo istallato un riscaldamento solare. Il nostro approccio è stato apprezzato e ricompensato dal riconoscimento culturale della città di La Paz. Il problema principale delle facciate vetrate non è legato a una perdita di identità, quanto piuttosto a una questione di adeguamento costruttivo e di caratteristiche climatiche.

3. È una tipizzazione grossolana ma la concezione di una facciata può, in fondo, contare su un numero relativamente ristretto di tipi, ovvero:

  • la facciata interamente vetrata.
  • la facciata a «cappotto», o isolata esternamente, con l’aggiunta di sottili rivestimenti applicati direttamente allo strato isolante (intonaco, tessere in mosaico, in qualche caso elementi più consistenti come mattoni o pietre)
  • la facciata ventilata, che tra lo strato isolante e lo strato «visibile» (più o meno consistente o pesante, che potrebbe arrivare ad essere anche un collettore di energia) prevede una camera d’aria.
  • la facciata isolata internamente rispetto allo strato portante. Cioè una facciata che prevede che l’appoggio delle solette avvenga con giunti speciali in grado di evitare il ponte termico (Tipo «Shöckdorne»), oppure che l’isolamento venga risvoltato per qualche metro all’interno, sopra e sotto la soletta. Questa costruzione consente di mostrare e rendere visibile all’esterno lo strato portante normalmente in beton faccia a vista.
  • la facciata sandwich, ad elementi prefabbricati, sia in legno sia di elementi pesanti in beton.
  • Il beton isolante

Le sembra che l’elenco vada ampliato? Tra queste varianti (sempre che non ne voglia aggiungere qualcun’altra mancante) si è fatto un’idea precisa dei vantaggi, del potenziale economico, della pertinenza architettonica, culturale o espressiva di ciascuna di esse? Ovvero nella sua prassi professionale che ruolo gioca ciascuna di queste diverse possibilità? Ce le potrebbe commentare o criticare dal suo punto di vista?

Ognuno dei tipi di composizione di facciate che elencate ha delle qualità e dei difetti. Ciò dipende dalla calibrazione di criteri di scelta. Non abbiamo preferenze per l’una o l’altra tipologia costruttiva, le scegliamo in funzione del contesto architettonico, culturale, tradizionale ed economico.

Per integrare il vostro elenco, ricordiamo che nuovi materiali e tecnologie recenti permettono di sviluppare delle nuove soluzioni innovative.

Possiamo citare l’edificio universitario di Saana a Essen nella Ruhr ove è stato messo in opera un sistema di isolamento termico attivo. Le facciate monolitiche in beton sono dotate di una rete di serpentine in cui circola l’acqua calda pompata dai pozzi industriali della miniera di Zollverein.

Il nostro immobile commerciale di la Miroiterie a Losanna può essere un ulteriore esempio: il committente ci ha commissionato un edificio emblematico per il quartiere. L’esigenza di leggerezza, in senso letterale e figurato, e la volontà di creare un oggetto iconico in contrasto con i depositi di inizio del XX secolo, ci hanno guidato nella ricerca di una facciata aerea e traslucida. Abbiamo quindi sviluppato una facciata termica a cuscini d’aria costituiti da quadrupla membrana, un sistema interamente innovativo che risponde ai bisogni di isolamento termico e alle leggi sull’energia. Grazie alla sua illuminazione, l’edificio conferisce un’atmosfera rilassante nella vita notturna trepidante del quartiere di Flon.

4. In che modo nella composizione di una facciata o più in generale nella definizione del limite che separa il dentro dal fuori, si riesce ancora a istituire un legame con la tradizione storica o, se vogliamo, con gli esempi di alcuni maestri del passato? 

Per spiegare meglio il tema sul quale le chiediamo una riflessione, prendiamo un elemento architettonico specifico, ad esempio il «marcapiano» o la griglia strutturale. Negli edifici degli anni Cinquanta ma anche precedenti (pensiamo ad esempio al municipio di Göteborg di E.G.Asplund) questo elemento segnava in facciata la presenza della soletta «portante», separata dagli elementi di tamponamento «portati». Un riferimento contemporaneo a questa immagine dovrebbe realizzarsi necessariamente in modo costruttivamente diverso. 

E dunque, è ancora possibile, nel concepire facciate, un riferimento alla storia, oppure le nuove necessità costruttive devono farci rinunciare ai tentativi di istituire analogie con il passato?

Le analogie storiche sono antiche quanto l’architettura stessa. La facciata è il mediatore per eccellenza tra il presente e il passato, tra la cultura costruttiva e la volontà d’espressione significativa o simbolica. Ogni epoca attinge nell’immaginario del passato e si adatta alle tecniche di costruzione del presente. È così che i Greci hanno costruito dei templi in pietra riproponendo l’immagine di una costruzione in legno.

Analogamente l’espressione del marcapiano in facciata può farsi oggi come negli anni Cinquanta. La fascia orizzontale in facciata è il riferimento alla soletta che si trova dietro, non esprime la verità costruttiva. Con modalità costruttive adeguate alle tecniche attuali possiamo ancor oggi esprimere questo famoso marcapiano. 

Ogni progetto si riferisce a un immaginario comune, o, per citare John Armleder: «… non dimentichiamo che nel momento in cui parliamo, citiamo. È impossibile non citare. Si utilizza un linguaggio comune. Le citazioni vengono molto semplicemente e molto naturalmente dal fatto che quando un sistema culturale è messo in opera, lo si utilizza per estenderlo e perennizzarlo».1 Questa constatazione può essere applicata anche alla storia dell’architettura. Anche gli edifici più stravaganti odierni che non si riferiscono per forza a delle costruzioni del passato reinterpretano delle immagini di riferimento. 

La struttura portante della facciata del Ciclo d’orientamento di Drize ricorda il recinto ligneo che circonda l’antico parco dove sorge oggi la scuola. 

La facciata della Scuola superiore di gestione si ispira all’architettura del dopoguerra che prevale nel sito in questione, fornendo una chiave di lettura per riconoscere la propria epoca.

5. I sistemi di facciata sviluppati negli ultimi anni sono secondo lei esclusivamente soluzioni «tecniche» per conciliare architettura e requisiti di legge (termici/acustici -di comfort) o stanno creando una nuova architettura? A metà Novecento si è passati dalle facciate rivestite a quelle in calcestruzzo «faccia-vista», ritiene che ci sarà una nuova proposta architettonica che creerà una nuova «scuola» dell’architettura?

Storicamente parlando, i catalizzatori di una nuova tendenza architettonica sono molteplici. Una nuova architettura si sviluppa sulla base di riflessioni filosofiche, politiche, sociali, culturali, tecniche ed economiche. Pensiamo ad esempio all’evoluzione dell’architettura in Russia nel XX secolo: dall’architettura neoclassica all’epoca degli zar, si è passati all’architettura costruttivista e alle avanguardie dei rivoluzionari, per ritrovarsi con delle regole architettoniche dettate da Stalin. I grands ensembles degli anni Sessanta si avvicinano alle tendenze osservabili altrove nel mondo; e oggi la nuova architettura russa di qualità è completamente globalizzata.

L’architettura del XX secolo era segnata dall’evoluzione delle tecniche costruttive e dalle nuove potenzialità nell’utilizzo di materiali come il beton e il vetro. 

Questi due materiali hanno avuto un’influenza senza precedenti sulle espressioni architettoniche fino ad oggi. Al contrario, lo sviluppo delle facciate alla nostra epoca è meno legato ai nuovi materiali che agli strumenti informatici. I software di concezione e di realizzazione interconnessi sono i fattori che influenzano di più l’evoluzione dell’architettura e le nuove forme di espressione architettonica.

La voglia costante di innovazione trova un potenziale incredibile nell’informatica e nei robot di fabbricazione digitalizzata.

6. Come giudica la spinta più tecnologica verso le facciate «attive» in grado di produrre energia? È una moda passeggera o ci sono i presupposti per rendere l’integrazione dei sistemi solari una soluzione di massa, accettabile dal progettista e adattabile alle diverse soluzioni?

In certi casi e contesti la facciata «attiva» o «intelligente», come è spesso chiamata, può portare a soluzioni pertinenti, ma noi le consideriamo come eccezionali. 

Bisogna sapere che il costo dell’energia è composto della parte produzione e della parte trasporto. Prendiamo l’elettricità: se il trasporto è caro o impossibile, vale la pena di produrre localmente a detrimento dell’efficienza (durata dell’insolazione ecc.). Al contrario, se il sistema di trasporto esiste (rete elettrica), è più interessante produrre nei luoghi di produzione efficienti e trasportare l’energia verso il consumatore. La casa come strumento di produzione di energia è sfortunatamente raramente efficiente, e consiste spesso nel voler dimostrare pubblicamente che il proprietario è sensibile alle questioni ecologiche. Il fotovoltaico sul rifugio di montagna ha senso, produrre l’energia in proprio grazie a dei pannelli solari istallati sulla propria villa per immetterla in rete, no. 

Può essere invece interessante servirsi dell’energia solare passiva o utilizzare dei collettori solari termici per l’acqua calda. 

Sistemi di questo tipo, sono delle risposte tecnologiche al contesto attuale del cambiamento climatico, così come lo sono le abitazioni autonome dal punto di vista energetico. Tra l’altro costituiscono altrettante risposte all’aspetto ecologico del concetto di durabilità. 

Questi sistemi tengono conto solo minimamente – non è questo il loro fine – di una volontà di integrazione in un dato contesto. Nella maggior parte dei casi non considerano affatto – e questo è molto più grave – l’aspetto dell’efficienza energetica globale (energia grigia e sussidiaria ecc.). Sono nate delle etichettature energetiche (Minergie, Leed, Breeam ecc.) da una volontà politico-economica avvolta in una pseudo-filosofia di ecologia e economia di energia. 

Nel canton Vaud, una nuova legge sull’energia impone la posa di pannelli fotovoltaici su tutte le costruzioni (sulla copertura, in facciata o altrove, a terra) per produrre in situ il 20% dell’energia necessaria all’edificio. L’interesse di un tal vincolo non è che politico. I promotori di questa legge hanno la pretesa di mostrarsi impegnati a favore dell’ecologia, ma nessuno parla delle prestazioni effettive, dell’energia grigia e degli aspetti economici di tali istallazioni. L’impatto visivo sul patrimonio culturale costruito è dimenticato, così come gli altri criteri legati al concetto di sviluppo durabile. Ci vorranno probabilmente degli anni per arrendersi all’evidenza e realizzare che una tale risposta generalizzata imposta non è la via da perseguire. 

Come in tutte le cose, non bisogna perdere la visone d’insieme e la capacità di sintesi: imporre in maniera generalizzata una tecnologia specifica non è un buon approccio. Ogni progetto (di facciata) è il risultato di molteplici vincoli le cui questioni energetiche non rappresentano che un aspetto. Ogni progetto è una risposta specifica a una serie di problemi dati.

Spesso una riflessione globale e delle istallazioni «low-tech» permettono di economizzare più energia di quanto si possa fare seguendo ciecamente delle direttive imposte dalle etichettature. 

7. Le normative sul fabbisogno energetico stanno tecnicizzando notevolmente il processo di progettazione della facciata; le pare che il mondo dei progettisti sia assente dalla discussione, e dunque che si stia andando verso l’iper-specializzazione dei compiti nell’edilizia, oppure l’architetto possiede realmente ancora tutte le leve di progetto?

A suo giudizio gli architetti si stanno svincolando dallo studio di nuove soluzioni di facciata demandando il compito a specialisti, produttori di sistemi, fisici della costruzione? Se sì, secondo lei, perché?

La tendenza alla complessificazione della tecnologia della costruzione è normale. È dimostrata durante tutta la storia dell’architettura. Nascono degli specialisti. L’architetto affida loro degli incarichi specifici complessi, ma non è per volontà di liberarsi di un impegno. La progettazione di una facciata non può farsi senza architetto. Il concetto generale, l’espressione architettonica e il messaggio veicolato attraverso la facciata devono essere gestiti dall’architetto. Egli deve mantenere il suo ruolo di direttore d’orchestra, ma ha bisogno del sapere specifico di ciascuno specialista. 

Sfortunatamente il ruolo dell’architetto non è più compreso in questo senso. Con l’avvento dei vari manager dei progetti e delle imprese globali, l’architetto è ridotto sempre più a un ruolo di specialista dell’estetica. 

8. Le nuove tecnologie di involucro sono spesso ritenute «non realmente sostenibili» (a causa della quantità e qualità del materiale utilizzato e dell’energia grigia in esso contenuta – non sempre in linea con l’obiettivo della riduzione degli impatti energetici delle nuove costruzioni). Ritiene siano possibili dei miglioramenti in questo ambito in termini legislativi, normativi, tecnologici?

Siamo in un periodo cerniera dal punto di vista della produzione di energia e della sua impronta ecologica. Sono in corso ancora molte ricerche. Sono state prese alcune decisioni politiche, spesso non buone. 

Non è imponendo tecnologie specifiche, creando nuove leggi e altri regolamenti che la qualità energetica, tecnica e architettonica delle facciate può essere migliorata. Si tratta di sviluppare la risposta giusta per ogni caso specifico in funzione del contesto specifico e dei suoi vincoli geografici, ambientali e climatici servendosi al tempo stesso del comune buon senso.

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