Or­di­na­rio d’au­to­re

Ristrutturazione di un antico fabbricato del nucleo del paese come casa di vacanza e di brevi soggiorni durante l’anno accademico: Questo progetto ha offerto l’opportunità a Jonathan Sergison, noto architetto britannico e professore all’Accademia di Mendrisio, di affrontare il concetto di riuso in un paesaggio particolarmente suggestivo come quello della Val di Muggio.

Publikationsdatum
09-03-2015
Revision
08-10-2015

Lo stabile risalente al XVII secolo e ormai praticamente in rovina al momento dell’acquisto era stato progressivamente occupato, ampliato e diviso in più nuclei abitativi, secondo le esigenze delle dimore contadine. L’intervento ha comportato la completa ricostruzione di alcuni elementi – dal tetto ai pavimenti, dalla scala ai soffitti –, la sistemazione esterna e interna delle pareti nonché la sostituzione di porte e finestre. Esclusa dalle prescrizioni della commissione cantonale la possibilità di ripristinare la casa originaria, rispettata la disposizione dei muri portanti, dopo aver valutato una variante del progetto iniziale che prevedeva dei balconi in aggetto tenuti da due pilastri in cemento armato si è deciso per la ricostruzione del porticato verso la corte (parte di un intervento piuttosto precario di inizio Novecento che aveva modificato il fronte nord per annettere la circolazione verticale prima inesistente). Provvedimento ora destinato a riprendere gli stilemi tipici dell’architettura rurale del Sottoceneri.

Dal punto di vista funzionale l’abitazione è stata interamente riordinata; mantenuto l’ingresso sulla strada principale, essa si sviluppa su due livelli: al piano terra lo studio, la cucina e la sala da pranzo prospiciente la loggia mentre il salone e la zona notte si organizzano al primo piano. Con la rimozione del soffitto si è scoperta un’apertura nel solaio inavvertibile dall’esterno, essa funge adesso da lucernario per il soggiorno che si apre, tramite il terrazzo, verso i monti circostanti. Al piano inferiore – con accesso diretto dal piazzale – si trovano un monolocale indipendente destinato agli ospiti e i vani tecnici.

Per quanto riguarda il prospetto loggiato, fondato su uno zoccolo concettuale non rappresentato formalmente, è stata messa in atto una strategia progettuale di diminuzione graduale delle sporgenze degli elementi compositivi man mano che essi si alzano fino ad arrivare al termine del piano di facciata con la nuova trave di copertura rientrata. Uno scarto di cinque centimetri scandisce la continua riduzione degli aggetti.

Il fronte ovest si contraddistingue invece da un bassorilievo seicentesco della Madonna, ex voto per aver risparmiato la casa dalla peste e testimonianza del rientro stagionale degli artisti locali, fenomeno abituale in una regione come quella del Mendrisiotto, fortemente colpita dall’emigrazione nei secoli scorsi. Dopo un attento rilevamento dei colori che si erano sovrapposti nel corso del tempo – dal rosso all’ocra – per l’intonaco esterno del corpo di fabbrica si è adottata una tonalità cromatica molto tenue, la stessa già utilizzata nella vicina chiesa parrocchiale. Pure in questo modo la costruzione si inserisce perfettamente nella morfologia della piazzetta antistante, punto di collegamento tra la parte alta e bassa del paese.

Ma il progetto diventa anche un colto esercizio compositivo che – in un sottile gioco inter pares – discorre con l’analoga casa di vacanze che Stephen Bates (dal 1996 partner alla Sergison Bates architects) ha realizzato per se stesso a Cadaqués, in Catalogna, nel 2011. Il tema del riuso infatti, concepito come operazione tesa a supportare e divenire complementare dell’esistente, trova nella loro ricerca il modo di declinarsi in ambiti diversi – dal mediterraneo al paesaggio prealpino – con espedienti e accorgimenti attenti al variato contesto.

Come spesso capita nella produzione architettonica di Sergison – foggiata dall’esperienza presso gli studi di David Chipperfield e Tony Fretton nei primi anni Novanta, e con un modo di intendere la disciplina che attinge, tra l’altro, all’empirismo e al rigore della cultura razionalista inglese del dopoguerra (innanzitutto all’insegnamento di Alison e Peter Smithson) ma anche a un ampio repertorio di riferimenti europei degli anni Cinquanta e Sessanta – particolare enfasi è stata messa sulla definizione del carattere locale e dell’atmosfera degli interni, resa nella casa di Monte calda e accogliente dall’uso del rivestimento di legno chiaro trattato con cera naturale. Ogni dettaglio, modifica o integrazione cerca di cogliere le qualità intrinseche del manufatto, le cui peculiarità risultano indispensabili per conservare la sua impronta nel tessuto urbano tradizionale: recuperare il feeling dell’esistente per rivitalizzare con estremo pragmatismo quello che c’è (quell’approccio «as found» tanto caro agli Smithson). Come è stato segnalato recentemente: «… Si tratta di un pensiero che rimane, però, tipicamente moderno nella sua ambizione artistica, con la conseguenza che i loro edifici acquisiscono una presenza urbana ambigua, a metà strada tra desiderio di espressione individuale e rispetto per l’anonimato collettivo» (cfr. I. Davidovici, Tectonic presence, in H. Wirz (a cura di), Sergison Bates Architects. Buildings, Quart Verlag, Luzern 2012).

In questi principi risiede l’idea dell’utilità del mestiere nella sua dimensione sociale. È questa la sostanza di una poetica del quotidiano che muove dal concreto riconoscimento delle circostanze e dalla rivalutazione pratica dell’abitare in senso comunitario. Dichiarazione di intenti già chiaramente esplicitata nella prima pubblicazione dello studio: «Fin dal principio, abbiamo praticato un’architettura nella quale pensiero e costruzione vanno di pari passo. Le idee sulle quali riflettiamo riguardano generalmente l’essere, la presenza, la memoria e l’esperienza. In alcuni casi queste precedono la costruzione, in altri sono contenute nel processo di realizzazione e in altri ancora emergono dall’osservazione critica del nostro lavoro. In tutti i casi essi ci ricordano l’inestricabile relazione esistente tra costruire, abitare e pensare» (cfr. J. Sergison, S. Bates, Somewhere between ideas and places, in Papers, London 2001).

Presentiamo dunque una «casa sudalpina» che va intesa come un nuovo contributo all’indagine sul rapporto tra architettura e paesaggio (urbano e naturale) e in cui si evidenzia l’interesse di Sergison verso l’edilizia minore, altrettanto significativa nel rappresentare lo spirito contemporaneo.

Nota
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Committente: Jonathan Sergison, Londra

Architettura: Sergison Bates architects; Zurigo, con la collaborazione di Guido Desigis, Lugano Collaboratori L. Vonzun , M. de Sousa, S. Maunder, M. Stettler

Direzione Lavori: Guido Desigis, Lugano

Fotografia: Marcelo Villada Ortiz; Lugano

Date: progetto 2010, realizzazione 2010-2014

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