Il prez­zo del­la bel­lez­za

Le case di vacanza di Conradin Clavuot, Bearth & Deplazes e Sergison

Data di pubblicazione
19-02-2015
Revision
19-10-2015

Se veniamo da un posto freddo ed entriamo al caldo gli occhiali si appannano. Ci si ferma e si aspetta curiosi di vedere qualcosa. Come la condensa sulla superficie delle lenti, il mito del sud appanna la visione razionale non appena il treno lascia la stazione di Airolo e scende con slancio giù per la val Leventina. In Ticino ci sono giardini con le palme e boschi di castagni, grotti e rustici, villaggi arcaici e graziose chiesette; è la «Sonnenstube» della Svizzera che piace tanto ai turisti d’oltralpe. È il luogo dei ricordi d’infanzia di tanti svizzeri tedeschi che hanno trascorso in Ticino una gita scolastica avventurosa. Ed è la segreta patria spirituale di innumerevoli architetti, formatisi in gioventù grazie ai maestri della Tendenza e grazie a loro per sempre votati alla fede nell’architettura moderna. È questo che sulle prime appanna la vista.

Ma a un certo punto si tolgono gli occhiali, si asciugano via condensa e nostalgia e si guarda con maggior scrupolo per compensare la transitoria cecità. D’un tratto si vedono tutti i contorni con netta precisione. E d’un tratto ci si chiede se davvero si vuole vedere ciò che si sta vedendo. Perché i viaggiatori che arrivano dalla Svizzera tedesca scoprono in Ticino, accanto all’idillio che avevano sperato di trovare, anche una versione estremizzata, esasperata, della loro realtà.

Città diffusa in un paesaggio incantevole

Se si prescinde dalle differenze stilistiche regionali, l’edilizia svizzera è piuttosto omogenea. I centri storici dei villaggi e delle città sono quasi sempre ben conservati: le guerre mondiali hanno risparmiato la Svizzera e la miseria che regnava in molte regioni di montagna fino a buona parte del XX secolo ha rimandato di decenni il rinnovamento edilizio. Quando finalmente il benessere ha raggiunto anche le zone più fuori mano, la fede nel progresso dell’alta congiuntura era già un po’ scemata e l’opinione pubblica era pronta a mettere integralmente sotto protezione i nuclei storici. Ciò che invece viene sacrificato, da tre generazioni a questa parte, alla crescita economica, è la cultura del paesaggio.

Come tutto il resto del paese, anche il Ticino risente della politica federale: grazie all’autonomia nella pianificazione comunale, ogni singolo comune può svilupparsi senza tener conto degli interessi superiori della sua regione e la perequazione federale gli assicura di poterselo permettere.

Le conseguenze disastrose dell’espansione urbana incontrollata si possono osservare in tutta la Svizzera, ma in Ticino sono particolarmente evidenti. E questo non dipende solo dal fatto che il Ticino è effettivamente molto costruito. Il sogno, che si ripete ovunque, della casa unifamiliare nel verde viene realizzato qui più spesso che altrove: circa il 68% di tutti gli edifici costruiti corrisponde in Ticino alle case unifamiliari mentre lo stesso rapporto per l’intera Svizzera è del 58% circa.1 Si aggiunga il fatto che la cifra media delle seconde case, pari al 24.4% di tutte le abitazioni, è molto alta; in alcuni comuni del Sopraceneri più del 50% delle abitazioni viene utilizzato solo periodicamente.2

In Ticino infatti non c’è solo l’oriundo che vive in città e che si organizza un rifugio per il fine settimana nel villaggio d’origine, ci sono anche villeggianti d’oltralpe che realizzano il proprio sogno di spingersi verso un’italianità dai tratti rustici. Il fatto che tra queste case di vacanza vi siano anche alcuni gioielli dell’architettura moderna non è una grande consolazione. Sono eccezioni. La gran parte della produzione edilizia è, anche qui come dappertutto, banale, ma in Ticino il contrasto con i villaggi e i paesaggi mozzafiato che distrugge, appare ancora più sconsolante. Qui si ha davvero l’impressione che qualcosa d’importante vada perso.

La casa di vacanza come intruso tipologico

Un problema specifico della casa di vacanza è il fatto che, indipendentemente dalla sua qualità architettonica, è spesso, già per definizione, un corpo estraneo nell’ambiente circostante. Per sua natura la casa di vacanza è moderna e urbana; il modello sociale su cui si basa implica la suddivisione degli spazi tra abitazione, lavoro e tempo libero. In questo senso è in contrapposizione con le forme di edilizia contadina, dove i tre ambiti invece sono da sempre collegati, e che spesso dominavano il paesaggio proprio nei luoghi dove oggi vengono solitamente costruite le case di vacanza.

Nei villaggi di montagna, le case di vacanza costituiscono quasi sempre un’innovazione tipologica che in quanto tale reinterpreta il contesto spesso a sfavore dell’assetto preesistente. Una vasca da bagno ammaccata che serve da abbeveratoio per gli animali nel bel mezzo di un prato o un mucchio di vecchi arnesi abbandonati in un cortile interno, ad esempio, non disturbano minimamente nei pressi di una fattoria. Accanto a una casa di vacanza impeccabile, con tanto di suv lucido e splendente sotto la pensilina, gli stessi elementi comunicano invece trasandatezza, povertà e disordine.

Il degrado dell’ambiente contadino si produce anche quando nasce un quartiere di villette a ridosso del centro di un villaggio. In questo caso però il danno è meno importante. La casa unifamiliare infatti, anche se presuppone la suddivisione degli ambiti dell’esistenza e si concentra sul puro abitare, rimane comunque collegata alla realtà del mondo del lavoro. Non ospita soltanto il puro idillio familiare ma anche processi molto pratici come i lavori di casa e grazie all’home office sempre più anche delle attività remunerative.

Diverso è invece il ruolo della casa di vacanza. L’unico suo scopo, e l’unica ragione della sua esistenza, è offrire a chi la abita un luogo dove ritirarsi dalla quotidianità del lavoro, dove per breve tempo sia possibile sognare una vita senza fatica e senza preoccupazioni. Per questo è auspicabile che non vi siano dettagli disarmonici a rovinare l’illusione. La vista sulla natura o sul villaggio romantico viene messa in scena con cura, la vista sulle moderne infrastrutture viene sistematicamente oscurata – anche quando la casa di vacanza dipende dall’infrastruttura stessa, come nel caso di una strada di accesso.

Con una punta di polemica diremo che la casa di vacanza è condannata a distruggere proprio l’idillio di cui vive. Sarà sempre impegnata a eliminare ogni traccia di realtà che possa rovinare l’immagine menzognera di un mondo ideale. Lo farà con tutti gli strumenti architettonici a disposizione, a ogni costo e senza badare ai danni che quasi inevitabilmente produrrà sull’ambiente.

Posta questa triste premessa, non è un compito semplice concentrarsi sulla qualità architettonica di una singola casa di vacanza. Per quanto interessante possa essere l’edificio, la domanda se non sarebbe stato meglio costruirlo da un’altra parte o addirittura non costruirlo affatto traspare sempre sullo sfondo. D’altra parte sarebbe assurdo rinunciare alla discussione e tacere proprio sulle poche costruzioni che meritano un riconoscimento architettonico solo perché si prova disagio in relazione all’espansione urbana incontrollata, alla discutibile tipologia, alle brutture che si sono moltiplicate sul territorio.

Le tre case di vacanza di cui parleremo in questo articolo sono, ognuna a suo modo, degne di nota. Tutte e tre appartengono a proprietari non di origine ticinese e tutte e tre sono state progettate da importanti architetti anch’essi non ticinesi. Di alto livello estetico, riprendono punti di vista e aspettative che rispecchiano quelli della maggior parte dei turisti che frequentano il Ticino. Va da sé che le aspettative di chi soggiorna temporaneamente in Ticino non sono uniformi. Nonostante ciò nella realizzazione architettonica – se non altro per quanto riguarda i tre oggetti scelti – si possono riscontrare dei tratti comuni evidenti.

Conradin Clavuot: una darsena sul Lago Maggiore

Il villaggio di San Nazzaro occupa una striscia sottile sulla riva del Lago Maggiore. Il posto è stretto; le case compresse tra il lago e la montagna. Il pendio è così ripido che le case sembrano scivolare nell’acqua, tenute su soltanto dal consolidamento della linea ferroviaria e della vecchia strada, che corrono parallelamente alla riva schiacciate a loro volta tra le case.

La casa di vacanza, che l’architetto di Coira Conradin Clavuot ha realizzato nel 2012 (leggi anche «Una casa ormeggiata sul lago Maggiore»), si trova in un punto particolarmente scosceso in cui le forze della natura e della civilizzazione sembrano cozzare l’una contro l’altra: direttamente sulla riva, proprio sotto la strada supportata da muri di sostegno e pilastri. Sopra la casa rumoreggia il traffico, sotto s’increspa il lago, che, pur nella sua bellezza, come la maggior parte dei laghi svizzeri, è indocile. La parcella su cui è stata costruita la casa viene regolarmente inondata.

Clavuot ha scelto questo sito per realizzare il suo progetto. Vista dalla strada la nuova costruzione sembra una darsena: è sopraelevata e si erge sopra la superficie dell’acqua. Anche la facciata tutta a vetri, grazie agli infissi in legno naturale delle finestre, risulta più lignea che vetrosa. Una scala in cemento porta dalla strada alla riva lungo la casa. A metà percorso circa c’è un pianerottolo con l’entrata; poi si può continuare scendendo in giardino. Da lì si capisce che la casa non poggia su pilastri ma su due cavalletti di cemento con i quali ha due soli punti di contatto; altri due cavalletti stanno davanti, nel lago. Siccome la lastra di cemento che forma il pavimento della casa si rastrema ai bordi, la casa stessa somiglia allo scafo di una barca issato sui cavalletti e magicamente in equilibrio sulla sua chiglia.

Benché il tema della barca non sia inaspettato in un luogo come questo, la sua realizzazione sa evitare qui il cattivo gusto. Clavuot integra nel suo progetto anche i pilastri di cemento e i muri rovinati dalle intemperie. Il parcheggio che forma una terrazza e la scala d’accesso risultano altrettanto funzionali quanto la scivolosa scala che porta dalla strada all’attiguo bagno pubblico. Siccome la casa si libra al di sopra del terreno, sotto di essa si forma un mini-idillio ombroso, umido, incantato, che senza soluzione di continuità finisce nella vegetazione incolta ai piedi del muro di sostegno. Immagini, temi, citazioni si sommano in un insieme pieno di atmosfera.

Le pecche dell’edificio sono poche – per esempio il fatto che i punti di appoggio della casa sulle staffe sono rinforzati unilateralmente o che il pianerottolo davanti all’ingresso sembra abbia lo stesso spessore della soletta. All’interno invece l’eleganza è ovunque. In particolare saltano all’occhio due dettagli: per un verso l’altezza dei locali grazie alla quale anche i corridoi più stretti si riempiono di luce e per l’altro l’uso specifico del legno nelle rifiniture interne. In molti punti, ma non ovunque, il cemento a vista dei muri portanti è rivestito in legno, con l’effetto di una tappezzeria color miele calda e vellutata. In particolare il soggiorno vero e proprio è costituito da una nicchia rivestita in legno. Dando le spalle a questa superficie raffinata si può comodamente osservare il lago in tempesta.

Bearth & Deplazes: una fortezza contro le brutture

Anche nella casa costruita a Mergoscia dagli architetti Bearth & Deplazes di Coira nel 2013 (leggi anche «Casa Bula a Mergoscia»), si ha la sensazione gradevole di un luogo di ritiro sicuro in un paesaggio primitivo. Qui però il tema è presente quasi ovunque. La casa è completamente sepolta in un pendio ricoperto di vigneti. Si entra in basso, a livello della strada, da una porta ritagliata in un vecchio muro di consolidamento costruito a secco. Una lunga e stretta scala interrata incanala verso l’alto. Quando si riemerge a cielo aperto ci si trova in un altro mondo, su una terrazza, ritagliata nel pendio; a destra e a sinistra abbiamo grossi muri di sostegno in cemento a vista, di fronte la severa facciata. La facciata del piano terreno è un unico vetro, davanti al quale c’è un pilastro quadrato che sostiene una tettoia e che, a prima vista, può sembrare inutilmente massiccio, al piano superiore la superficie in cemento a vista è ritmata da quattro alte finestre francesi.

All’interno si svela la ricchezza dello spazio di cui la scala d’accesso interrata ha fatto presagire qualcosa. Il piano terreno consiste principalmente di un soggiorno-sala da pranzo che, come la galleria di un teatro, si affaccia sulla strepitosa visuale. Nella parete retrostante in cemento a vista c’è una nicchia rivestita in legno. Dalla profondità di questa loggia si vede un quadro imponente. I muri in calcestruzzo della terrazza e la tettoia funzionano come un obbiettivo che si focalizza su un frammento prescelto del panorama delle montagne. In controluce i telai filigranati delle finestre alte quanto la stanza scompaiono e il parapetto appare più basso ed elegante che non da fuori; è presente quel tanto da sottolineare lo scaglionamento prospettico.

Dietro la nicchia una stretta scala porta al piano superiore. Anche questa volta salire è un’esperienza. Il vano scala, tutto in cemento a vista, è uno spazio lungo, stretto alto quasi otto metri, illuminato zenitalmente. L’impressione è mozzafiato, come se ci si trovasse all’interno del muro di una diga, cosa che non è del tutto sbagliata perché l’intera casa può essere considerata come un’estensione del muro di consolidamento del pendio.

Al piano superiore prosegue la messa in scena prospettica: i profondi profili delle finestre danno libero accesso solo a piccole porzioni verticali del panorama che appare ancora più lontano di quanto non sia in realtà, perché l’altezza del locale, a causa della pendenza del tetto, aumenta verso l’interno.

In tutta la casa regna una pace contemplativa. Questo è dovuto sia alle proporzioni estreme dei locali che sono stretti e allungati verso l’alto, che alla simmetria della facciata principale e infine anche all’attento uso dei materiali. Da vedere c’è quasi soltanto il cemento a vista, mescolato sul posto in piccole quantità, a questo si aggiunge il noce grigionese massiccio utilizzato per i mobili e per i ripiani delle nicchie. Nei bagni e per la fontanella sulla terrazza è stato invece usato, il bianco marmo cristallino di Peccia a intarsio nel cemento. L’intero edificio irradia solennità.

Ma questa interna bellezza e la strepitosa visuale sono ottenute a caro prezzo. Se si sta sul bordo anteriore della terrazza, si vede non solo la Val Verzasca che scorre sotto, il lago luccicante e il Monte Tamaro, ma anche i vicini della porta accanto: fabbricati ordinari, in certi casi persino utili all’abitazione stessa (uno di essi ospita il posto macchina coperto che ha permesso di rinunciare al garage sotterraneo) ma non particolarmente belli.

Per godere della visuale sulla natura incontaminata, bisogna ritirarsi sul fondo con le spalle alla parete in una casa che, per opporsi alla bruttura, s’incastra come una fortezza nella montagna. Non bisogna nemmeno ignorare il taglio nella vigna che copre il pendio. La nuova costruzione, è vero, non emerge dal terreno, ma lede il fianco della montagna proprio come un balcone inserito postumo in una storica casa col frontone. L’intervento nella topografia è risolto in modo incomparabilmente migliore rispetto alle case circostanti, ma è altrettanto intrusivo.

Sergison Bates architects: familiare ed estraneo

Decisamente meno intrusiva è la casa di vacanza appena terminata di Sergison (leggi anche «Ordinario d'autore»), che aspira a una normalità colta. La casa si trova al centro del nucleo storico del villaggio di Monte, una frazione di Castel San Pietro, sopra Mendrisio. Le case tutte strette una all’altra si sono trasformate in continuazione nel corso dei secoli e testimoniano ristrettezza economica e scarse risorse, ma il nucleo reca anche tracce di quegli stuccatori che andavano a cercar fortuna in Italia e nel Nord Europa, per tornare a volte nei loro villaggi di origine. La piazza ha splendide proporzioni e c’è persino una interessante chiesa barocca.

Anche la casa che Sergison ha trasformato in una residenza temporanea ha una storia lunga e movimentata. Sopra la porta d’ingresso nel fronte che si affaccia sulla strada, spicca una madonna dalla ricca decorazione in stucco: è un ex voto che fu esposto nel XVII secolo dopo una peste. I due architetti hanno modificato poco questa facciata nell’ambito del lavoro di restauro. Il lato est dell’edificio invece, che dà su una piccola piazza in salita era in cattivo stato.

All’inizio del XX secolo era stata aggiunta una scala esterna e nello stesso momento era stata murata la loggia di legno al piano terreno e ristrutturata quella del primo piano. Questa parte esterna alla facciata è stata abbattuta e sostituita da Sergison. Lo scantinato, che per via della forte pendenza del terreno su questo lato è a livello del suolo e ora accoglie la stanza per gli ospiti, ha beneficiato di una grande apertura; al piano terra e al primo piano sono state aggiunte nuove logge.

L’impressione che si ha guardando questo lato della casa è complessa e disorientante. A una prima occhiata si nota soltanto che le logge devono essere nuove – o meglio più nuove di quelle delle case vicine, non si può però dire subito a che epoca appartengano. Il fatto che i montanti siano in muratura, i pavimenti siano in cemento e le proporzioni siano imponenti fa pensare agli anni Settanta. Alla stessa epoca fa pensare anche l’intonaco a grana grossa, ma in realtà quest’ultima scelta è ispirata alla superficie della chiesa barocca; la ringhiera finemente lavorata, d’altra parte, con le aste che si allineano, alternandosi, al profilo interno ed esterno del corrimano, fa pensare agli anni Cinquanta.

Si capisce che l’edificio è relativamente nuovo ma al tempo stesso sembra anche cresciuto nel corso del tempo. È un effetto che in Svizzera definiamo con il concetto di «Architettura analogica»: da molti singoli dettagli banali, che apparentemente vengono messi insieme in modo casuale, nasce un’immagine familiare che solo a una seconda occhiata, grazie a piccoli straniamenti e irritazioni, ci fa capire che l’opera non è così naif come appare.

All’interno della casa il gioco con il preesistente continua. Le pareti aggiunte sono in legno chiaro, in contrasto con i muri massicci e le travi scure del vecchio edificio, si adattano perfettamente al preesistente, compensano le sue irregolarità e al tempo stesso le sottolineano. Anche qui ci sono dettagli che testimoniano con quale attenzione quasi manieristica è stato curato il dialogo tra il vecchio e il nuovo. Ad esempio i nuovi battiscopa che contrastano con i vecchi muri e che invece quasi si fondono con le nuove pareti in legno. Gli architetti hanno conservato le vecchie cornici che si sviluppano verso l’interno, e in parte hanno anche lievemente accentuato le inclinazioni delle strombature. Siccome al piano superiore è stata tolta la controsoffittatura del solaio, i locali qui sono non soltanto molto alti ma anche contraddistinti dalle falde del tetto.

Lungimiranza, protezione e raccoglimento

Per quanto diverse siano queste tre case di vacanza, le cose che hanno in comune sono comunque evidenti. Un aspetto centrale è la bella vista: come ci si poteva aspettare le vedute verso l’esterno sono curate fin nei dettagli. Quello che si vuole vedere è un paesaggio ticinese il più possibile incontaminato, eventualmente interrotto da edifici storici e con il minor numero possibile di elementi moderni.

Nel caso della casa di Mergoscia questo intento culmina nella totale negazione del vicinato (cosa comprensibile se si pensa alla sua banalità architettonica) mentre a Monte non è difficile catturare le immagini desiderate. Da notare invece come nel caso della casa di San Nazzaro l’architetto sia riuscito a non rivolgere lo sguardo esclusivamente al lago, bensì a creare un luogo di soggiorno gradevole che non nega gli aspetti più grossolani e pragmatici dell’ambiente circostante.

In secondo luogo colpisce l’uso mirato del legno. Tutti e tre gli studi lo hanno utilizzato per dar forma a delle nicchie abitative all’interno di involucri minerali – cemento a vista o muratura. Come un’imbottitura, il legno aderisce alle pareti, riluce delicatamente a contatto con materassi e cuscini di colori caldi e invita a raggomitolarsi. Per quanto le tre case seguano una linea purista, senza cocooning non se la cavano; e il materiale che più di tutti trasmette un senso di protezione è proprio il legno.

Un’altra caratteristica comune alle tre case sono i locali altissimi. Il fatto che i soffitti nei due edifici nuovi siano chiaramente al di sopra della norma non ha a che fare soltanto con le possibilità economiche del committente. I locali sono vistosamente lunghi e si espandono verso l’alto, hanno perciò proporzioni che si conoscono dall’architettura sacra: irradiano quiete e favoriscono un ritiro contemplativo. In certi punti si può addirittura avvertire un’atmosfera mistica.

Se questo effetto sia voluto o meno non è sempre chiaro ma lo si riscontra in tutte e tre le case – in Clavuot in modo molto discreto, in Bearth & Deplazes in modo decisamente più potente, le scale ad esempio non sono solo di una bellezza impressionante, portano anche verso la luce e persino il bagno stretto al piano superiore, sembra puntare al cielo. Anche Sergison ha scoperto con il suo restauro una finestra sul tetto attraverso la quale un sottile raggio di sole cade nell’alto soggiorno e indica il passaggio dalle ristrettezze del villaggio alla vastità del cielo.

Non c’è dubbio, le vacanze in Ticino non sono solo una possibilità per dimenticare il lavoro e abbandonarsi alle gioie del dolce far niente. Sembrano offrire anche, a volte, la possibilità di una riflessione estetica, elevata, seria.

Note

  1. Atlante statistico della Svizzera, dati del 2012.

  2. Ufficio Federale di statistica, dati del 2000.

  3. Cfr. anche articolo di Mercedes Daguerre, p. 54.

  4. Cfr. anche articolo di Graziella Zannone, p. 48.

  5. Cfr. anche articolo di Mercedes Daguerre, p. 60.

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