Lui­gi Snoz­zi: Don Chi­sciot­te dell’ar­chi­tet­tu­ra ti­ci­ne­se

Pierre-Alain Croset ricorda Luigi Snozzi

Architetto profondamente politico, difensore della città come bene comune, Snozzi ha passato la vita a insegnare progettando e progettare insegnando – un processo di cui resta traccia, oltre che nelle sue (relativamente poche) realizzazioni, nella cittadina di Monte Carasso, manifesto costruito del suo pensiero. Il ricordo di Pierre-Alain Croset.

Publikationsdatum
22-02-2021

Alla domanda se avesse un modello nel suo fare architettura, Luigi Snozzi rispose nel 1989: «Don Chisciotte, il cavaliere dall’aspetto triste».1 Ironia e lucidità critica caratterizzano questo autoritratto di un architetto da sempre impegnato in battaglie ideali, famoso in tutto il mondo per esemplari progetti urbani e per aver trasformato il piccolo paese di Monte Carasso in un laboratorio vivente di architettura e urbanistica, ma spesso ostacolato nel nativo Ticino. Già nel 1984 Vittorio Gregotti aveva evidenziato il fatto che Snozzi avesse «progettato molto e costruito assai poco», concludendo che questo fosse «un vero peccato per il suo paese»:2 questa constatazione amara fu purtroppo confermata negli anni successivi, un vero peccato anche per molte città europee in cui Snozzi elaborò progetti non adeguatamente riconosciuti, ad eccezione delle città di Maastricht in Olanda (Complesso residenziale «Stoa», 1993-2002) e di Pforzheim in Germania (Edificio amministrativo e residenziale «Bau und Grund», 1995-1997).

Pierre-Alain Croset parla di Luigi Snozzi in un'intervista radiofonica di Rete Due

Architetto profondamente politico, difensore della città come bene comune, Luigi Snozzi aveva saputo usare con grande intelligenza le occasioni offerte dalla committenza privata per realizzare una serie di piccole case monofamiliari, spesso case di vacanza, concepite come vero e proprio manifesto di un modo di pensare l’azione architettonica come atto di modificazione sensibile del sito: Casa Snider a Verscio (con Livio Vacchini, 1965-1966) rappresentò la prima opera che metteva in pratica in Ticino la rinnovata attenzione per i caratteri formali delle strutture urbane, mentre Casa Kalman a Brione (1974-1976) rispose alla scommessa di rendere abitabile un terreno apparentemente non costruibile a causa del pendio molto scosceso, con un’inedita interpretazione del principio lecorbusieriano della promenade architecturale che inizia nello spazio pubblico per poi penetrare nella casa e proseguire verso l’esterno in una terrazza-pergolato che incornicia la spettacolare vista del lago Maggiore. Proseguendo per più di quarant’anni questa ricerca nel campo dell’architettura domestica, Luigi Snozzi ha prodotto un corpus esteso di variazioni sul tema del dialogo tra oggetto, sito e principio insediativo, vero e proprio laboratorio di soluzioni successivamente messe in pratica nei progetti urbani di maggiore dimensione.

In ricordo di Luigi Snozzi abbiamo pubblicato i suoi aforismi e poi uno scritto di Pietro Martinelli.

Fu tuttavia nell’insegnamento universitario che Snozzi trovò il più fertile terreno per approfondire la propria ricerca progettuale e per riflettere teoricamente sulla relazione tra la lettura del sito e la scelta della soluzione insediativa. Ad eccezione della serie dei famosi aforismi redatti negli anni dell’insegnamento all’ETH di Zurigo (1973-1975), Snozzi non rinchiuse mai il suo insegnamento del progetto all’interno di una vera e propria costruzione teorica: usando il proprio corpus di progetti come exemplum, rinunciò a trasmettere agli studenti ogni forma di codificazione linguistica stabile, preferendo insistere sempre sulla motivazione etica dell’intervento architettonico. La singolare chiarezza didattica dei suoi progetti era leggibile anche nella grafica elementare degli elaborati prodotti per le pubblicazioni, che riprendeva la tecnica dei retini colorati usata da Le Corbusier nei suoi ultimi progetti. Anche dopo il pensionamento come professore ordinario del Politecnico di Losanna nel 1997, Snozzi continuò a insegnare progettando e a progettare insegnando, sia come docente invitato a Trieste, Alghero e Zurigo, sia tramite l’attività di conferenziere e di polemista che lo fece conoscere anche a un ampio pubblico non specializzato. Snozzi continuava a esprimere un talento unico nel raccontare le città attraverso i suoi progetti, mescolando progetti degli anni Settanta a quelli più recenti per dimostrare l’attualità e la coerenza delle sue posizioni etiche e politiche che hanno trovato nella piccola comunità di Monte Carasso, grazie anche all’impegno continuativo del sindaco Flavio Guidotti, il terreno fertile per realizzare in più di trent’anni il manifesto costruito del suo pensiero politico e architettonico.

Anche nei suoi migliori progetti non realizzati, Snozzi difese la necessità di criticare radicalmente la tragica separazione tra pianificazione urbanistica e progettazione architettonica. Più di ogni altro progetto territoriale, il grande disegno per la Deltametropolis in Olanda (2001-2003) dimostrò in modo esemplare che fosse possibile rispondere alla complessità dei problemi della trasformazione territoriale con un gesto formale unico, di radicale semplicità: un viadotto ferroviario circolare che unisce le diverse città della Ranstad olandese e che definisce nello stesso tempo i limiti fisici della crescita urbana, rispondendo in modo radicale al tema contemporaneo delle diffusione urbana della megalopoli. A chi denunciava la dimensione utopica del suo progetto, Snozzi rispondeva che si trattava del più realistico tra i progetti, perché fondato interamente sulla progettazione di un viadotto ferroviario.

Rifacendosi all’appello morale di Max Frisch a resistere contro «la fede cieca verso la tecnologia»,3 Luigi Snozzi incarnava il principio che l’architetto dovesse essere un combattente e un intellettuale critico: fu un architetto partigiano; ben conscio di assumere una posizione minoritaria di fronte alla sempre crescente spettacolarizzazione dell’architettura con­temporanea, egli amava citare tra i pochissimi «compagni di viaggio» Livio Vacchini, Paulo Mendes da Rocha, Álvaro Siza, Gonçalo Byrne, Eduardo Souto de Moura, Roger Diener e Jo Coenen. Con i suoi progetti e con il suo insegnamento, Luigi Snozzi continuerà a esercitare un’influenza durevole su architetti e studenti, invitando a privilegiare i valori comuni della città e del territorio rispetto al singolo oggetto architettonico, con scelte meditate e responsabili, distanti da ogni velleità di protagonismo.

Note

  1. Luigi Snozzi, «du», n. 11, 1989, p. 13.
  2. Vittorio Gregotti, Sulle tracce dell’architettura, in Luigi Snozzi. Progetti e architetture 1957-1984, Electa, Milano 1984, p. 32.
  3. Max Frisch, Der Aufruf zur Hoffnung ist heute ein Aufruf zum Widerstand, Discorso del settantacinquesimo anniversario alle ottave Giornate letterarie di Soletta, 10 maggio 1986, pubblicato in «Die Weltwoche», 15.5.1986, n. 20, in italiano in «Politica nuova», 23.5.1986, n. 21, e successivamente in Walter Obschlager (a cura di), Schweiz als Heimat, Suhrkamp, Frankfurt/Main 1990, pp. 461-469.

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