Au­to­fo­cus – En­ri­co Ca­no

Fotografia d'architettura nella Svizzera italiana

Nel 1960 Fernand Pouillon scriveva: «L'illustrazione del libro d'architettura appartiene oggi ai fotografi. Le riviste contemporanee, che pure hanno a disposizione i disegni originali […], preferiscono la fotografia». Sessant'anni dopo è ancor più evidente come quest'arte abbia plasmato lo sguardo sull'architettura: se la realizzazione di un progetto è suggellata proprio dal momento in cui se ne scattano le fotografie, i rendering non sono altro che “previsioni” di fotografie, fotografie dal futuro. In un territorio ristretto come la Svizzera italiana è allora interessante capire chi sono i fotografi che guidano il nostro sguardo sul panorama costruito. Abbiamo posto loro cinque domande, sempre le stesse, per dare conto delle prospettive di ciascuno sul proprio mestiere.

Publikationsdatum
10-06-2020

Come ha iniziato a occuparsi di fotografia d’architettura?
Durante gli studi di fotografia ho iniziato a fotografare l’architettura con il banco ottico e mi sono subito appassionato. Era il 1990, ho iniziato a fotografare le architetture dell’architetto Mario Botta e ho realizzato che questo mestiere mi piaceva molto.

Con quali architetti collabora più spesso? Ci racconterebbe un aneddoto legato a uno di loro?
Mario Botta, Renzo Piano, Aurelio Galfetti, Luca Gazzaniga, atelier ribo+… Fin da subito ho incontrato Mario Botta che è stato per me un maestro. E non solo, oltre a darmi ogni volta consigli e suggerimenti, è sempre stato piacevole lavorare per lui perché senti e ti comunica di averlo fatto felice. Il riconoscimento, il ringraziamento è la cosa più importante di tutte, ti dà entusiasmo ed energie per rinnovarti continuamente. 

Secondo lei la fotografia d'architettura ha un modo diverso di approcciarsi ai suoi soggetti rispetto alla fotografia tout court? Se sì, quali sono le differenze?
Per eseguire un lavoro professionale è importante osservare, osservare, osservare… Sia che si fotografi una persona, un oggetto o un'architettura, bisogna girargli intorno più e più volte. Se si fotografa una persona devi trovare velocemente una certa empatia con il tuo soggetto, se fotografi l’architettura devi sempre trovare il lato giusto, ma non hai il condizionamento emotivo e puoi disporre di più tempo. Nell’architettura sei anche obbligato a seguire le dinamiche dell’atmosfera e a decidere il momento (con il sole, senza il sole, con la pioggia…). Nella foto in studio puoi controllare la luce a tuo piacimento.

La chiamano per fotografare un edificio. In che modo si approccia al soggetto? Cosa cerca, cosa le interessa mostrare?
Ogni volta sono incuriosito e cerco di capire come è fatto (i materiali, come reagisce alla luce… la sua abitabilità); ma fin da subito comincio a fotografare.
Inizia come un percorso. È particolare: a volte le foto migliori sono le prime, a volte le ultime, non c’è una vera e propria regola. Sicuro è che in questo percorso si inizia a conoscere l’oggetto e piano piano lo si svela. È importante riuscire ad avere alcune immagini che lo raccontano nella sua interezza, descrivendo anche il contesto; avere alcuni dettagli che evidenziano i materiali; riuscire ad avere persone intorno a te che diano la scala e rendano lo spazio vivo. E in tutto questo percorso, che a volte dura giorni, riuscire a mostrare il bello che quest’opera svela.
Sì, la ricerca del bello è sicuramente la mia meta. Anche nei progetti più complessi lo sforzo è trovare quell’armonia e quell’equilibrio che le forme e i materiali con la luce giusta possono esaltare.

Tra le fotografie che ci propone, le chiederei di sceglierne una che le sembra particolarmente riuscita e commentarla. Cosa mostra e perché le sembra che questa fotografia funzioni?
Ho iniziato questo mestiere esattamente 30 anni fa, non è facile scegliere un'immagine… in 30 anni si cambia molto e anche il mondo intorno a te è cambiato molto.
Prendiamo la foto scattata in India nell’università di Ahmedabad: qui abbiamo una serie di elementi che funzionano: la luce, l’inquadratura, il punto di vista, e c’è la figura umana. Ci sono tutti gli elementi corretti, ma anche di più: questa immagine ferma inesorabilmente un momento: la figura è nel punto giusto nel momento giusto e crea una doppia ombra che, se si osserva bene, sembra quasi irreale. Ecco, una delle meraviglie della fotografia è anche questo: ci sorprende sempre, anche quando pensavamo di avere tutto sotto il nostro controllo.

Specializzato in fotografia di architettura, Enrico Cano collabora con diversi progettisti. Ha insegnato fotografia al Politecnico di Milano e alla SUPSI di Lugano. Collabora attivamente con l’Accademia di architettura di Mendrisio per progetti (come i quaderni di architettura o il volume su Villa Girasole) e mostre (ad esempio quella dello Swiss Architectural Award e Twilight of the Plan: Chandigarh and Brasilia). I suoi lavori sono stati presentati in personali e collettive in Italia e all’estero. Ha inoltre curato l'installazione di 1200 metri lineari di fotografie all'ospedale di Vimercate e partecipato a concerti multimediali dal vivo con le immagini del progetto «Essenza», dedicate ai quattro elementi (terra, acqua, fuoco, aria), accompagnate da musiche di Claudio Fasoli e Ferdinando Faraò. 

 

enricocano.com

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