Dal­la roc­cia ver­so il cie­lo

Publikationsdatum
07-02-2019
Revision
11-02-2019

Recentemente il sindaco di Lampedusa è intervenuto – ad Agenzia Stampa Italia – sulla questione dei 32 migranti fermi, da giorni, sulla nave Sea Watch 3: «Potremmo accogliere anche loro, come gli altri, perché non è vero che il nostro porto è chiuso, ma è aperto, così come una parte dell’hotspot. Gli sbarchi proseguono e ne abbiamo avuti, dall’inizio del 2018 fino alla fine, 300, sono giunte 2700 persone».

Lampedusa è l’isola più grande dell’arcipelago delle Pelagie, geograficamente e geologicamente è più vicina all’Africa che alla Sicilia e fa parte dell’estremo lembo della «Placca Africana». Negli ultimi anni è diventata meta esclusiva del turismo di nicchia, forte di un eccezionale ambiente marino, perlopiù incontaminato, selvaggio e poco esplorato.

Tra luglio e agosto la popolazione passa dai 6’000 ai circa 40’000 abitanti. Tale incremento sottopone i lampedusani residenti e i servizi essenziali a un autentico stress test di accoglienza turistica e coabitazione, nonostante il grande ritorno economico dal turismo.

La sua peculiare collocazione nel Mediterraneo ha reso l’isola anche «teatro» di epocali vicende umane, come lo sbarco di una gran moltitudine di migranti, e testimone di alcuni recenti naufragi dai tragici esiti. 

I migranti sui barconi, che salpano dalle coste libiche e tunisine, in Lampedusa intravedono il primo lembo di terra europeo, la speranza.

Lampedusa è l’avamposto più a sud d’Europa. Isola, terra d’incanto e di mare, crocevia di turismo e migrazioni. Luogo simbolo della contemporaneità, testimone purtroppo di un dramma umanitario che bagna di morte le coste del mare Mediterraneo. Allo stesso tempo è natura incontaminata, paesaggio trasparente e luminoso. È accoglienza, calore, conforto e rinascita. È necessario non dimenticarlo, è necessario non dimenticare. 

A volte tali aspetti sembrano inconciliabili, altre volte denotano la grande ospitalità dei lampedusani, la loro generosità nell’accoglienza. 

 

Recupero delle cave di Lampedusa tra Punta sottile e Cala francese

«Il progetto propone un luogo che ricordi il rispetto dell’immigrazione e della convivenza civile, che è un bene primario. In un momento di rabbiosità dilagante come quello attuale bisogna ragionare su un tema contemporaneo così importante e mostrare, attraverso l’architettura, come si possono costruire piattaforme non virtuali ma reali di carattere universale».
Fulvio Irace, «Corriere della Sera», 2 ottobre 2018.

 

Il progetto è stato immaginato come un’Erma bifronte, come un luogo che interpreti le principali «vocazioni» dell’isola degli ultimi anni: quello della prima accoglienza dei migranti e quello ricettivo del soggiorno turistico-vacanziero. 

La cava, situata nelle vicinanze dell’area aeroportuale, è di fatto il lembo di terra più a sud di Lampedusa, e pertanto d’Europa, ed è costituita da un vasto sistema di aree di scavo comunicanti. La cava più grande oggetto dell’intervento si estende per circa 6’000 m2; la seconda area limitrofa misura invece circa 500 m2. La profondità di scavo varia da 2 a un massimo di 4,5 metri di scavo, ed è in parte affiorante dal piano di campagna, situato a pochi metri dalla costa. 

La peculiare conformazione dell’area di scavo la rende un luogo già di per sé carico di bellezza. I particolari tagli, residui delle estrazioni dei blocchi, hanno lasciato sulle pareti, in modo diffuso, un sistema di incisioni simile a un impressionante retablo di segni che ne definiscono un insolubile mondo fatto di trame e tessiture intagliate nella roccia. Tali segni sono presenti sia sul suolo che sulle pareti, ciclicamente e delicatamente «invase» da minute specie vegetali che trovano tra le fessure, anche se per poco tempo, un ideale habitat. Le pareti della cava fanno sì che il suono dell’aria e del mare porti una sospensione quasi mitica.

Il progetto prevede interventi mirati che riguardano l’inserimento di «innesti» contemporanei minimali che attivino, mediante la loro alterità calcolata, nuove relazioni tra nuovo ed esistente. S’intende «attrezzare» e dotare l’area, già di per sé straordinariamente carica di fascino e di tensione, di quei dispositivi e dei «servizi» essenziali necessari a una efficace, suggestiva, agevole e sicura fruizione.

Il nuovo avrà un carattere laconico ed essenziale, pertanto atemporale, dal design asciutto e minimale, così da interpretare l’area, esaltarla efficacemente affinché diventi un peculiare «luogo» dell’isola che evochi immagini e immaginari di alcune importanti vicende internazionali che hanno visto l’isola di Lampedusa simile a un «teatro» collettivo. 

Le parole chiave dell’intervento potrebbero essere le seguenti: essenziale, poetico, laconico, sostenibile, accessibile. 

Il progetto si inserisce all’interno di una diffusa pratica che coniuga vari tipi d’intervento: il restauro ambientale, la riqualificazione territoriale e la valorizzazione socio-culturale ed economica.

Il progetto può divenire un importante tassello inserito in un complessivo programma che intende migliorare la valorizzazione e la fruizione del territorio e delle sue risorse ambientali. In questo modo può diventare un luogo di importante valenza turistica e nel frattempo rispettoso del delicato carattere dei luoghi.

L’area nei mesi estivi potrebbe accogliere i grandi eventi, le feste, le rievocazioni e le rappresentazioni teatrali e musicali; allo stesso tempo la sua attuale conformazione ispira l’installazione di dispositivi e simboli della «memoria» dell’isola. 

 

Il giardino

All’interno della cava sono previsti interventi di reintegrazione naturalistica con la messa a dimora di specie vegetali autoctone, capaci di resistere alle estreme condizioni meteorologiche. Una capiente cisterna interrata – o comunque visivamente poco impattante – raccoglierà le acque meteoriche in eccesso, indispensabili alle nuove colture durante l’arida stagione estiva.

Solo nella parte interna della cava verrà realizzata un’area umida, con la presenza di vegetazione elofita acquatica, al fine di favorire la presenza della fauna locale.

 

La gradinata – teatro all’aperto

Il progetto prevede un ampio «teatro marittimo» che riutilizzi i «detriti» e i resti dei blocchi e dei rilevati già presenti, sia all’esterno sia all’interno della cava, che si conforma ai dislivelli così da accogliere naturalmente la platea, la quale ha come scena e fondale il «Mare d’Africa». 

L’ampia platea può accogliere al suo interno sino a 500 posti su una comoda scalinata, che all’occorrenza può diventare teatro all’aperto. La gradinata è dolcemente incastonata nel piano di cava esistente così da ridurre notevolmente l’intervento di riempimento. 

 

La barca all’interno della cava 

Il progetto prevede l’installazione all’interno della cava di una delle barche dei migranti sequestrate e temporaneamente depositate presso il campo sportivo. Si procederà col trasporto, la collocazione e il trattamento di carbonizzazione delle superfici a vista. Tale tecnica di origine giapponese è denominata «Shou Sugi Ban», letteralmente «bruciare le tavole di cedro», diventata una moda contemporanea e risalente al Settecento. Questa procedura consiste nel carbonizzare la parte superficiale del legno, così da chiudere con l’utilizzo del vapore e del calore i pori e rendere la tavola impermeabile all’acqua, di conseguenza resistente anche alle muffe e ai funghi. Il legno trattato diventa ignifugo, essendo meno infiammabile del legno non carbonizzato, e per un determinato periodo di tempo addirittura più stabile e duraturo. 

Per cui il fuoco distrugge, conserva e conferisce un carattere astratto e atemporale. La barca fossilizzata diventa una inquietante e muta testimonianza dei popoli che nei millenni hanno solcato i mari del Mediterraneo. Un oggetto senza epoca, che appartiene alle memorie lontane, presenti e future. 

Il mare si vede dalla sommità della cava, ma scompare quando ci si inabissa al suo interno. Eppure si avverte, con il suo odore e il suo parlare. E a volte s’intravvede, se ne regalano alla vista piccolissimi scorci, ci si appiglia alla sua presenza in una costante, opposta sensazione di perdita del luogo e delle sue connotazioni. È risaputo che l’immaginazione e l’invisibile siano più potenti del visibile. La straordinaria peculiarità del luogo induce a ricercare delle suggestioni non visive. La poesia L’infinito di Giacomo Leopardi è diventata uno strumento attivo del progetto. L’impedimento, l’ostacolo visivo delle pareti della cava accentuano l’immaginazione. Attraverso il pensiero si cerca con l’occhio della mente di guardare oltre e di immaginare eventi e drammi di una condizione ambivalente dell’esistenza umana. 

 

Il memoriale del 3 ottobre 2003

Il memoriale è un luogo della cava dedicato alla riflessione, alla contemplazione, alla meditazione, alla preghiera – di tutte le religioni e le professioni di fede, laici compresi – uno spazio della memoria che evochi le speranze, le ansie, i tormenti e i drammi di un’umanità «derelitta» in fuga. 

Si prevede di realizzare, accanto al fossile dell’imbarcazione, sulla parete perimetrale sud est della cava, un numero di fori (del diametro variabile da 100 mm a 50 mm) corrispondenti alle vittime. 

Nel naufragio del 3 ottobre 2013, avvenuto al largo dell’isola dei conigli a Lampedusa, morirono 368 persone con 20 dispersi.

I 388 fori sulla parete più scura, a contatto con il mare, sono simili a bolle d’aria che cercano di raggiungere la superficie nell’acqua e il cielo. Il 3 di ottobre di ogni anno, durante una cerimonia che inizierà all’imbrunire, nei fori verranno adagiati dei lumini che rimarranno accesi per tutta la notte. Diventeranno simili alle stelle di una costellazione. La perdita, l’assenza del foro nella parete, diventa presenza, diventa luce. La morte si trasforma in vita, in speranza.

 


Al minuto 56 di questa conferenza dedicata a L'architettura della tolleranza, tenuta al salone di Cersaie il 27 settembre 2018, Vincenzo Latina presenta il progetto per il recupero delle cave di Lampedusa.


 

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