The Switch Hou­se is open

Una visita alla nuova torre della Tate Modern

Sedici anni dopo la conversione della centrale termoelettrica di Bankside, passata da relitto industriale a cattedrale della cultura, la Tate Modern ha inaugurato la sua nuova espansione, per far fronte a un afflusso di pubblico da record.

Data di pubblicazione
27-07-2016
Revision
02-08-2016

Con la Switch House, la nuova torre-piramide alta 64.5 metri che sembra fare il verso alla ciminiera disegnata da Sir Giles Gilbert Scott, la Tate aumenta di circa il 60% le sue superfici, cogliendo l’occasione per ripensare le formule curatoriali e per rendere conto delle profonde trasformazioni nella geografia e nei metodi dell’arte contemporanea. La creazione di questa appendice ha provocato infatti un movimento tellurico nell’intero complesso, portando alla riorganizzazione delle collezioni e dei criteri espositivi, che meritano approfondimenti in altra sede.

Sedici anni dopo, sono ancora gli svizzeri Herzog & de Meuron gli autori del progetto, costato 260 milioni di sterline, che dall’esterno mostra chiaramente elementi ben noti a chi conosce la loro opera. La torre «storta», innanzitutto, è ormai una costante, seppur affrontata sempre con nuova curiosità: si pensi almeno alla Central Signal Tower di Basilea (1994-1999) e al De Young Museum di San Francisco (1999-2005) L’involucro rappresenta un altro marchio di fabbrica: anche a Londra siamo di fronte a un accurato esercizio sul tema della texture, che qui dialoga con il mattone che riveste la vecchia centrale. Nella prima versione, del 2006, la Switch House risultava completamente di vetro: solo in un secondo tempo – per paura di farla assomigliare ai tanti edifici vetrati che ogni anno sorgono a Londra – si è pensato a un’idea di solidità che vorrebbe il Museo come baluardo contro la volgarità della speculazione immobiliare. Avvicinandosi, e ancor più dall’interno, la pesantezza del mattone (336,000 pezzi) viene tuttavia negata dalle mutazioni della trama che si infittisce e dilata, e ovviamente da quei netti tagli orizzontali – che potrebbero rievocare gli squarci nella Schaulager di Basilea – pensati per portare la luce a ogni piano. Lasciata alle spalle l’immagine scultorea della torre – da molti associata a una piramide, a uno ziqqurat, a una enorme tenda – ci si può dedicare all’esplorazione degli interni, che forse rappresentano, dato il significato dell’operazione complessiva, la parte più interessante da giudicare.

Dentro si passa dal piranesiano al finto sporco, dall’industrial chic al minimalismo d’autore, in un percorso ascensionale che dalle viscere della mastodontica centrale conduce a nuove prospettive sullo skyline londinese. «Piranesiana» – esagerando un po’ – potrebbe definirsi la zona più sotterranea del complesso, quella dei Tanks: gli enormi serbatoi pressappoco circolari dove in origine era stipato il combustibile che faceva funzionare le enormi turbine. Con un atteggiamento un po’ pragmatico e un po’ morboso, Herzog & de Meuron hanno tagliato i grandi setti di cemento laddove richiesto dalla nuova fruizione, lasciando cicatrici e talvolta moncherini – come i due frammenti di rampe di scale che oggi finiscono sospese nell’aria, senza sbarco, qui sì rievocando carceri disorientanti – di questa operazione. Non solo: essendo oggi sormontata dalla nuova torre, questa zona (corrispondente al livello 0) è stata trafitta da una serie di pilastri inclinati in cemento armato, in una maniera che sembra casuale se non si sapesse cosa c’è sopra. E allora lo spazio, che è quello da cui ha inizio il tour nella nuova ala, diventa perturbante e grezzo, scandito da elementi strutturali di diversa sezione, inclinazione e finitura, che un occhio attento può ricondurre alle diverse parti ed età dell’edificio. Da questa sorta di foyer si penetra dunque nei Tanks veri e propri, pensati per ospitare diversi tipi di installazioni, performance, video art. Uscendo dalla semioscurità comincia invece il percorso d’ascesa, che dalle catacombe conduce all’empireo del decimo livello. L’inizio del percorso, e il cambio di registro, è segnato da una grande scala elicoidale già vista, in forme diverse, nelle architetture della coppia basilese: nella Aargauer Kunsthaus (1996-2003), nel Laban Creekside Dance Centre a Deptford (1997-2003), nella recente estensione del Musée Unterlinden a Colmar (2009-2015) ecc. Anche nella Switch House la scala – con un diametro molto generoso – è un elemento scultoreo, che continua al piano superiore e poi si affievolisce man mano che si sale. Iniziano così i piani tipo, caratterizzati da una pianta a geometria variabile – la «piramide» si torce e si snellisce – che è per almeno metà occupata dalla promenade di scale e da spazi di circolazione, unificati ai vari piani dal cemento a vista con molte sbavature: non è il cemento di Tadao Ando, ma è chic lo stesso. Incrociandosi con i piani inclinati delle facciate, la metamorfosi della pianta crea ballatoi e spazi a doppia altezza, che decostruiscono le visuali interne ed esterne. Le gallerie espositive si trovano ai livelli 2, 3 e 4: sono differenziate tra loro per l’organizzazione interna – che cerca di fornire una gamma variabile di spazi, dall’intimo all’open space – e per le finiture, familiari per chi conosce la Schaulager di Basilea. Se il pavimento è ovunque parquet, a ogni piano cambia il controsoffitto, con pannelli retroilluminati o file di neon. Da citare è anche il contributo del designer inglese Jasper Morrison, chiamato come consulente per gli arredi interni: proprio lui che nel 2000 aveva disegnato la sedia Tate (Cappellini) appositamente per il nuovo museo. 

Al quarto piano, dove adesso c’è la bella sala dedicata a Louise Bourgeois, la Switch House è collegata direttamente alla «vecchia» Centrale sfruttando il grande ponte metallico sospeso sulla Turbine Hall e creando così una circolazione libera dell’intero complesso. Salendo ancora si incontrano nuovi spazi e funzioni: Tate Exchange, Learning and Events, spazi per lo staff, un ristorante e infine, al decimo piano, una grande terrazza panoramica che offre una vista a 360 gradi su Londra. Non è quella che si gode dal belvedere della Shard ma è comunque splendida e pure gratis: per salire al 72esimo livello della torre di Renzo Piano, alta 306 metri, bisogna invece sborsare parecchie sterline. 

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