Lun­go il La­veg­gio

Una passeggiata lungo la «spina dorsale» liquida del Mendrisiotto con l’associazione Cittadini per il territorio che ha accompagnato dall’inizio l’elaborazione dei progetti territoriali per la nuova Mendrisio.

Data di pubblicazione
18-12-2018
Revision
18-12-2018

Quando usciamo dalla macchina il cielo è terso; davanti a noi si spalanca un prato, e ci circonda quel silenzio delle belle giornate, carico di ronzii e frinii. Accecata come sono da questo sole incongruo (poco più di un’ora fa mi trovavo in una piovosa Locarno), quasi non bado ai capannoni alla nostra destra, primo sintomo della confusione urbana che domina in questa zona. Gianni Biondillo, nel percorrere il Mendrisiotto in un picaresco cammino lungo il fiume Laveggio, l’aveva immortalata osservando che «è a valle che l’economia del Novecento ha trasformato tutto, usando la pianura come un palinsesto da scrivere e riscrivere fino all’eccesso, fino a conseguenze irreversibili, fino a sdrucirlo, a strapparne i lembi, a depauperarlo».1

Siamo in quattro: a far da guida a me e mio padre sono Grazia Bianchi e Ivo Durisch, coordinatori dell’associazione Cittadini per il territorio, fondata nel 2010 a tutelare ambiente e paesaggio nell’area del Mendrisiotto («Devi conoscere un territorio per poterci agire», sottolinea Ivo). Insieme hanno curato, nell’ambito di un concorso indetto dalla Confederazione per progetti modello di sviluppo sostenibile, l’ampio volume Parco del Laveggio, che prende in esame lo stato del fiume, «spina dorsale del fondovalle dell’Alto Mendrisiotto»,2 e illustra misure atte a valorizzarlo. L’analisi, citata nel bando del mandato di studio per il progetto territoriale di Mendrisio, è stata presentata nel corso dei workshop con i gruppi di lavoro da Mario Ferrari, consulente del Collegio degli esperti e «Cittadino» della prima ora. Il posto rimasto libero nella macchina di Grazia ce lo ricorda: è morto il 14 ottobre. «Era un ispiratore», dice Ivo.

Grazia mi indica una cartina: «Siamo qui, alla Prella, frazione di Genestrerio». Ivo spiega che nel prato davanti a noi cinque anni fa la Swatch aveva previsto di costruire un grande stabilimento che si sarebbe esteso fino all’area protetta visibile in lontananza; così i Cittadini si sono mobilitati e tramite un’opposizione, una raccolta firme e interventi sui giornali sono riusciti a fermare il progetto. «Sai – mi dice Grazia – abbiamo creato l’associazione perché ci siamo resi conto che la pianura del fondovalle del Mendrisiotto si sviluppava in modo sempre più disordinato, senza che si intravedesse la volontà di porvi rimedio. Fin dall’inizio c’erano con noi Tita Carloni e Mario Ferrari, che da sempre si occupavano del territorio. I primi schizzi per il progetto del Parco li aveva fatti il Tita. Era sempre pronto a darci il suo parere». «Era un motore, un maestro – aggiunge Ivo. – Voleva far crescere la gente, non imporre le sue idee».

«E com’è nata Cittadini per il territorio?» interloquisce mio padre. «Eravamo tutte persone già attive a diverso titolo nella difesa del territorio e dell’ambiente» spiega Grazia mentre saliamo in macchina. «Ci ha riuniti un progetto: nella zona, molto bella, dei meandri del Laveggio, dove siamo diretti, volevano fare un bacino di laminazione, uno spazio dove il fiume può straripare nei momenti di piena. Ma uscendo dagli argini avrebbe portato limo e detriti, rovinando i terreni. Così la nostra prima azione è stata opporci a quella proposta. E ci siamo riusciti. Ora il Municipio di Mendrisio ha stanziato un credito per il progetto definitivo dell’allargamento di un tratto dell’alveo del fiume lì dove esondava, nella zona industriale. Così il bel pratone dove era previsto il bacino si è salvato». «Un concetto importante, secondo me, – riflette Ivo, mentre superiamo una rotonda che ospita un tavolo da picnic, – è che, se un posto è brutto, non c’è niente da salvare, i cittadini non si mobilitano. Bisogna valorizzare quel che si ha». «Dopo il successo con il bacino si è deciso di continuare e ci si è concentrati sul comparto Valera, che vedremo più tardi. Sull’esempio dei Cittadini del Mendrisiotto sono nate poi altre associazioni, sparse in tutto il cantone; si riuniscono ogni anno l’8 dicembre, sempre in un posto diverso».

«E come vi è venuta l’idea di mettere il fiume al centro del vostro progetto modello?» chiedo. «Beh, perché i progetti di sviluppo urbano erano a ridosso del fiume – spiega Ivo. – Noi ci dedichiamo a proteggere i territori vergini; siamo improntati all’intervento minimo da parte dell’essere umano». «E riguardo alle architetture non vi esprimete?». «No, a noi è il territorio che interessa, – interviene Grazia – non entriamo nel merito della qualità del costruito. Badiamo che non vengano occupate zone che devono rimanere libere. E spingiamo per rivedere le pianificazioni, se necessario».

Grazia parcheggia al limitare di un vasto prato. Sopra di noi, il cielo sfavilla e l’aria è pulita – o almeno così sembra, anche se le statistiche che attribuiscono al Mendrisiotto il più alto tasso di motorizzazione del cantone3 invitano quantomeno a qualche cautela. «Qua dovrebbe passare la superstrada» spiega Ivo indicando il prato che confina con la boscaglia circostante i meandri del Laveggio. «È un progetto in ballo da tantissimi anni, però fino ad ora non sono riusciti a portarlo avanti; le opposizioni sono state forti. Noi siamo contrari perché andrebbe a occupare altro terreno agricolo». «E se lo realizzassero altrove?», chiedo. «Il problema della superstrada è che porta qui i camion da Genova» ribatte Ivo. «Ci sono altre soluzioni oltre a creare nuove strade e nuovo traffico: adesso, ad esempio, il Cantone farà una corsia preferenziale per chi pratica il carpooling».

Sciaguattiamo sul sentiero lucente di palta – ha smesso di piovere giusto per la nostra gita, ma non tanto da disseccare il terreno – circondati da piante dalle foglie affusolate che a me paiono graziose; e invece è il famigerato poligono del Giappone, al cui sterminio sono dedicate pagine cruente nel volume sul Parco. «Un disastro!» commenta Grazia guardando l’infestante.

«Questa oggi è una zona bella, – riflette – ma bisogna tener presente che il Laveggio fino a pochi anni fa era considerato una specie di discarica: una salumeria ci buttava il sangue dei maiali, per cui diventava rosso un paio di volte a settimana, e quando hanno costruito le autostrade venivano qui con i camion dal cantiere a lavare gli inerti» («Da Laveggio a lavaggio…», ammicca quell’umorista del mio genitore).

Raggiungiamo la boscaglia ed ecco il fiume; due bambini a cavalcioni di pony trottano lungo la sponda. «Per noi questa deve diventare una zona di svago di prossimità», spiega Grazia guardandoli. «La gente deve poter arrivare qui dagli insediamenti vicini a piedi o in bicicletta, senza automobile. È uno dei pochi posti nel fondovalle del Mendrisiotto dove puoi camminare». Tra le fronde occhieggia uno stagno ricoperto di una pellicola verde. «Sono lenticchie d’acqua. Quello è un biotopo». «È qui che i camion venivano a lavare gli inerti» spiega Ivo. «Il WWF ha chiesto di compensare a lavori finiti … e hanno creato uno stagno protetto». Grazia invita a raggiungerla nel punto d’osservazione, dove delle finestrelle inquadrano l’acqua.

Svoltato lungo un’ansa del fiume, ci troviamo di fronte a un prato. «Qui doveva esserci il bacino di laminazione» dice. «Avrebbe decretato la fine biologica dell’area – commenta Ivo. – Tolto quello, siamo riusciti a chiedere un decreto di protezione che adesso è attivo». E mio padre: «Ma perché creare qui un bacino di laminazione?» «Per evitare che, durante le piene, il fiume andasse ad allagare una zona più a valle, dove ci sono delle industrie e un grotto». «Chiaramente non hanno pensato ad allagare dei piazzali nella zona industriale…» rimarca Ivo, avviandosi verso la macchina.

Parcheggiamo sotto il ponte ferroviario nel comparto Valera («la nostra spina nel fianco»), da cui ha preso il nome l’industria che vi si è insediata. «Perché hanno costruito tante industrie lungo il Laveggio?», chiedo. «Come in altri luoghi, storicamente i nuclei sorgevano a ridosso della collina, visto che la pianura era insalubre per via del fiume non bonificato» spiega Ivo. «Quando poi hanno costruito le zone industriali le hanno messe il più lontano possibile dai nuclei, cioè a ridosso del fiume e al confine del comune». «E queste zone industriali sono sparse dappertutto, perché prima delle aggregazioni ognuno aveva la sua» aggiunge Grazia.

Seguiamo il sentiero lungo l’argine; è questa l’area dove il fiume straripa e per la cui protezione si era progettato il bacino di laminazione. «Solo dopo tante insistenze siamo riusciti a far riaprire questo tratto: i proprietari di Valera l’avevano chiuso, dicevano che era pericoloso…». «Per fortuna – dice Ivo – è sempre stato un percorso della dorsale pedestre, per cui siamo riusciti ad intervenire». Grazia legge ironica il cartello «Proprietà privata», piazzato sul terrapieno che si leva di fronte a noi. «Questa salita una volta non c’era» racconta Ivo. «I proprietari avrebbero dovuto bonificare l’area, invece ci hanno semplicemente messo sopra degli inerti che avrebbero comunque dovuto smaltire altrove».

Procediamo oltre e raggiungiamo un alto muraglione dietro il quale ondeggiano dune di ghiaia. «Questo è Valera – commenta Grazia. – Prima qui c’erano degli enormi bidoni con le scorte di idrocarburi della Confederazione; quando li hanno smantellati speravo che sarebbe diventata zona verde, e invece…» «Invece il comune di Ligornetto ha previsto nel suo Piano regolatore che questa diventasse zona industriale, con il bel nome di Cittadella… – continua Ivo – mentre Rancate progettava la sua poco più in là». «Ad ogni modo, anche questo è un bel posto: uno può partire da casa a piedi e farsi la sua corsa lungo il fiume».

Il muraglione è istoriato di graffiti; uno, al grido di «The Schtrada», sembra burlarsi dell’espansionismo autostradale dei locali. «Adesso questa dovrebbe diventare zona verde e agricola, secondo il Piano Direttore» dice Ivo. «Quindi stanno mandando via le industrie?» chiedo. «Prima bisogna risolvere le questioni legali…».

Grazia mi mostra i cartelli che indicano i sentieri. «Poseremo presto una segnaletica con la libellula, il simbolo del Parco». Mentre torniamo alla macchina, le chiedo com’è stato accolto dai comuni il loro progetto modello. «Ci hanno fatto i complimenti; adesso però bisognerebbe trovare chi lo gestisca dalle sorgenti alla foce. Stabio prevede interventi che vanno nel senso auspicato dal nostro progetto, Mendrisio ne ha tenuto conto per il suo Piano Direttore, Riva San Vitale sta eseguendo una messa in sicurezza che rinaturerà il fiume, ma le tre iniziative rimangono slegate. Per ora l’unica cosa che le collegherà sarà la nostra segnaletica…».

Torniamo in macchina, diretti a Riva San Vitale. Certo, non abbiamo braccato il corso del fiume come Biondillo, ma giungendo, infine, alla foce ho comunque l’impressione di aver intrapreso un grande viaggio.

A Riva San Vitale già imbrunisce; si è alzato un vento affilato che ci accompagna fino al punto dove il fiume s’intreccia al lago. Il Laveggio che abbiamo visto attorcigliarsi allo stato brado nei meandri si trova qui irreggimentato in un canale che, più che sfociare, scola. «È una terra di nessuno», osserva Grazia guardandosi intorno. A sinistra della foce, le mura di una villa; a destra c’è un prato. «Lì ci sarebbe una specie di lido aperto, – dice Ivo – ma l’area d’accesso al lago è occupata perlopiù dai motoscafi. La foce ha un bel potenziale di trasformazione, però, come a Lugano».

Eccoci alla meta, quindi: l’ideale conclusione del progettato Parco del Laveggio, la cui realizzazione si sta facendo, pian piano, sempre più verosimile. Iscritto nel Piano Direttore cantonale come «area di svago di prossimità» e incluso nel Piano Direttore comunale di Mendrisio, il Parco ha anche un ruolo significativo nel progetto territoriale vincitore del mandato di studio in parallelo, il cui titolo – Una città in riva al fiume – va subito ad additare il Laveggio. «Il potere evocativo dell’acqua è potente, – annotava Biondillo nel corso della sua passeggiata, – forse è da qui che occorrerebbe partire per una riprogettazione unitaria dell’intero sfilacciato comprensorio che stiamo attraversando».4

 

Note

1.     G. Biondillo, Risalire il fiume, in M. Arnaboldi (a cura di), con la coll. di E. Sassi e F. Rizzi, Atlante Città Ticino. 4 - Comprensorio triangolo insubrico, Mendrisio Academy Press, Mendrisio 2017, pp. 30-37, a p. 30.

2.    Cittadini per il territorio, Parco del Laveggio. Progetto modello. Sviluppo sostenibile del territorio 2014-2018, Mendrisio 2017, p. 8.

3.    Dati del 2016, Ufficio di statistica del Cantone Ticino.

4.    G. Biondillo, Risalire il fiume, cit., p. 32.

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