L'A­ven­tu­re hu­ma­ni­tai­re

Architetti da tutto il mondo rinnovano il Museo della ICRC a Ginevra

Data di pubblicazione
15-10-2013
Revision
12-10-2015

Venticinque anni dopo la sua apertura rinasce il Musée International de la Croix-Rouge et du Croissant-Rouge (ICRC) di Ginevra. Da pochi mesi infatti è stata inaugurata una nuova sequenza di spazi espositivi, firmati da tre architetti dislocati in diverse parti del mondo – Shigeru Ban in Giappone, Diébédo Francis Kéré tra Germania e Burkina Faso, Gringo Cardia in Brasile – e dagli svizzeri atelier oï. Il fulcro del rinnovamento è la nuova mostra permanente, intitolata L’Aventure humanitaire e composta da tre aree tematiche che sono state affidate ai tre architetti stranieri; lo studio di La Neuveville ha invece svolto attività di coordinamento e progettato alcuni ambienti e installazioni. Il risultato è un collage di materiali e approcci diversi, che rende bene il senso di un’organizzazione con base a Ginevra ma attiva quasi ovunque.

Mesosfera Design

Gringo Cardia, fondatore dello studio Mesosfera Design con base a Copacabana, si è occupato della sezione chiamata Défendre la dignité humaine. All’interno di uno spazio buio, il brasiliano ha collocato diversi episodi scenografici che ripercorrono la cronologia delle progressive (ma sempre sotto minaccia) conquiste in termini di diritti umani. Dopo aver incontrato il fondatore dell’organizzazione Henry Dunant – ritratto alla sua scrivania mentre lavora al libro Un ricordo di Solferino, scritto dopo la carneficina dell’omonima battaglia del 24 giugno 1859 – il visitatore si trova di fronte a un enorme piede che calpesta immagini di crisi umanitarie, a simboleggiare i diritti violati. Tutt’attorno, sulle pareti, scorrono citazioni estratte da testi che proprio quei diritti cercano di far rispettare, tra cui la prima Convenzione di Ginevra. Poco più avanti c’è invece una collezione di oggetti realizzati in carcere da detenuti, che con la loro povertà e semplicità trasmettono in maniera immediata il desiderio di libertà, ricordando come i diritti umani debbano essere rispettati in ogni situazione.

Diébédo Francis Kéré

Diébédo Francis Kéré, classe 1965, ha fondato la sua attività su progetti sociali in paesi come il Burkina Faso e il Mali, tra cui spiccano gli edifici scolastici realizzati reinterpretando le tecniche costruttive di questi luoghi. In Svizzera Kéré è ben conosciuto: nel 2010 ha vinto il bsi Swiss Architectural Award, e dall’anno scorso è visiting professor all’Accademia di architettura di Mendrisio. Il suo contributo al Museo riguarda la sezione dedicata alla riconnessione dei legami familiari (Reconstruire le lien familial), altra missione prioritaria per la Croce Rossa. Per entrare nella prima sala il visitatore si deve fare strada nell’oscurità attraverso una piccola selva composta da fredde catene di metallo, simbolo dell’angoscia di ogni legame interrotto. Poco dopo il visitatore si trova circondato da un numero impressionante di schede che documentano la sorte di due milioni di prigionieri di guerra; dai ritratti dei bambini orfani del Ruanda e da fotografie di oggetti appartenuti a padri, mariti e figli gettati nelle fosse comuni di Srebrenica. Si tratta in pratica di un minuzioso e tragico mosaico del destino umano, dove ogni tassello è insieme tragedia e speranza: per i parenti di un disperso scorrere questi elenchi rappresenta infatti una pratica obbligata che fa fermare il fiato a ogni volto; un esercizio dell’occhio e del cuore che fa gelare il sangue a ogni nome.

Shigeru Ban

La presenza di Shigeru Ban non stupisce, dato l’impegno da tempo profuso in progetti per zone colpite da disastri naturali. Dopo il terremoto di Kobe del 1995, ad esempio, l’architetto giapponese realizzò piccole abitazioni di emergenza composte da tubi di cartone e cassette di plastica per bottiglie di birra (riempite di sabbia) come fondazioni, e cose simili ha fatto in Turchia, India, Cina, Sri Lanka, Africa eccetrera. La sua sezione si chiama per l’appunto Limiter les risques naturels. Ad accogliere il visitatore è un gioco interattivo chiamato «Hurricane», realizzato dal gruppo di artisti britannici BlastTheory, che permette di cimentarsi con le fondamentali operazioni di prevenzione in zone a rischio di calamità naturali: piantare mangrovie, costruire rifugi con caratteristiche precise, verificare le procedure di evacuazione eccetera. Quando l’uragano colpisce – spiegano le istruzioni – i visitatori devono evacuare gli abitanti del villaggio, e alla fine del gioco (anche se è strano chiamarlo così) apparirà un numero corrispondente alle vite salvate. L’allestimento è composto – come a Kobe e in molti altri progetti del giapponese – da tubi cilindrici di cartone, materiale spesso considerato fragile e inadeguato per costruire ma che in realtà si è dimostrato molte volte più efficace del cemento in risposta ai disastri naturali.

atelier oï

Da sottolineare è infine il lavoro svolto da atelier oï. Oltre a coordinare le tre sezioni della mostra permanente, gli architetti/scenografi/designer svizzeri («La ricetta di atelier oï» ) hanno anche ridisegnato gli spazi comuni e di circolazione, sovrapponendo trame di legno al cemento dell’edificio progettato da Pierre Zoelly negli anni Ottanta; hanno disegnato la nuova sala da 500 mq per le esposizioni temporanee (che sarà pronta nel 2014) e un’installazione composta da un grande globo luminoso che mostra le aree d’intervento della Croce Rossa. Sempre loro hanno progettato la scenografica «Camera dei testimoni», una stanza buia da cui emergono dodici sagome che raffigurano «gli eredi di Henry Dunant». Chi sono? Un bambino-soldato del Sudan, il direttore del centro ortopedico della icrc a Kabul, un giornalista di Al Jazeera detenuto a Guantanamo dal 2002 al 2008, una maestra di scuola in Bangladesh, e così via. «Con il loro esempio – si legge in mostra – ci ricordano che non dovremmo mai accettare l’inaccettabile.»

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