Isti­tu­to in­ter­na­zio­na­le per le scien­ze del­lo sport, Lo­san­na

Karamuk Kuo Architects

Il modello come strumento che aiuta a mantenere una chiarezza concettuale nel corso dell'iter progettuale, ma anche come "lingua comune" ai collaboratori di uno studio d'architettura e ai loro committenti. Nel realizzare l’Istituto internazionale per le scienze dello sport di Losanna, lo studio zurighese Karamuk Kuo ha trovato una nuova conferma dell'importanza della maquette.

Data di pubblicazione
07-12-2020
Jeannette Kuo
Architetto, titolare dello studio Karamuk Kuo Architects

Incontri aperti

I modelli sono una parte fondamentale della nostra identità. Dalla fase di elaborazione a quella di comunicazione, alterniamo in modo piuttosto disordinato e iterativo l’uso di modelli digitali e reali, spesso utilizzando ogni strumento per ciò che può dare di meglio, imparando da uno per migliorare l’altro e viceversa. Se il digitale favorisce la precisione e il controllo, il modello reale facilita l’astrazione e l’intuizione. Tuttavia al tavolo delle riunioni inevitabilmente ci sediamo davanti a modelli concreti. Che si tratti di sagome di schiuma blu tagliata a filo caldo, veloci e intuitive, oppure di sculture tridimensionali di grandi dimensioni che fotografiamo o ancora di prototipi per i dettagli costruttivi, i modelli reali ci seguono in tutte le fasi di un progetto. In particolare, quello concettuale e quello spaziale sono fari paralleli che guidano il nostro lavoro. Il modello concettuale serve a ricordarci le priorità progettuali e vi torniamo più volte anche nelle fasi finali della progettazione; quello spaziale ci permette invece di testare e immaginare le conseguenze delle decisioni progettuali partendo dall’esperienza dell’utente. Queste due modalità di esplorazione rientrano in una scelta consapevole del nostro studio: coltivare una cultura che comprenda al tempo stesso il rigore della disciplina e le realtà costruttive di ogni progetto. Soprattutto nelle prime fasi, l’astrazione del modello permette la coesistenza di agilità intellettuale e intuizione progettuale. Nessuno dei due aspetti è preferenziale, ma entrambi possono essere forti catalizzatori.

Per ogni progetto il nostro studio organizza incontri e dibattiti aperti durante i quali ascoltiamo una serie di voci diverse. Indipendentemente dal livello di esperienza, dal primo responsabile all’ultimo stagista tutti i membri del team sono tenuti a partecipare. Si tratta di una precisa cultura e filosofia aziendale basata sull’uso di strumenti e processi aperti, pensati affinché tutti possano partecipare su un terreno più o meno paritario. La scelta di utilizzare modelli concreti rispecchia la nostra propensione verso una determinata cultura dell’apertura.

I modelli sono ben più che semplici strumenti utili a rappresentare la realtà. Sono mezzi di comunicazione e collaborazione, sia con i nostri numerosi consulenti, sia con i clienti, ma anche con i membri interni allo studio. Da sempre il nostro è stato un team internazionale e persino i due titolari hanno percorsi e punti di vista distinti. Ogni progetto è quindi il risultato di questa diversità di prospettive, ma un mix del genere può funzionare soltanto se esiste un linguaggio comune – un modo di vedere e dar forma alle cose – che va al di là delle diverse storie di ognuno, dei percorsi formativi e professionali. Un tale approccio ci permette di liberarci del bagaglio dei pregiudizi appresi lungo la strada, e di vedere le cose con occhi nuovi. Per noi, questo linguaggio è rappresentato dal modello reale.

L’immediatezza e l’astrattezza del modello permettono a ognuno di rapportarsi ad esso alla propria maniera, pur facendo riferimento allo stesso manufatto fisico. Il modello, olistico e dinamico, cristallizza un pensiero in tre dimensioni e stabilisce immediatamente delle relazioni che una planimetria o una sezione potrebbero non essere in grado di creare. Si può tenere in mano, si può girare, si può sbirciare al suo interno ed è tridimensionale. Ma soprattutto lo si può modificare e gli effetti sono immediati. Durante i nostri incontri siamo abbastanza brutali con i modelli, ne tagliamo via delle parti o le aggiungiamo. Per noi sono modi di testare e perfezionare le idee, ma servono anche per comunicare le nostre intenzioni l’uno all’altro, a volte senza neanche bisogno di proferire parola.

Naturalmente questo tipo di comunicazione è ancora più decisivo quando si tratta di presentare idee a clienti e consulenti che non hanno ricevuto una formazione in architettura. Nel caso dell’Istituto internazionale per le scienze dello sport di Losanna esistevano quattro gruppi di utenti e ciascuno era rappresentato nel comitato di costruzione: il modello era spesso l’unico modo a disposizione per visualizzare la complessità dell’atrio interno. Il modello concettuale ci ha seguito in tutti gli incontri, dalle discussioni sugli spazi dedicati a ogni istituzione a quelle sull’acustica e sulla distribuzione di condotti e tubature. È servito a evitare incomprensioni e ha permesso a ogni utente di partecipare al dibattito in maniera più informata.

Tuttavia il modello per noi è soprattutto un modo per mantenere la chiarezza concettuale nel corso di tutto il progetto. Man mano che ci inoltriamo nelle varie fasi della lavorazione è facile cadere nella trappola della soluzione dei problemi senza tener conto del quadro generale. Nei progetti più grandi o più complessi, questo pericolo è ancora più grande in quanto richieste contrastanti provenienti da diversi settori tecnici rischiano di complicare l’esito finale. Il modello diventa non solo un promemoria di ciò che è in gioco, ma anche un modo per comunicare queste priorità facendo sì che le decisioni dell’intero team siano guidate dagli obiettivi architettonici. Naturalmente è molto utile il fatto che un tale strumento di progettazione sia al tempo stesso anche un mezzo di rappresentazione. I modelli che utilizziamo durante il processo di ideazione sono gli stessi che poi fotografiamo per le presentazioni formali: si mantiene così la continuità tra il pensiero e la sua espressione.

«Archi» 6/2020 può essere acquistato qui, mentre qui si può leggere l'editoriale con l'indice del numero.

Luogo Campus Dorigny, Università di Losanna
Committenza SIPAL-Cantone del Vaud
Architettura Karamuk Kuo Architects, Zurigo
Collaboratori F. Sutter (project manager), A. Papadantonakis, C. Bello, B. Jordan, P. Grossenbacher, S. Dautheville, A. Comte, A. Lebet
Struttura Kartec con Weber + Brönnimann
Realizzazione HRS Real Estate
Date concorso 2013, realizzazione 2018

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