Il ruo­lo del mo­del­lo nei con­cor­si

Solitamente, tra i materiali richiesti da un concorso di progettazione non manca mai il modello. Esso permette una rapida lettura del progetto, accessibile anche ai membri non professionisti della giuria. Di recente, però, nuove tecniche di visualizzazione digitali ne stanno insidiando la centralità. Abbiamo discusso del ruolo del modello nei concorsi con Jachen Könz, architetto, presidente della Commissione Concorsi SIA e più volte membro di giurie.

Data di pubblicazione
01-12-2020

I concorsi di progettazione sono presentati, in genere, con tavole e un modello di situazione. Il tipico modello di gesso in scala 1:500 permette una rapida lettura del progetto: il suo inserimento, l’impatto urbanistico, l’immediata comprensione della sua forma tridimensionale e la sua relazione con il contesto circostante. Per discutere del ruolo di questo genere di modello nei concorsi ci siamo rivolti a Jachen Könz, architetto, presidente della Commissione Concorsi SIA e più volte membro di giurie.

Pablo Valsangiacomo – Quanto è importante il modello in gesso nel processo di valutazione dei concorsi?
Jachen Könz – È fondamentale. È lo strumento che permette il confronto più oggettivo tra i progetti e illustra l’inserimento tridimensionale in un contesto. In questo senso è insuperabile.

In ogni giuria ci sono membri professionisti e rappresentanti della committenza che non sono del campo. Cosa aiuta di più questi ultimi nella valutazione dei progetti?
Per la valutazione completa dei progetti sono fondamentali i tre strumenti: modello, piani e rendering.
I piani sono difficili da leggere. Bisogna prendersi del tempo, che non è scontato perché spesso le giurie sono frettolose. Leggere un piano richiede pazienza, oltre che abilità e capacità; inoltre hanno grafiche molto diverse che possono inizialmente confondere. Poi c’è il rendering, che è abbagliante. Non voglio metterne in discussione l’importanza, perché cerca di creare un’atmosfera, però bisogna stare attenti perché esso è soggettivo. Il grande pericolo di questo strumento è che può rendere bello quasi ogni progetto. Come detto, invece il modello è lo strumento più oggettivo e che permette un’immediata comprensione e un confronto chiaro tra i progetti.
Nelle giurie è richiesta la maggioranza di professionisti, un aspetto spesso criticato dai committenti che dicono «io pago e io decido». Invece il senso di ciò dovrebbe essere quello di avere sufficienti persone capaci di leggere interamente i progetti.

Come valuta il ruolo del modello in futuro?
Invariato. Ma c’è il rischio che si introduca nel tempo lo strumento del film, che è incredibilmente abbagliante. Lì tutto sembra carino, non si dà nessuna priorità; lo trovo molto pericoloso. In questo senso il modello è semplicemente l’unico elemento materiale che si consegna: fa il primo passo nella realtà e cioè nella tridimensionalità e nella materialità. Se ad esempio si sostituisse il modello con una sua fotografia si perderebbero informazioni fondamentali.

Parafrasando la sua risposta, una foto, un rendering o un video permettono di scegliere l’inquadratura migliore limitando la comprensione del progetto. Pensando alla rapida avanzata della digitalizzazione, come potrebbe evolvere la consegna dei concorsi in futuro?
È indubbio che l’avanzata della digitalizzazione fornisca mezzi straordinari. Tra vent’anni magari si consegneranno i progetti in formato BIM, e le giurie potranno passeggiare al loro interno. Si va sempre di più verso l’immagine trascurando la sostanza: questo lo vediamo già adesso. Sono cose che non condivido. Tutto questo cambiamento non porterà niente di nuovo nell’architettura, che è pura costruzione fisica, gravità, materiale. Un mattone ha caratteristiche anche empatiche. Se ho davanti un mattone fisico o l’immagine di un mattone non è la stessa cosa. Ma avremo sempre più mezzi che ci faranno credere il contrario. In questo senso sono un fervente difensore del modello quale primo passo del progetto nel mondo fisico.

In proposito ricordo una conferenza di Snozzi alla quale avevo assistito qualche anno fa a Zurigo, durante la quale accennò al problema della scala in relazione alla digitalizzazione. «Il disegno a mano di un piano 1:100 – diceva – era pensato con una logica che corrispondeva a quella scala, forse poco oltre. Ovviamente si può disegnare allo stesso modo a computer ma si tende a mettere dettagli superflui». Ciò a cui ha accennato riguardo al BIM sembra portare proprio in questa direzione e potrebbe condurre il dibattito della giuria e il lavoro dei progettisti a occuparsi di tanti dettagli superflui. Dettagli che richiedono più tempo e che normalmente si approfondiscono in fase esecutiva. In questo senso il modello fissa una scala, di solito 1:500, che limita il lavoro del progettista all’aspetto volumetrico, spaziale e urbanistico.
Assolutamente sì, sono d’accordo. Bisogna dare le priorità giuste alla questione di scala. È da sottolineare il ruolo del modello non soltanto come strumento di valutazione del progetto, bensì anche come strumento di lavoro dei progettisti, attraverso il quale valutano l’inserimento nel contesto costruito e nella topografia del luogo.

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