«Nel­le cit­tà va san­ci­ta una nuo­va al­lean­za con la na­tu­ra»

Intervista a Stefano Boeri

Come possiamo immaginare le nostre città all’indomani della pandemia? Il distanziamento sociale ha introdotto una nuova prossemica che invita a ripensare lo spazio pubblico: con quali modalità? Lo abbiamo chiesto a Stefano Boeri, architetto del Bosco Verticale di Milano e del progetto in corso nei pressi di Losanna per la Torre dei Cedri. Dall'osservatorio di uno studio con sedi a Milano, Shanghai e Tirana, Boeri ha guardato con noi alla situazione presente e ai suoi possibili sviluppi.

Data di pubblicazione
04-06-2020

Espazium – Architetto Boeri, il suo studio ha uffici in Italia e Cina, paesi particolarmente colpiti dalla pandemia. Come avete affrontato l’emergenza sul piano tecnico, pratico, umano?
Stefano Boeri – Con l’avvento del Covid-19 ci siamo dovuti adeguare a vivere su universi paralleli: in Cina il virus si è diffuso mesi fa, quando qui in Europa tutto procedeva ancora nella normalità quotidiana che ben conoscevamo. A gennaio il nostro studio di Shenzhen lavorava già tutto da remoto ed è grazie a loro che anche a Milano abbiamo attivato lo smart working sin da subito. I messaggi di preoccupazione e i suggerimenti di cautela che ci arrivavano dall’Asia ci hanno messi in allarme e così già a fine febbraio eravamo tutti organizzati per lavorare da remoto. E la stessa cosa è accaduta con gli Stati Uniti, in cui tristemente i picchi di contagi sono stati raggiunti in un terzo momento.

«Immaginiamo nuove prospettive mettendo insieme le capacità di un ampio network di pensatori, professionisti ed intellettuali»

È come se nel Pianeta si fossero generate non solo delle aree geografiche ma anche delle placche temporali molto diverse. In un’epoca di globalizzazione ciò cambia i ritmi lavorativi e le possibilità di incontri, se non quelli virtuali. Oggi stiamo facendo di tutto per lavorare da remoto, siamo sempre impegnati a produrre informazione e cultura e siamo alla continua ricerca di soluzioni perché tutto possa procedere nel miglior modo possibile. In queste settimane sono andato a riscoprire il mix tra semiotica, antropologia, sociologia urbana, urbanistica e design in una disciplina che negli anni Sessanta era importantissima – la prossemica – e la formidabile possibilità di interagire con l’altro. Immaginiamo nuove prospettive, nuovi modi di pensare il mondo, e cerchiamo di farlo meglio che possiamo, mettendo insieme le capacità di un ampio network di pensatori, professionisti e intellettuali. Il mondo dell’arte, dell’architettura, della cultura e del design italiani non si sono fermati, anzi. Si sono moltiplicati e diffusi fittissimi programmi di interventi e conferenze nei musei, valorizzando la condivisione della conoscenza tramite social media e web, sfruttando quella rete che ci permette di connettere persone lontane fisicamente, ma sempre vicine alla cultura, che magari senza questa occasione non si sarebbero incontrate.

Come avete adeguato il vostro metodo di lavoro alle restrizioni di queste settimane?
Ovviamente alcuni lavori hanno rallentato e alcuni cantieri hanno subito interruzioni temporanee dovute al Covid-19, però lo studio non ha mai chiuso. Abbiamo scoperto nuovi metodi di lavoro, nuovi modi di comunicare all’interno e all’esterno, vivendo in questi mondi temporali paralleli tra Cina, Milano e l’Albania. Abbiamo vinto concorsi, abbiamo fatto interviste e revisioni di progetto, riunioni internazionali e incontrato nuovi clienti, sempre dietro gli schermi e le mascherine.

«Presto avremo un enorme bisogno del corpo, bisogno di capire tutto attraverso le espressioni, attraverso i gesti che stiamo perdendo»

Però voglio dire che saremo a breve stufi marci di questa vita scandita dai canali social, dalle chat di WhatsApp, dalle immagini di Instagram e Facebook o dai video di YouTube e i post di Twitter, e ancora dalle telefonate e dalle call e da Zoom e da Skype. E presto avremo un enorme bisogno del corpo, bisogno di abbracciarci, di sentirci, di capire tutto attraverso le espressioni, attraverso i gesti che tutto sommato stiamo perdendo. Negli ultimi giorni diversi collaboratori sono tornati in studio e incontrarsi dal vivo e disegnare e pensare insieme sono momenti che non possono essere sostituiti dai computer o dai tablet. Come dire, per diverse settimane abbiamo seguito ritmi di lavoro ancora più intensi ma più freddi e questa cosa cominciamo a sentirla come una forte assenza, per cui credo che valga la pena di stare molto attenti, per aspettare un futuro migliore.

Sul piano della progettazione, il Covid-19 ha messo in crisi presupposti fissati in precedenza o introdotto nuovi temi su cui riflettere?
Da tempo avremmo dovuto pensare agli effetti di un atteggiamento aggressivo e superficiale, invasivo e prepotente sugli equilibri naturali e su quella normalità che conteneva le concause della pandemia cui abbiamo assistito. Le riflessioni sono molteplici e urgenti: oggi più che mai le città devono diventare dei nodi attivi dei corridoi ecologici, assorbendo quote di natura e diventando parte di un sistema ambientale, economico e produttivo integrato con aree protette, zone boschive, montane e agricole, in grado di tutelarne la biodiversità.

Approfondiamo questo discorso sulle città. Come potrebbero cambiare di fronte al coronavirus? Quali scenari possiamo ipotizzare al termine della pandemia? Come immagina, ad esempio, Milano e il contesto svizzero, dove al momento è al lavoro?
Una delle prime riflessioni efficaci è legata alla strutturale varietà cronologica dei tempi della città: se è vero che naturalmente abitiamo secondo alcuni ritmi che hanno una certa regolarità, è altrettanto vero che i fenomeni di pendolarismo non si muovono più sul modello di grandi flussi di ingresso e di uscita, legati all’apertura delle fabbriche e degli uffici. Dinamiche multidirezionali di desincronizzazione porterebbero la dimensione urbana a vivere l’intero arco delle ventiquattro ore, favorendo la decongestione dei mezzi pubblici e privati.
Un secondo spunto proviene dall’uso degli spazi aperti, tradizionalmente intesi come aree di interazione e di vita delle pratiche sociali. Questi, infatti, si dimostrano una delle grandi occasioni che abbiamo per far sì che gli eventi pubblici e culturali che richiamano la condensazione dei corpi – di importante impronta collettiva – possano essere svolti outdoor, esposti al movimento dell’aria e non obbligati in ambienti chiusi.

«Oggi più che mai le città devono diventare parte di un sistema ambientale, economico e produttivo integrato con aree protette, zone boschive, montane e agricole»

Un altro tema centrale è quello della mobilità dolce, all’interno di città che abbandonano l’era dei combustibili fossili, riscrivendo il rapporto dell’essere umano con la natura per considerarlo non più in termini di sfruttamento ma di nuova alleanza.
La Svizzera, in tutto questo, può essere un ottimo esempio di gestione del territorio post pandemia: penso che ad esempio in Canton Ticino, tra città come Lugano, le valli e i comuni circostanti, possa nascere un rapporto rinnovato per garantire la bassa densità sul territorio, favorendo un’integrazione d’interessi senza smarrire l’intensità dei contatti tra le persone, il patrimonio delle relazioni umane. Tecnologie digitali innovative, banda larga, smart working e app dedicate possono ridurre la mobilità e la necessità di spostamenti senza penalizzare i centri più piccoli.

Intervista realizzata il 2 giugno 2020

Architetto e urbanista, Stefano Boeri è professore ordinario al Politecnico di Milano e visiting professor in diverse università internazionali. Alla Tongji University di Shanghai dirige il Future City Lab: un programma di ricerca che esplora il futuro delle metropoli contemporanee dal punto di vista della biodiversità e della forestazione urbana.

Direttore delle riviste «Domus» (2004-2007) e «Abitare» (2007-2011) e autore di numerose pubblicazioni, è stato Assessore alla Cultura a Milano (2011-2013) e da febbraio 2018 è presidente della Fondazione La Triennale di Milano.

Il lavoro di Stefano Boeri Architetti spazia dalla produzione di visioni urbane e architetture all'interior e product design.

L’attenzione al rapporto tra città e natura ha portato all’ideazione del Bosco Verticale di Milano, il primo edificio residenziale sostenibile con facciate ricoperte da 700 alberi e oltre 20'000 piante. Lo studio Stefano Boeri Architetti – con sede a Milano e uffici a Shanghai e Tirana – attualmente lavora a progetti internazionali di forestazione urbana tra cui i Boschi Verticali a Parigi, Losanna, Utrecht, Eindhoven e Nanjing e diverse Forest Cities in tutto il mondo.

La cultura della costruzione di fronte all'emergenza Covid-19 – La parola ai professionisti

 

La crisi sanitaria ed economica che stiamo attraversando sta colpendo tutti i settori professionali, tra cui anche l'edilizia. Per valutarne l'impatto sulla cultura della costruzione, Espazium dà la parola ai professionisti del settore affinché testimonino di come hanno riorganizzato il proprio lavoro, di quali difficoltà abbiano incontrato e – poiché ogni crisi rivela i punti di forza ma anche le debolezze di un sistema – condividano con noi i loro pensieri sulla propria professione. Per non dimenticare, e nella speranza che queste testimonianze ci aiutino a riflettere così che, una volta sconfitto il virus, non tutto torni com'era prima.

 

I contributi di questo ciclo sono raccolti nel dossier digitale.

Articoli correlati