Bien­na­le di Ar­chi­tet­tu­ra 2014: Fun­da­men­tals

Il 7 giugno 2014 ha aperto i battenti la quattordicesima Biennale di Architettura di Venezia. Rem Koolhaas ha curato l’esposizione principale dal titolo «Fundamentals» suggerendo anche un soggetto comune ai diversi paesi partecipanti: Absorbing Modernity 1914-2014. Il risultato merita di essere visto.

Data di pubblicazione
20-06-2014
Revision
08-10-2015

Rem Koolhaas, archistar internazionale e vincitore, nel 2000, del premio Pritzker, è uno dei più radicali teorici dell’architettura contemporanea. Ha influenzato un’intera generazione di architetti oggi attivi in tutto il mondo: tracce evidenti del suo pensiero si trovano, ad esempio, in BIG, MVRDV o Herzog & de Meuron. Più ancora dei suoi edifici, sono i suoi libri e le esposizioni da lui curate che da tre decenni influenzano il discorso architettonico sia dal punto di vista dei contenuti che da quello stilistico.

Anche alla biennale di Venezia è stato più volte presente con diverse esposizioni, e quattro anni fa ha ottenuto il Leone d’oro alla carriera. Non è stata dunque una sorpresa la sua nomina a curatore dell’edizione della Biennale di quest’anno. Ci si aspettava anche che la mostra non avrebbe rispettato lo schema abituale –  una carrellata tra le più diverse star dell’architettura, raggruppate per l’occasione sotto un unico tema. In generale le aspettative erano molto alte e Koolhaas le ha in gran parte soddisfatte, anche se la rivoluzione, in cui qualcuno tacitamente sperava, non c’è stata.

Arsenale: Italia a pezzi

L’esposizione «Monditalia» all’arsenale è organizzata come un pellegrinaggio attraverso l’Italia. «L’edificio è lungo e anche l’Italia è lunga», ha dichiarato seccamente Koolhaas all’inaugurazione. Inoltre la posizione dell’Italia risulta emblematica per la maggior parte degli altri paesi del nostro mondo: in bilico tra il caos e la possibilità, fin qui disattesa, di sfruttare completamente il suo potenziale. La dichiarazione di Koolhaas non promette nulla di concreto, ma il confronto tra l’architetto olandese e l’Italia è senz’altro un evento da vedere.

Si entra alla mostra, ovvero nello stivale, da sud e si approda dapprima sull’isola di Lampedusa, insieme agli innumerevoli profughi arrivati con le barche dall’Africa e la cui miseria ci accoglie subito con impressionanti sequenze cinematografiche. È qui che cominciano le due linee parallele della mostra che sulla strada da sud verso nord continuamente s’intersecano sul piano tematico e spaziale: su un lato abbiamo i diversi capitoli della storia dell’architettura e della cultura italiana, sull’altro spezzoni di film italiani girati nei luoghi suddetti. Così, ad esempio, al The Architecture of Hedonism – Three Villas on the Island of Capri (a cura di Martino Stierli) corrispondono spezzoni di film come Le mépris di Jean-Luc Godard che si svolge nella Villa Malaparte, opera di Adalberto Libera.

La scelta delle diverse stazioni di questo viaggio sembra a volte un po’ forzata, guidata com’è non solo dall’urgenza dei temi ma anche dalla rete di relazioni del curatore. Ma questo accade quasi sempre alla Biennale perché le dimensioni dell’evento non sarebbero altrimenti controllabili da una sola persona. In ogni caso, Koolhaas e i suoi ospiti sono riusciti a raccogliere un insieme densissimo di contributi interessanti che nonostante la molteplicità delle voci danno comunque l’impressione di un tutto. Particolarmente positivo risulta il fatto che i singoli capitoli mettano continuamente l’architettura in relazione con gli aspetti sociali, economici e politici, senza per questo scivolare nel generico.

Inoltre le singole stazioni sono arricchite, sul piano teorico, da una serie di componenti ulteriori: per la prima volta anche gli altri settori della Biennale veneziana – danza, musica, teatro e cinema – sono coinvolti nella manifestazione. Si vedrà più avanti se questo comporta un reale vantaggio di conoscenza o non soltanto un eccesso di stimoli per lo spettatore.

Ex padiglione italiano: edifici a pezzi

Nel secondo grande frammento della Biennale, l’esposizione all'ex padiglione italiano dei Giardini, c’è lo stesso rigore teso che troviamo alla mostra dell’Arsenale. «Elements of Architecture» è il risultato di uno studio due anni presso la Harward Graduate School of Architecture che coinvolge altri partner nell’ambito della ricerca e dell’industria.

Come già in «Monditalia» anche qui tutto si svolge per capitoli chiari e ben definiti che questa volta riguardano le diverse parti dell’edificio come li pavimento, le pareti, soffitto, porte, finestre, facciata, balcone, corridoio, camini, bagni, scale, scale mobili, ascensori, rampe. Qui però mancano in molti punti la profondità dei contenuti e lo sguardo fantasioso che all’Arsenale sono quasi sempre presenti e che Koolhaas  stesso ha dimostrato in modo fulminante di possedere fin dal suo libro «Delirious New York» (1978).

Così ci sono in esposizione oggetti meravigliosi come vecchie finestre russe in corteccia di betulla, oppure un corridoio che con la sua luce tremula e la moquette pesante ha lo scopo di provocare un senso di claustrofobia. Qui però manca, nella maggior parte delle tappe del percorso, la coerenza teorica così come manca nella pur divertente ma generica scelta delle scene di film che rispondono alle singole componenti architettoniche.

Partecipazioni nazionali: il Moderno a pezzi

Molti paesi hanno accolto con entusiasmo la proposta di Koolhaas sul tema «Absorbing Modernity 1914-2014»  e hanno colto l’opportunità per gettare uno sguardo retrospettivo sugli ultimi cent’anni di storia dell’architettura. Qualcuno a vuotato gli archivi portando alla luce ricchezze sconvolgenti sotto forma di splendidi progetti architettonici: questo vale naturalmente per l’Italia e per il Brasile ma anche per la repubblica Dominicana, per la Turchia, il Bahrain o l’Iran.

In alcuni padiglioni la mostra assume inconfutabilmente una coloritura politica, come ad esempio nel padiglione serbo dove la scelta dei progetti testimonia un inquietante panslavismo; oppure anche nei padiglioni della Cina, della Corea (Leone d’Oro 2014 per il miglior padiglione nazionale) e Honghong, che cercano evidentemente di farsi concorrenza l’un l’altro con una marea di progetti su grande scala. Appare piuttosto priva di fantasia invece l’esposizione nel padiglione spagnolo, mentre l’Ungheria si concentra sugli edifici antecedenti al Moderno e l’Austria con la sua carrellata di edifici governativi risulta quantomeno piuttosto disorientante.

Fanno da contrappunto a queste esposizioni che hanno una pretesa di completezza i contributi che si occupano in modo differenziato di singoli aspetti della storia dell’architettura più recente. Per la qualità dei contenuti e il carattere poetico dell’allestimento, va segnalato ad esempio il padiglione scandinavo dove il tema è la relazione tra il nord e i paesi dell’Africa occidentale come la Tanzania; oppure il padiglione israeliano in cui dei plotter disegnano sulla sabbia degli insediamenti, per poi cancellarli subito dopo e ridisegnarli di nuovo; o il padiglione belga dove il superamento del Moderno tramite gli interventi successivi viene mostrato in base a elementi dell’arredo interno. Il padiglione canadese mostra lo sviluppo delle regioni Inuit nel nord del paese. Anche nel padiglione svizzero (a cura di Hans-Ulrich Obrist) al centro abbiamo la riflessione sul Moderno rappresentato da Lucius Burkhardt e Cedric Price; la relazione fra queste due figure tuttavia, non è evidente al primo colpo d’occhio e anche nel corso dell’esposizione non viene sufficientemente chiarita.

E poi come ogni anno ci sono le sorprese. Una volta di più tra queste c’è il padiglione giapponese con una collezione di trouvailles che illustrano la modernizzazione del paese dopo la seconda guerra mondiale. L’Inghlterra getta uno sguardo ironico sulla sua eredità architettonica, ma al più tardi quando si arriva ai luoghi (reali) in cui è stato girato «Clockwork Orange» la risata rimane sospesa in gola. La Russia presenta un’amara parodia della fiera della costruzione: accolto da hostess carine in uniforme rosa, il visitatore può rifornirsi agli stand delle venti idee più importanti del pensiero architettonico russo negli ultimi 100 anni oppure giocarsi alla roulette qualche milione di investimento. Una piccola distrazione per tutti coloro che devono un po’ riprendersi dall’incredibile quantità di mostre illuminanti, interessanti e impressionanti che la Biennale offre ai suoi visitatori…

Le foto dei padiglioni si trovano qui. Altri contributi sulla 14. Biennale di Architettura si trovano nel dossier omonimo. TEC21 relazionerà dettagliatamente sull’evento nell’edizione 30-31/2014 (in uscita il 25 luglio 2014).

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