Nien­te leg­ge per in­ge­gne­ri e ar­chi­tet­ti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo di Giuliano Anastasi, membro del Consiglio editoriale di Archi, ex presidente di SIA Ticino e attualmente presidente del REG.

Data di pubblicazione
15-08-2014
Revision
08-10-2015

Lo scorso 20 novembre il Comitato SIA emanava un comunicato, probabilmente passato inosservato ai più, in cui si annunciava senza mezzi termini e senza consultare la base, la decisione di voler rinunciare a qualsiasi ordinamento nazionale nell’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto (comunicato SIA). Una decisione deleteria da parte dell’organo centrale di un’associazione che ostenta leadership nella branca della costruzione in Svizzera. Le sue ragioni, riassunte in coda al comunicato, sono sconcertanti laddove si proclama che «secondo la SIA, affrontare questi problemi con una legge sugli architetti non è una soluzione adeguata: […] Soprattutto, però, la qualità delle prestazioni erogate deve rimanere nell’ambito di responsabilità dei professionisti e della SIA, l’associazione professionale di riferimento per gli ingegneri e gli architetti svizzeri, senza che tale incombenza sia delegata a una legge». Si tratta di ingenuità o dell’intenzione di fagocitare tutte le associazioni professionali del settore per poi imporre la «propria» legge?

Propendo per la prima ipotesi. Il tema a ogni modo è di quelli che dovrebbero scottare, soprattutto in Ticino, dove l’esercizio della professione di ingegnere e di architetto è regolamentato da una legge, la legge OTIA (LEPIA), praticamente dichiarata un inutile fardello dalla decisione del Comitato SIA. Silenzio assoluto, invece. L’assenza di dibattito tra i professionisti SIA, coinvolti loro malgrado in questa decisione, appare ancor più paradossale se si pensa che a livello nazionale una regolamentazione è difficile da ottenere perché il Consiglio federale si ostina a negare un interesse pubblico alle professioni di ingegnere e di architetto. La SIA con questa decisione sembra dunque voler avvallare l’iniqua tesi del Consiglio federale e c’è da chiedersi se i suoi membri se ne siano resi conto.

Mancanza di solidarietà e deregolamentazione all'origine della situazione

In qualità di presidente della Fondazione dei Registri Svizzeri dei professionisti nei rami dell’ingegneria, dell’architettura e dell’ambiente (REG), non posso restare indifferente di fronte a questa decisione, a maggior ragione considerando che sono uno dei rappresentanti della SIA in seno al Consiglio di Fondazione del REG. Ma qual è l’origine di questa situazione a dir poco schizofrenica? Direi che alla base stanno, da un lato, la mancanza cronica di solidarietà e di spirito di corpo tra noi professionisti, e dall’altra il processo di deregolamentazione dell’ultimo decennio, strenuamente sostenuto dall’allora consigliere federale Joseph Deiss. Il danno arrecato dal suo operato a noi professionisti è enorme in termini di dignità professionale. Quelle che una volta erano ritenute professioni liberali, per compiacere l’economia, sono state ridotte dalle politiche promosse dal dipartimento di Deiss al rango di semplice manovalanza o, come ha azzardato qualcuno tempo fa, «proletarizzate».

Deiss ha attuato una revisione della Legge sul mercato interno (LMI) che nel segno della libertà di commercio permette praticamente a chiunque di offrire servizi nel ramo architettonico e ingegneristico in tutta la Svizzera, in barba alle qualifiche professionali e al federalismo, visto che alcuni Cantoni impongono un minimo di regolamentazione e fra questi il Ticino – unico in Svizzera – che dispone di una vera e propria legge. Il modello al quale si era allora ispirato Deiss era quello della direttiva europea denominata Bolkestein, che perorava il cosiddetto «principio del paese d’origine» per la libera circolazione delle persone.

Tale principio permetteva addirittura a chi era privo di qualifiche professionali di offrire servizi in un altro paese, indipendentemente dalla regolamentazione di quel paese, purché nel paese d’origine la professione non fosse regolamentata. Deiss si illudeva che così facendo la Svizzera avrebbe potuto esportare servizi professionali in Europa senza dover legiferare in materia. Dopo aspri dibattiti in Europa la direttiva Bolkestein è stata sonoramente bocciata sul principio del paese d’origine ed è stato invece adottato quello più sensato secondo cui, chi vuole prestare servizi in un altro paese deve rispettare le regole di quel paese. Ciò è avvenuto nel 2006, ma Deiss, che ben prima certamente sapeva cosa bolliva in Europa al riguardo, è rimasto con le mani in mano fino alla fine della sua presenza in Consiglio Federale, forse ormai più preoccupato di ambire allo scranno presidenziale presso l’assemblea generale ONU.

Ma quel che è peggio è che una pletora di politici e con loro l’amministrazione federale sembrano ancora credere che il principio del paese d’origine sia tuttora valido in Europa e non vuole sentir parlare di regolamentazione delle nostre professioni in Svizzera, convinta che basti un qualsiasi diploma svizzero per proporsi sul mercato internazionale. Beata ingenuità! Niente di più errato, e chi opera all’estero sa quanto la regolamentazione della professione sia importante per l’accesso al mercato internazionale. I professionisti svizzeri, non avendo un ordinamento ufficialmente riconosciuto, sono ampiamente discriminati all’estero e questo lo sanno tutti, tranne la politica, che non ha mosso un dito per evitare la grama situazione odierna. Che la SIA rinunci a perorare la causa di una regolamentazione legislativa delle nostre professioni appare quindi del tutto inspiegabile. Il REG sta invece lavorando in questa direzione, ma le resistenze non sono poche, con una buona parte degli oppositori che accampano la facile scusa del corporativismo. E pensare che l’Europa è uscita dal Medio Evo proprio grazie alle corporazioni…

Mi spingo oltre: la mancanza di un ordinamento nelle nostre professioni le ha rese poco attrattive, soprattutto quella di ingegnere, che è spesso legata a grandi responsabilità, ormai non più compensata dal suo prestigio o da condizioni favorevoli al suo esercizio. Questo spiega in buona parte perché vi è penuria di ingegneri sul mercato svizzero e perché questo ammanco viene coperto dall’immigrazione. Per non parlare poi dei titoli di studio e degli istituti che li conferiscono, come i Politecnici e le scuole universitarie professionali: mi si dica che valore possono ancora avere questi titoli, se essi sono soggetti alla concorrenza non solo dei professionisti esteri, ma anche da praticoni e impostori che possono operare indisturbati sul nostro mercato, appunto perché manca qualsiasi regolamentazione.

Provocatoriamente si potrebbe chiedere ai politici perché non abolire certe facoltà ai Politecnici e lasciare che la formazione in queste branche e a questo livello venga fatta esclusivamente all’estero: con la libera circolazione, che molti di questi politici sostengono a spada tratta, si potrà sempre coprire le esigenze del nostro mercato e in fin dei conti che importa loro la qualità? Fortunatamente questa è sempre ancora sostenuta da una tradizione, tipicamente svizzera, che fa capo al grande senso di responsabilità dei veri professionisti verso l’ambiente costruito. Ma quanto durerà ancora questa tradizione, soprattutto fra gli architetti, visto che sul mercato deregolamentato delle nostre professioni in Svizzera può operare appunto chicchessia? 

Una regolamentazione delle professioni in Svizzera non sarà certo tutto, ma un minimo di rigore, di rispetto delle regole e soprattutto dell’etica professionale non può che fare del bene alla società, ridare trasparenza a un mercato inselvatichito, restituire dignità alle professioni e incrementare l’interesse per le stesse da parte delle giovani leve, nonché porre quelle premesse per una libera circolazione delle persone gestita dalla Svizzera ad armi pari nei confronti dei paesi esteri. Il REG si impegna in tutto questo, perché la SIA non fa altrettanto? Il dibattito è aperto.

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