«Creare un centro per un luogo che non ne aveva uno»
Il pensiero di Luigi Snozzi ha accompagnato un’intera generazione di progettisti. Parliamo con l’architetto a Monte Carasso, luogo a cui ha restituito un’identità.
Incontriamo l’architetto ticinese Luigi Snozzi nel bar del Convento di Monte Carasso. Per molti professionisti di oggi, il suo insegnamento ha aperto nuove prospettive sulle responsabilità di chi progetta il territorio. Stefano Moor, architetto ed ex collaboratore, e Sara Groisman, collaboratrice di espazium.ch, accompagnano e sostengono il fragile ma carismatico 87enne.
In cerca di un ambiente più tranquillo, ci ritiriamo nello studio degli architetti Guidotti, che si affaccia sul cortile del Convento. Tutto qui porta la firma di Snozzi: il bar, l’intero complesso dell’antico convento, la banca Raiffeisen con, al piano superiore, lo studio di architettura dove ha luogo l’intervista. Questi elementi sono tutti parte del suo progetto mirante a dare un centro al paese, progetto del quale intendiamo discutere con lui. Dopo l’intervista con il maestro, completiamo l’incontro con una visita del luogo.
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Una delle caratteristiche principali dell’architettura di Luigi Snozzi è senz’altro l'attenzione al territorio, territorio che in Ticino si è trovato spesso minacciato da un’espansione urbana incontrollata: un problema contro cui l’architetto non ha mai smesso di battersi. Lungo i decenni ha partecipato a numerosi concorsi urbanistici, mettendone spesso in discussione i parametri.
Da strenuo resistente, attraverso i suoi progetti Snozzi lancia un chiaro messaggio politico per una società migliore. Ancora oggi è convinto che uno sviluppo urbano di qualità possa riuscire solo se le autorità sostengono attivamente il lavoro dell’architetto, assumendo il ruolo di mediatrici e contribuendo così a spiegare idee e obiettivi alla popolazione.
Un compito apparentemente semplice, ma che persino lui è riuscito a portare a termine solo di rado. I numerosi progetti presentati nell’ambito di concorsi – a volte esclusi poiché non rispettavano le direttive del bando, a volte omaggiati con il primo premio ma poi mai realizzati – testimoniano il suo grande senso di responsabilità verso il contesto. Le sue prese di posizione, spesso sostenute da argomentazioni radicali, non sono però sempre rimaste lettera morta: in alcune occasioni hanno persino portato a significativi cambi di rotta nell’impostazione del mandato, anche se questo merito non sempre gli è stato poi riconosciuto.
La sua opera costruita, a parte gli edifici realizzati nell’ambito del processo di pianificazione di Monte Carasso, è costituita prevalentemente da case unifamiliari. Alcune di esse, ubicate in luoghi isolati, al di fuori del contesto edificato, sembrano contraddire le sue convinzioni in materia di densificazione. Tuttavia, anche se in scala ridotta, in questi piccoli progetti si riconosce la stessa attenzione per il territorio: spesso costituiti da singoli edifici, essi dialogano con il luogo e sono icone di un attento contestualismo. Questo modo di fare architettura ha influenzato e continua a influenzare un’intera generazione di architetti in Svizzera.
È un grande privilegio poter incontrare personalmente Luigi Snozzi e discutere con lui del suo lavoro. Si siede al tavolo dello studio, getta uno sguardo sugli scorci di paesaggio oltre il lungo parapetto ed estrae la sua prima sigaretta.
TEC21 – Signor Snozzi, uno dei suoi testi è preceduto da una citazione di Hannah Arendt: «Il privato e il momentaneo hanno sostituito il pubblico e il permanente». Ritiene che la sua architettura a Monte Carasso sia abbastanza forte da adattarsi al mutare delle funzioni della città?
Luigi Snozzi – Credo di sì, ma non spetta a me giudicarlo. A mio parere, il mio intervento è sempre ancora valido.
TEC21 – Che cosa ne pensa, ad esempio, del fatto che i locali di questo edificio, originariamente concepiti come appartamento, siano oggi adibiti a studio di architettura?
Stefano Moor – A questo proposito, uno degli aforismi di Luigi afferma: «L’acquedotto vive al momento che ha cessato di portare l’acqua». Si tratta di un’affermazione fondamentale. Il valore dell’architettura non si misura in base alla sua sola funzione. Luigi ha sempre pensato alla sua architettura innanzitutto come risposta ai problemi e alla forma della città, andando oltre la sua funzione immediata.
TEC21 – Forma e contesto nella città sono quindi ciò che più la interessa?
Luigi Snozzi – Sì, è proprio così.
Stefano Moor – Ci troviamo in un luogo che si affaccia sul Convento, al centro del complesso che rappresenta una delle opere più importanti di Luigi. Qui si è saputo valutare attentamente quanto conservare e quanto cambiare per creare un tutt’uno in cui le parti dialogano tra loro. Il risultato è davanti ai nostri occhi e, visto il riconoscimento internazionale ottenuto, si potrebbe pensare di non modificarlo più. Ma il mondo va avanti. Nel 2017, la necessità di adottare misure di riduzione del traffico impone un nuovo intervento. Luigi accetta quindi di trasformare il suo progetto del 1979 e di ampliare – semplicemente introducendo un lungo muro che si fa seduta – la piazzetta della chiesa, con l’obbiettivo ultimo di migliorare il rapporto tra la corte del convento e la strada. Quest’ultima viene inoltre ristretta a favore dei pedoni.
Luigi Snozzi – Sono perfettamente d’accordo.
TEC21 – Secondo il suo piano regolatore, gli spazi privati devono essere delimitati chiaramente da muri di cinta. Perché ritiene importante definire lo spazio pubblico, separandolo da quello privato?
Luigi Snozzi – E, secondo lei, come si potrebbe fare altrimenti?
TEC21 – Con muretti bassi, ad esempio, che potrebbero fungere da panchine, oppure completamente senza muri! Questo faciliterebbe la comunicazione.
Luigi Snozzi – Nei miei interventi guardo con attenzione alla struttura e alla specificità del luogo e qui già c’erano importanti muri che definivano le proprietà private rispetto allo spazio pubblico.
Stefano Moor – L’idea di muretti bassi da lei proposta potrebbe forse essere concepibile in una città già costituita; nel caso di Monte Carasso, però, la struttura preesistente del tessuto urbano era molto debole. Per ridefinire chiaramente il limite tra privato e pubblico e ottenere un controllo della desiderata densificazione, i muri di cinta erano necessari. Essi permettono infatti di riqualificare lo spazio pubblico, le strade, rendendo inutili marciapiedi e cartelli stradali. Una struttura urbana sana può anche regolare l’interazione tra pedoni e traffico motorizzato. Anche questa è una caratteristica di Monte Carasso. I muri erano necessari per creare un giusto equilibrio tra spazio pubblico e privato.
TEC21 – L’obbligo dei muri di cinta e le nuove distanze fra gli edifici hanno pure reso possibile la definizione degli spazi vuoti?
Luigi Snozzi – Sì, effettivamente. Addirittura, prima non vi erano spazi vuoti riconoscibili.
TEC21 – Lei non sembra sempre fondare i suoi progetti sulle preesistenze; al contrario afferma che, se necessario, l’architettura possa e debba cambiare il luogo, la città. Nella progettazione del centro di Monte Carasso perché ha progettato prima la piazza e in seguito come si è dedicato all’integrazione degli edifici preesistenti?
Luigi Snozzi – L’idea era quella di creare un centro per un luogo che non ne aveva uno. Per ottenere questo ho scelto il cortile del convento: è qui che si trova la chiesa, che da sempre rappresenta un punto di riferimento per gli abitanti, e non lontano da essa ci sono altre preesistenze, tra cui il municipio. Poi il mio atteggiamento architettonico è moderno e in questo senso mi approprio degli edifici tradizionali e li trasformo in elementi del presente. Non ho inventato niente di nuovo. Ho semplicemente trasformato quello che c’era già.
TEC21 – E come ha deciso quali edifici mantenere e quali no?
Luigi Snozzi – Semplicemente pensando alla chiara definizione spaziale del centro: questo è fondamentale. Qui è poi anche coincisa con il recupero della struttura storica originale.
TEC21 – Gli elementi nuovi sono, come sempre nelle sue opere, in cemento a vista. Che cosa significa per lei questo materiale?
Luigi Snozzi – Semplicemente mi piace. È un materiale che dura nel tempo.
TEC21 – Questa riflessione è importante nella progettazione di un edificio?
Luigi Snozzi – Penso di sì. Non ne sono mai stato consapevole, ma probabilmente è proprio così. L’uniformità del materiale corrisponde alla durevolezza alla base dei miei progetti…
Stefano Moor – …in fondo il cemento a vista non si allontana molto dalla pietra naturale, un materiale da costruzione tradizionale in Ticino. Luigi si avvale di un linguaggio architettonico moderno nel quale il cemento assume il ruolo della pietra. Rappresenta la sua maniera di esprimersi. Molti dei suoi edifici non potrebbero essere costruiti che in calcestruzzo, basta guardare la lunga trave dell’ampliamento della scuola elementare qui di fronte...
TEC21 – Quando progetta, pensa piuttosto alla durevolezza o alla flessibilità degli edifici?
Luigi Snozzi – Quando progetto cerco sempre la soluzione migliore per quel luogo e quel momento specifico. Una buona soluzione supporterà tutti i cambiamenti futuri.
TEC21 – Che cosa le piace dell’architettura?
Luigi Snozzi – Tutto ciò che faccio. Sono particolarmente felice quando qualcosa mi riesce. D’altra parte, non è mai stato altrimenti…
Mentre pronuncia quest’ultima frase, un fugace sorriso malizioso compare sul volto di Luigi Snozzi.
Nota: la traduzione italiana, curata da Sofia Snozzi, è stata elaborata in collaborazione con gli intervistati e pertanto si distacca talvolta dall'originale tedesco.
Qui è possibile acquistare il numero di «TEC21» dedicato a Luigi Snozzi.