Il Co­di­ce de­on­to­lo­gi­co del­l'O­TIA /4

L’art. 4.5 del Codice deontologico è una norma personale che prende in considerazione separatamente due concetti rilevanti: quello di «autore» di un progetto e quello di «prestanome».

Publikationsdatum
25-08-2016
Revision
25-08-2016
Spartaco Chiesa
Dottore in diritto, giudice del Tribunale d’appello, presidente della commissione di vigilanza OTIA

Il primo riguarda il precetto che riserva il diritto di apporre il proprio nome, rispettivamente la propria firma, su piani o documenti ai soli ingegneri e architetti che hanno effettivamente proceduto o partecipato all’elaborazione di un determinato progetto; norma cui consegue – in senso opposto – il divieto di sottoscrivere in veste di progettista qualsiasi documento relativo a opere allestite da altri.

 Per chiarire questo concetto è sostenibile e anche ragionevole far capo alla Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini del 9 ottobre 1992 (LDA). Questa legge – che peraltro e in generale può avere riscontri importanti anche nei settori dell’architettura e dell’ingegneria informatica – garantisce la protezione di determinati diritti (chiamati appunto diritti d’autore) esclusivamente in favore dell’autore o dei coautori di opere d’architettura, rispettivamente d’ingegneria, dove – per autore – deve intendersi la persona che ha «creato» l’opera (art. 6 LDA). 

In virtù di questo disposto di legge viene a stabilirsi un vincolo personale pressoché assoluto fra il prodotto oggetto della creazione e il suo ideatore/realizzatore. In questo contesto, l’opera – architettonica o ingegneristica (purché adempia i presupposti dell’art. 2 cpv. 1 LDA) – è considerata come una creazione dello spirito, della mente o dell’ingegno umano, con la puntualizzazione che per «opera» – specie nel campo dell’architettura – non deve intendersi soltanto l’opera finita (edificio, ponte, piano d’azzonamento, arredo urbano ecc.), ma anche i progetti che ne stanno alla base (art. 2 cpv. 4 LDA), sviluppati al punto da permettere la realizzazione completa dell’oggetto in elaborazione. 

Prendendo spunto da queste considerazioni, si giunge gioco forza a considerare progettista – così come indicato nell’art. 4.5 del Codice deontologico –esclusivamente l’effettivo autore del progetto, ossia la persona che ha profuso nel progetto attività creativa propria; volta in senso concreto, la stessa norma esprime il principio che solo chi ha effettivamente progettato o ha almeno partecipato alla progettazione di un’opera ha il diritto esclusivo di firmare i relativi piani e la documentazione annessa. Al proposito occorre precisare che la partecipazione cui si accenna dev’essere anch’essa di carattere creativo, affinché i collaboratori nella progettazione possano essere considerati coautori nel senso previsto dall’art. 7 LDA; in particolare, non può dirsi coautore chi si è limitato a eseguire istruzioni di un autore principale, né chi non ha partecipato concretamente alla determinazione definitiva dell’opera, rispettivamente del progetto.

Sempre l’art. 4.5 del Codice – in accordo con l’art. 17 cpv. 1 lett. g LEPIA – fa divieto a ingegneri e architetti di fungere da prestanome. Purtroppo la fattispecie non è solo teorica perché la tentazione in tal senso esiste, quasi sempre – come dimostra la realtà dei fatti – per compiacere colleghi che si trovano nell’impossibilità di sottoscrivere come progettisti domande di costruzione poiché non autorizzati all’esercizio della professione nel Cantone, segnatamente ai sensi del Capitolo 1 della LEPIA e degli art. 1 e segg. del relativo Regolamento. 

Nel tentativo di definire la figura del «prestanome», si potrebbe affermare che svolge tale ruolo l’architetto o l’ingegnere che, regolarmente abilitato a svolgere la professione nel nostro Cantone, si assume formalmente la paternità o la titolarità di un documento (quindi anche di un progetto), segnatamente lo sottoscrive col proprio nome, in vece e luogo dell’effettivo autore del medesimo che – per contro – non è legalmente abilitato a compiere tale atto attinente alla sua sfera professionale. Così facendo il prestanome concorre attivamente a creare un vero e proprio falso, inducendo – in primo luogo le autorità competenti in materia edilizia – a credere erroneamente che il progettista sia lui stesso, ossia una persona che – per aver ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione – ha superato una verifica delle sue capacità. 

Occorre rilevare che il divieto rivolto ai membri dell’OTIA di fungere da prestanome non è un disposto fine a sé stesso, né è stato pensato solo per favorire formalmente gli iscritti all’Ordine rispetto ai professionisti che non vi fanno parte, ma persegue lo scopo di interesse generale di garantire al pubblico la qualità del lavoro dei professionisti le cui capacità nel campo dell’architettura o dell’ingegneria adempiono i requisiti posti dal legislatore cantonale. Inoltre, il Codice deontologico insiste nel far presente che il divieto dev’essere rispettato «in qualsiasi situazione» e «nei confronti di qualsiasi persona o ente»: ciò dev’essere inteso anzitutto come un indice di perentorietà della norma e, nella sostanza, come avvertimento affinché ogni membro dell’OTIA non ritenga di poter giudicare egli stesso la situazione nella quale può venire a trovarsi, nemmeno a fronte di un progetto altrui che ritiene valido o di un collega estraneo all’Ordine che tuttavia egli stima particolarmente.

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