Gio Pon­ti: pref­abbri­ca­re la ca­sa all’ita­lia­na

Ancora nel pieno della seconda guerra mondiale, Gio Ponti sogna la ricostruzione, all'insegna di sistemi costruttivi economici elaborati insieme alle industrie italiane. Ad esempio la Saffa: Società Anonima Fabbriche Fiammiferi e Affini.

Publikationsdatum
04-12-2019

È piena seconda guerra mondiale quando Gio Ponti avvia un brillante progetto volto a pianificare una soluzione al problema della «casa per tutti» per l’immediato dopoguerra, sollecitando progettisti, industrie e istituzioni per una ricostruzione edilizia di qualità. Ponti ­raduna intorno al suo studio e alla re­dazione di «Stile», la nuova rivista da lui fondata nel 1941, una sorta di think-tank ­ante litteram composto da progettisti e industrie che si sono impegnati in innovazione di cantiere, unificazione e prefabbricazione, pur senza escludere l’apporto dei sistemi costruttivi tradizionali. È, però, necessario ricordare che Ponti ­riflette su quest’obiettivo sin dal 1930, quando sottolineò sulle pagine di «Domus» le potenzialità sottese al coordinamento tra progettazione e produzione industriale, specie nelle abitazioni a piccola scala e a struttura in legno, sugge­rendole come tema della successiva V Triennale di Milano.1 La rivista pubblicò, infatti, le villette economiche smontabili della carpenteria Bonfiglio, firmate da Enrico Griffini ed Eugenio Faludi, le week-end houses trasportabili del milanese Federico C. Schmidt, nonché gli esempi minimi e ampliabili ­provenienti da esposizioni e fiere in Germania e ­Austria2 sino, appunto, alla nascita di «Stile» e alla presentazione di proposte studiate in prima persona dall’architetto. Il contesto produttivo mi­lanese, inoltre, era davvero promettente, ricco di piccole e medie imprese costruttrici di kit-houses (la Schmidt o la Bonfiglio a Milano o la Paolo Cittera a Legnano, ad esempio),3 alle quali si sarebbe ben presto aggiunta la concorrenza della magentina Saffa (Società Anonima Fabbriche Fiammiferi e Affini): un’azienda fiorente, in espansione e disponibile a sperimentare nuovi campi di lavorazione del legno, protagonista indiscusso della sua attività sino al recupero degli scarti.

Nata nel 1898 dall’associazione delle più importanti industrie produttrici di fiammiferi italiane capitanate dalla ditta Giacomo De Medici con sede a Ponte Nuovo di Magenta, la Saffa aveva rapidamente esteso la sua produzione a  partire dagli abbondanti residui della preparazione dei fiammiferi: paglia di legno per imballaggi alimentari, cassette per oggetti e bottiglie e, dagli anni Trenta, compensati di pioppo, travi, capriate e il Populit, un agglomerato a base di fibre di legno mineralizzate e impastate con cemento, reso ininfiammabile grazie a un apposito trattamento.4 Prodotto in pannelli di dimensione sino a 200 × 50 cm e dello spessore da 1 a 15 cm, nel 1936 era disponibile in 7 tra i diversi stabilimenti dislocati sul territorio nazionale (da Torino a Venezia, da Roma sino a Bari) e nel 1938 addirittura in 15 tra stabilimenti e magazzini.5 Il Populit possedeva ottime caratteristiche di coibentazione termica e acustica, resistenza e leggerezza che ne resero possibile l’impiego come semplice isolante, come tamponamento di strutture in cemento armato e solai o come parete autoportante o sorretta da armature in legno. Poteva essere accoppiato a lastre di sughero, essere segato, inchiodato, forato, inciso per incassarvi gli impianti e intonacato;6 veniva addirittura impiegato nella costruzione di piccole case e padiglioni smontabili destinati alle colonie in Africa Orientale. Ed è proprio su questo terreno che, nel 1943, avviene l’incontro tra Gio Ponti e la Saffa, che è soprattutto intenzionata a esten­dere la sua attività all’arredamento, ma sta sperimentando i propri prodotti combinati a sistemi strutturali misti in legno, terra, muratura o cemento nelle abitazioni per i dipendenti. Un gruppo di case, infatti, è già stato realizzato con il metodo ideato dall’agronomo e inventore Ubaldo Fiorenzi che però ha avviato anche un altro cantiere a Marzocca, nelle Marche, allontanandosi da Ponte Nuovo.

E Ponti, convinto della necessità di unire le forze, ne deplora la decisione mentre scrive al direttore generale dell’azienda, commendator Eugenio Bravi, poiché ritiene che sia il momento di gettare le basi per un’iniziativa di più ampio respiro: i progettisti devono indirizzare le fabbriche a produrre componenti edilizi normalizzati, adattabili a differenti soluzioni, per poter «prefabbricare» il progetto stesso ancor prima della costruzione.7 E «il villaggio Saffa» sarebbe potuto diventare un cantiere sperimentale di tipologie residenziali fondate su tale principio.

Ponti, infatti, che ha già intrapreso un percorso di razionalizzazione dei com­ponenti progettando le scale-tipo per la Montecatini, con la Saffa avvia lo studio di mobili riponibili entro un altro arredo, di porte e finestre, di ponteggi in legno e soprattutto l’abaco di capriate pronte, denominate «S», dalle misure diversificate da impiegare in piccole e medie abitazioni a struttura in muratura, pietra o getto di cemento. Le capriate Saffa hanno una luce da 3 m a 9 m, con dimensione media di 7,50 m, e possono essere combinate tra loro per ottenere luci maggiori o coperture a un solo spiovente; Ponti evidenzia come siano facilmente trasportabili grazie al minimo ingombro e assemblabili sul posto; ne prevede ulteriori combinazioni, valuta la possi­bilità di inserirvi una gronda, calcola ­l’effettiva misura interna del vano applicandole a una struttura muraria e stabilisce le pendenze ottimali (60% in montagna, 50% in pianura, 33% al meridione).8 Dalle pagine di «Stile», infine, ne mostra le potenzialità attraverso un «pamphlet di pronto intervento» finalizzato a pre­venire con progetti di qualità l’intensa edi­ficazione del territorio italiano che si ­renderà necessaria nell’immediato ­dopoguerra, affrontando il ­problema in ­città, ma soprattutto in periferia e campagna. Sequenze di piccole case mu­nite di capriate «S», compresa una del ­Centro Tecnico Edilizio Saffa con porte, finestre e tavolo a ribalta unificati,9 sono pub­blicate dalla rivista pontiana e suggeriscono una futura edificazione minuta e garbata, consapevole del valore della tradizione costruttiva e della bellezza del paesaggio italiano. Purtroppo il grandioso piano ideato da Ponti per la ricostruzione non avrà seguito, ma le pagine di «Stile» e i frammenti dell’archivio dell’azienda Saffa raccontano il futuro che la casa e il settore edile italiano avrebbero potuto avere.

Note

  1. Una villetta per vacanze mobile e trasportabile, «Domus», 53, maggio 1932, pp. 252-254.
  2. Arch., Un problema in rapporto all’economia d’oggi. La casa ampliabile, «Domus», 56, agosto, 1932, pp. 464.
  3. M. T. Feraboli, Kit-houses all’italiana, in F. Irace (a cura di), Casa per tutti. Abitare la città globale, Milano 2008, pp. 97-113.
  4. A. Bertolazzi, Gli isolanti termici (1920-1940). Tecniche e materiali nella costruzione italiana, Milano 2018, pp. 116-119.
  5. Populit, «Domus», 100, aprile 1936, s.p.; 40’000 mq è la superficie delle lastre Populit impiegate in questi tre grandi stabili, idem, 105, settembre, 1938, s.p.
  6. E.A. Griffini, Costruzione razionale della casa, Milano 1939, pp. 132-133.
  7. Archivio Ermanno Tunesi (AET), corrispondenza tra Gio Ponti ed Eugenio Bravi (1943-44).
  8. CSAC, fondo Gio Ponti, capriate prefabbricate Saffa, s.d.
  9. Una casetta per le zone periferiche destinate alla ricostruzione, in «Stile», 40, aprile 1944, p. 20.

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