Ver­so una so­ste­ni­bi­li­tà cul­tu­ra­le

I progetti selezionati al Premio SIA Ticino 2020

«Quando il sole splende sui tetti di granito, quando non c’è lo scroscio delle grondaie, quando il vecchio muro non è bagnato, quando non ci sono pozzanghere e quando non gocciola o gorgoglia dappertutto e quando i girasole non sono spezzati, quando il suo campanile si drizza nel cielo azzurro, quando scroscia solo la fontana, quando non si cammina attraverso i rigagnoli, quando le montagne intorno non sono grigie, è un paese pittoresco» (Max Frisch, L’uomo nell’Olocene, 1979).

Data di pubblicazione
05-02-2020

L’immagine bucolica evocata da Frisch nel suo romanzo anticipa la tensione causata da una frana incombente sulla casa del signor Geiser, un anziano basilese trasferitosi a vivere in una sperduta valle del Canton Ticino. Di fronte al rischio imminente, malgrado la preoccupazione, nel protagonista prevale tuttavia la volontà di non arrendersi alla minaccia, che nel finale del libro si dissolve come nebbia al sole.

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dei premiati con i link alle analisi dei progetti

Anche il Ticino, proprio come il signor Geiser, è un organismo ancora robusto e vitale ma percorso da una tensione latente. Per sua natura il cantone è un microcosmo nel quale convivono identità diverse, solo apparentemente riconducibili a una matrice comune. A questa condizione di eterogeneità, tipica dei territori di confine, si sommano specificità locali e, più di recente, anche gli effetti dell’omologazione culturale che sta interessando tutte le regioni europee.

In Ticino l’importanza degli interventi architettonici è stata spesso limitata da quella dei suoi centri abitati tanto che sono le infrastrutture a costituire, storicamente, l’ambito nel quale architettura e ingegneria hanno saputo trovare le forme espressive più convincenti, anche in rapporto alle tecniche costruttive utilizzate. Estremizzando si potrebbe addirittura affermare che la storia moderna ticinese sia maggiormente identificabile con quella delle sue ferrovie, dei suoi tunnel, delle sue strade e dei suoi ponti che non con quella dell’edificato tradizionale. Se questo paradosso è smentito da una serie di eccellenti episodi architettonici, alcuni di straordinaria qualità e valenza culturale, è altrettanto vero che questi rappresentano un’eccezione in un contesto di forte pressione speculativa e conseguente conformismo edilizio.

Come tutti i premi anche quello SIA porta all’attenzione della collettività opere provenienti dalla ristretta cerchia dei progetti che sanno unire sapienza costruttiva e valori culturali, un connubio raro anche in presenza di condizioni economiche e materiali particolarmente favorevoli. Il Premio SIA Ticino ha inoltre la missione di mettere in risalto il ruolo dei committenti, sia nella scelta degli obiettivi che nella capacità di portare a buon fine un processo complesso, com’è quello della realizzazione di un manufatto architettonico, urbanistico o ingegneristico. Bisognerebbe quindi leggere il risultato della selezione con la piena consapevolezza che non rappresenti un ritratto fedele dello stato del costruire in Ticino, ma piuttosto un’eccezione rispetto ad esso. Queste, in breve, alcune premesse utili all’interpretazione del lavoro della giuria presieduta da Daniele Caverzasio, in rappresentanza delle istituzioni ticinesi, e composta da Marie Claude Betrix, architetto, Gabriele Cappellato, architetto, Jürg Conzett, ingegnere, Mercedes Daguerre, architetto, storica dell’architettura e direttrice di «Archi», Maresa Schumacher, architetto e urbanista, e Charles Weinmann, ingegnere, e alla descrizione dei progetti premiati.

Le sei opere selezionate riflettono, nel loro insieme, la varietà degli atteggiamenti riscontrabili nel panorama presente. Un’epoca di neoeclettismo in cui convivono, felicemente e in assenza di polemica, approcci e metodologie assai ­diverse. Com’è noto in Svizzera gli ultimi decenni sono stati segnati da un incremento esponenziale dell’edificazione, un fatto osservabile anche in Ticino nella progressiva saldatura dei nuclei abitati in una città diffusa che si snoda, quasi senza interruzione, dai fondovalle alle pendici delle colline. A tale, evidente, espansione del mercato delle costruzioni – e dunque delle opportunità per chi vi opera – è però corrisposto un indebolimento del pensiero architettonico, che appare privato della spinta ideale che aveva ispirato la modernizzazione del cantone, anche negli stili di vita. Come spesso avviene nei momenti di disimpegno oggi sembra radicata la convinzione che l’architettura possa trovare in se stessa tutta l’energia necessaria a progredire, illudendosi che il consenso della società sia un atto dovuto e non il frutto di una faticosa conquista. Da questo punto di vista anche le opere premiate, la cui qualità non è in discussione, raccontano di architetti preoccupati di far emergere la loro voce da un rumore di fondo sempre più fastidioso.

In una simile condizione il ricorso all’eclettismo, da cui il pensiero moderno rifuggiva, è divenuto strategia ambita. La vera novità è costituita dunque dal superamento di questo tabù, e da una sempre maggiore disinvoltura del linguaggio, indipendentemente dalle destinazioni d’uso degli edifici. Evidente, ma affatto sorprendente, è poi la compresenza di orientamenti opposti, non solo in fatto di estetica, ma anche in tema di rapporto con le preesistenze. Si diffonde così tra gli architetti operanti la convinzione che l’apparenza possa prevalere sulla sostanza e che un certo azzardo formale, se ben congegnato, rappresenti comunque una ricetta vincente. Un atteggiamento ambiguo che rispecchia però le odierne modalità di lettura e divulgazione della disciplina, e anche una certa pigrizia della critica. Questo cambiamento di paradigma non è però un fenomeno avulso dal resto della società, perché l’architettura non può che rifletterne, cristallizzandoli, i desideri e le pulsioni. In questo senso sarebbe sorprendente che il territorio ticinese risultasse immune dalla diluizione dei suoi caratteri peculiari e dalla contaminazione dei gusti e delle abitudini che interessa il mondo globalizzato. Inoltre, se in passato un architetto ticinese era pressoché obbligato, per formarsi in patria, a studiare in uno dei due politecnici federali, oggi grazie all’USI (la cui scuola di architettura nacque su basi radicalmente alternative a quelle dei politecnici) e alla SUPSI sono aumentati i diplomati di diversa provenienza che hanno scelto il ­Ticino non solo per studiare ma anche per mettervi radici. Non stupisce quindi di trovare nel gruppo dei progettisti premiati sia veterani con una lunga carriera alle spalle che giovani studi dalla composizione eterogenea, accomunati dalle loro diversità, per così dire.

Se, quindi, non sussistono le condizioni affinché emerga un’autentica comunanza d’intenti è altrove che dobbiamo guardare per ricercare le qualità dei progetti. Un altrove assai eterogeneo e multiforme, che non aiuta l’osservatore esterno a ricomporre una visione d’insieme. La metafora del microcosmo sembra quindi la più adatta per descrivere un panorama variegato nel quale le individualità dei progettisti rivendicano un proprio spazio singolare piuttosto che ricercare un confronto con i colleghi. Del resto l’assenza di dibattito è divenuta una caratteristica peculiare dei nostri giorni. A enunciati forti, persino provocatori, non corrisponde infatti alcuna polemica, quasi che la contrapposizione delle idee fosse ritenuta sconveniente. Una sorta di pacifico ecumenismo che consente alle scuole di architettura di ospitare al loro interno personalità antitetiche per cultura e orientamenti, senza sentirsi in obbligo di chiarire come metodologie opposte possano ritenersi parimenti valide. Chiarire questo equivoco di fondo non è certo il compito di una giuria, né può diventare lo scopo di un premio o di questo breve saggio, ma il rafforzarsi di questi atteggiamenti risulta comunque evidente in diversi progetti candidati e, come vedremo, anche tra quelli segnalati.

L’opera vincitrice del Premio SIA Ticino 2020 ci resti­tuisce un ritratto fedele della condizione attuale: un progetto nel quale forma architettonica e diagramma strutturale si sovrappongono generando un concetto spaziale sugge­stivo, la cui eco si riverbera al di là delle limitazioni imposte da un programma inevitabilmente convenzionale. La scuola materna progettata da Jachen Könz a Morbio Inferiore è una composizione all’interno della quale convivono due registri diversi: uno primario, costituito della giustapposizione dei setti di calcestruzzo armato con l’ampia copertura di ­legno lamellare, e l’altro secondario, rappresentato dall’organizzazione delle aule, dei servizi, e anche dei tamponamenti di facciata. Una soluzione vincente dal punto di vista della riconoscibilità complessiva, ma anche un’intrinseca debolezza, per via della gerarchia che introduce. Sia la spazialità delle aule che il rapporto del nuovo edificio con il contesto sono infatti subordinati alla fisicità del grande tetto sospeso, e alla relazione tra esso e i suoi appoggi.

Altrettanto duplice nella sua natura appare il progetto delle scuole Nosedo a Massagno, elaborato dalla comunità di lavoro formata dagli studi di architettura Durisch+Nolli e Giraudi Radczuweit. L’intervento, costituito dalla trasformazione di un corpo edilizio esistente e dalla costruzione ex novo di un altro, trova i suoi punti di forza in un confronto tra opposti, oltre che nel disegno del tessuto connettivo che li accomuna.

Sia il lavoro dello studio Stocker Lee che quello frutto della collaborazione tra Otto Krausbeck e i milanesi GSMM (Giorgio Santagostino e Monica Margarido) sono invece edifici unitari, sebbene assai differenti per indole, materiali e rapporto con la città. Il primo nato dall’esigenza di costruire a Rancate una nuova sede per il proprio studio professionale, e dalla libertà scaturita da una simile condizione, il secondo dal desiderio della Fondazione Paolo Torriani di Mendrisio di finanziare la realizzazione di una struttura capace di rispondere all’evoluzione dei bisogni emergenti nell’ambito della protezione dei minori.

Più difficili da inquadrare, ma anche maggiormente legati al territorio e alla sua storia, sono invece gli ultimi due progetti menzionati: un edificio residenziale a Monte Carasso opera di Guidotti Architetti e il recupero di una casa rurale a Mosogno, nel distretto di Locarno, da parte dei basilesi Buchner e Bründler. Come accennato precedentemente ciascuno di questi progetti è portatore di scelte che interpretano la mutazione in atto, un’evoluzione che il Premio SIA Ticino registra puntualmente, diventandone prezioso strumento d’interpretazione.

Per continuare a leggere l'articolo di Federico Tranfa, acquista qui «Archi» 1/2020.

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I vincitori del Premio SIA Ticino 2020

 

Migliore opera

Scuola dell’infanzia San Giorgio e piazza delle scuole, Morbio Inferiore, 2015-2018

 

committente

Comune di Morbio Inferiore

 

progettista

Jachen Könz, Lugano-Besso

 

 

Menzioni

Centro Scolastico Nosedo, Massagno, 2007-2017

 

committente
Municipio di Massagno

 

progettisti
Comunità di lavoro Durisch Nolli Giraudi Radczuweit, Lugano

 

 

Casa torre d’angolo, Mendrisio, 2015-2017

 

committente
Fondazione Paolo Torriani, Mendrisio

 

progettisti
Krausbeck Architetto, Salorino, con G. Santagostino e M. Margarido

 

 

Studio di architettura, Rancate, 2016-2019

 

committenti / progettisti
Stocker Lee Architetti, Rancate

 

 

Ristrutturazione casa rurale, Mosogno, 2014-2018

 

committenti
Dino Piccolo e Alejandra Lauper, Mosogno

 

progettisti

Buchner Bründler Architekten, Basilea

 

 

Casa ex parrocchiale, Monte Carasso, 2014-2018

 

committente
C.E. Umberto Guidotti, Monte Carasso

 

progettisti
Guidotti Architetti SA, Monte Carasso

 

 

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