Una ca­sa­for­te sul La­rio

La casaforte di Olgiasca, vigile dalla cima del colle sull’abitato sottostante, è diventata un luogo privilegiato dove abitare con gioia un paesaggio eccezionale.

Data di pubblicazione
10-03-2015
Revision
08-10-2015

Silenzioso testimone di assedi e battaglie navali che hanno segnato la storia dei paesi del Lario nei corsi dei secoli, il trecentesco «Castel Mirabel» si presenta come una torre massiccia eretta nel centro di Olgiasca, sul punto più alto del promontorio roccioso della penisola di Piona, poco distante dell’antica abbazia edificata tra l’XI e il XIII secolo dai monaci cluniacensi, uno degli esempi architettonici più significativi del romanico lombardo.1

Il piccolo borgo, situato sulla sponda orientale dell’alto Lario e noto fin dall’epoca romana per le sue cave di marmo bianco oggi abbandonate, deve alla sua posizione strategica l’appartenenza al sistema difensivo del lago di Como, di cui faceva parte, nel XVII secolo durante la dominazione spagnola, il vicino Forte di Fuentes, baluardo del confine settentrionale del Ducato di Milano contro francesi e svizzeri, completamente smantellato dall’esercito napoleonico alla fine del Settecento. Il forte era inoltre collegato a una serie di avamposti preesistenti, di cui faceva parte la casaforte di Olgiasca, vigile dalla cima del colle sull’abitato sottostante.

Perno dell’intero agglomerato, l’attuale fortezza squadrata – che alcune fonti fanno risalire a prima della metà del XVI secolo e quindi posta da allora a guardia della strada per la Valtellina e la Valchiavenna, da sempre vie di comunicazione e di commercio calpestate da invasioni e passaggio di truppe – è sorta presumibilmente sui ruderi di un più antico castellum. La tipologia a casaforte – antica residenza signorile fortificata che si sviluppa prevalentemente nel periodo dei liberi Comuni (XII-XIV secolo) – potrebbe includere, oltre alla funzione abitativa, quella di deposito (documenti del priorato di Piona testimoniano d’altronde l’intensa attività agricola del colle di Olgiasca nel XIII secolo, quando il borgo era sotto la sua giurisdizione e doveva pagarle decime e fitti). Probabilmente una costruzione protetta, utilizzata dal signore rurale come magazzino dove conservare i prodotti agricoli e impedirne i furti ma, forse, anche dalle famiglie nobili del paese che per la difesa utilizzavano questi manufatti in collegamento con i muri di cinta in modo tale da delimitare un territorio sicuro.

Peraltro, gli insediamenti sulla pendice occidentale del monte Legnone che discende ripida verso il lago mantengono ancora un carattere agreste, e molte delle caratteristiche dell’architettura contadina locale trovano riscontro in questa volumetria essenziale di pietra grigia, con la copertura in piode della Valmalenco, e scale di accesso in muratura disposte lungo le pareti perimetrali per consentire l’accesso dai vicoli che la cingono. Anche la scelta recente di Met Architektur di dipingere di bianco i bordi di porte e
finestre – sottile sottolineatura delle semplici aperture nella trama granitica dell’orditura del muro – recupera un’abitudine tipica: quella di accentuare i valori contrapposti, forza e delicatezza, che contraddistinguono queste suggestive strutture.2

Il nuovo progetto degli architetti zurighesi Dominique Lorenz e Daniel Hummel riprende il corpo di fabbrica ristrutturato per l’ultima volta come abitazione nel 1975 dall’architetto Otto Kober. Della costruzione originale restano solo le mura esterne, parti della struttura portante e le arcate dei due piani inferiori. Le due stalle del piano terra, accessibili dall’esterno e coperte con volte a botte, erano già state trasformate in stanze da letto dall’intervento precedente, così come l’acquisto del terreno attiguo a sud aveva consentito un ampliamento della superficie abitabile su tutti i livelli.

Si è partito dunque da specifici accorgimenti tecnici, resi necessari per il risanamento dei numerosi danni da umidità dell’involucro esterno (sostanzialmente la sostituzione delle solette a contatto con il suolo tramite pavimenti sopraelevati aerati, l’installazione del nuovo impianto di riscaldamento, l’intonaco isolante interno e l’impermeabilizzazione, isolamento e drenaggio del tetto, mentre la muratura in conci è stata pulita esternamente e le fughe rovinate completamente rifatte), ma alquanto limitati per questioni di tutela e conservazione dei beni artistici (rinunciando cioè a quello che sarebbe stato l’intervento più efficace dal punto di vista della fisica delle costruzioni: l’applicazione dell’intonaco esterno per la protezione contro le infiltrazioni d’acqua). Alcune soluzioni particolari – come il breve aggetto del tetto in cui si nasconde la gronda, il raccordo di maggior tenuta tra le finestre e la muratura in conci o la copertura del tetto in lastre di ardesia – hanno cercato di preservare il carattere intrinseco della torre, rivalutandola come elemento cardine della compatta struttura del paese. Con questo scopo, il nastro bianco attorno ai vani che disegna anche la cornice, gli infissi intonacati e gli scuri delle aperture disposti su un lato, nobilitano il fabbricato in quanto elemento identitario del tessuto urbano.

La volumetria del «Castel Mirabel» accoglie ora due piani abitabili – forse in passato congiunti internamente da scale in legno – e un piano interrato (il tradizionale «fondaco», adesso destinato a taverna e zona wellness). L’ingresso sopraelevato che porta direttamente al «piano nobile» di ogni unità – raggiungibile tramite le scale perimetrali a cui si accede dai vicoli che circondano l’edificio – conferisce autonomia ai tre nuclei residenziali: due appartamenti indipendenti di differente metratura – con una camera con bagno intercambiabile e indipendente nell’angolo nord-ovest – e una terza unità a uso comune, ciascuna con il proprio accesso e la propria terrazza (a nord, a sud, a est).

La flessibilità nella definizione funzionale è senz’altro uno dei pregi dell’intervento progettuale che risponde con efficacia alle diverse esigenze di una casa di vacanza, permettendo il suo utilizzo nelle più svariate combinazioni e durante tutte le stagioni.

La funzione difensiva originale del corpo di fabbrica spiega le ridotte dimensioni delle aperture esistenti – lasciate praticamente invariate – nonché la scarsa illuminazione dei locali, a cui si rimedia aggiungendo nuovi vani, ridisegnando il sistema dei serramenti in rovere massiccio, e aprendo verso sud delle porte-finestre che inquadrano particolari scorci sul panorama.

Il gioco di contrasti è portato dentro all’edificio: dal carattere arcaico dei muri in conci si passa alla levigatezza dell’intonaco in gesso a grana fine di solito usato dagli artigiani locali. La realizzazione di cucine e bagni nuovi ha permesso di adeguare lo standard ai bisogni attuali, proponendo vere e proprie fasce funzionali leggere (servizi/armadi rivestiti in legno di rovere) che entrano in contraddizione con la pesante muratura perimetrale. L’assenza di grandi rifiniture o fregi pregiati sui prospetti esterni trova compensazione nell’uso attento dei materiali che cercano di enfatizzare la qualità degli spazi interni (piastrelle in cemento con decorazione a intarsio nel pavimento dei tinelli, listoni in rovere oliato nei soggiorni e nelle camere da letto), nella scelta dei colori delle mattonelle smaltate dei bagni – tinteggiati sul cromatismo del blu – o nei mirati interventi artistici dell’appartamento principale (il grande affresco di camelie di Heloisa Ackermann-Rodrigues o la lampada-mobile di lamelle di porcellana disegnata da Madlaina Lys) che creano un’atmosfera calda e luminosa.

Sempre all’interno di un’ancestrale logica di ricostruzione, la casaforte di Olgiasca ha avviato in questo modo una nuova fase di potente vitalità; essa è ormai diventata un luogo privilegiato dove abitare con gioia un paesaggio eccezionale.

Note

  1. Cfr. F. Farina, L’Abbazia di Piona gioiello del romanico lombardo, Edizione dell’Abbazia di Piona, Alatri 2001. Inoltre: C. Marcora. Il Priorato di Piona, Lecco 1972; C. Tosco, Architetti e committenti nel romanico lombardo, Viella, Roma 2013.
  2. A. Fumagalli, Architettura contadina in Valsassina, Val Varrone e Valassina, Silvana ed., Milano 1982.

Committente: privato

Architettura: Dominique Lorenz, Daniel Hummel, Met Architektur, Zurigo

Collaboratori: F. Valverde

Direzione Lavori: Andrea Signorelli; Colico

Affresco: Heloisa Ackermann-Rodrigues; Muri bei Bern

Scultura di luce: Madlaina Lys; Lavin

Fotografia: Ulrich Stockhaus; Zurigo

Date: progetto 2009 – 2010, realizzazione 2011– 2012

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