Un ab­brac­cio tra Sviz­ze­ra ed Eu­ro­pa, al­l'in­se­gna del­la cul­tu­ra del­la co­stru­zio­ne

Su invito della Svizzera, le ministre e i ministri della cultura europei si sono dati appuntamento al World Economic Forum. Durante l’incontro, è stata siglata l’«Alleanza di Davos per la cultura della costruzione». Nell’intervista, Claudia Schwalfenberg (SIA) riflette sulla portata politica della nuova Alleanza e spiega in che modo la cultura della costruzione possa contribuire a promuovere la sostenibilità.

Data di pubblicazione
17-04-2023

Signora Schwalfenberg, chi ha lanciato l’iniziativa e chi era presente a Davos?

L’invito è giunto dal Presidente della Confederazione, Alain Berset, ed era rivolto innanzitutto ai ministri e alle ministre della cultura europei. Inoltre, erano presenti i rappresentanti di alcune organizzazioni sovranazionali come UN-Habitat e UNESCO, un segno questo che l’Ufficio federale della cultura mira a un’alleanza globale che va al di là dei confini europei. All’incontro sono intervenuti anche altri protagonisti internazionali, attivi nel settore edilizio, immobiliare e finanziario, così come esponenti della società civile.

A Davos si è discusso soprattutto di responsabilità privata nei confronti della cultura della costruzione come bene pubblico?

Direi piuttosto che si è parlato della responsabilità che devono assumersi congiuntamente economia privata, mano pubblica e società civile. Va da sé che anche l’economia privata andrebbe maggiormente coinvolta. Da qui è nata l’esigenza di costituire l’Alleanza di Davos per la cultura della costruzione e di creare presso il Forum un segretariato finanziato dalla Svizzera, segno anche questo che si vuole coinvolgere di più l’economia privata.

Per quale motivo la Svizzera ha preso in mano le redini?

A dire il vero la Svizzera ha cominciato relativamente tardi a occuparsi di cultura della costruzione, nel 2018 però con la Davos Declaration, seguita dagli otto criteri per una cultura della costruzione di qualità, sanciti nel 2021, ha fatto decisamente breccia. Un fondamento importante è dato dal Manifesto sulla cultura della costruzione, pubblicato nel 2011 e formulato dalla Tavola rotonda Cultura della costruzione svizzera. A livello internazionale la Svizzera è riconosciuta per la sua cultura della costruzione di qualità. Inoltre vanta un ufficio federale che si occupa attivamente di questo tema e il cui ministro, ora nel suo anno presidenziale, coglie nuovamente l’occasione per organizzare una conferenza di questo tipo, la seconda dal 2018.

In che cosa consiste, concretamente, questa Alleanza?

L’idea è quella di creare cooperazioni interdisciplinari e intersettoriali, con l’obiettivo di trovare soluzioni innovative e lungimiranti per la trasformazione del nostro ambiente di vita. In altre parole, direi che gli attori coinvolti si impegnano nel promuovere una sostenibilità fondata sulla cultura. Per riuscirci si interverrà intessendo nuove reti e incentivando le cooperazioni, ma anche appoggiando la formazione di base e continua, così come lo scambio di saperi e conoscenze. Tutto ciò si concretizzerà attraverso incontri regolari in plenum e con il lavoro portato avanti in gruppi di riflessione che si dedicheranno a temi specifici. Le attività saranno condotte da un comitato direttivo di cui fanno parte, ad esempio, il ministero lituano della cultura, Avison Young, Bouygues Bâtiment International, la Deutsche Gesellschaft für nachhaltiges Bauen e il Consiglio degli architetti d’Europa.

I professionisti attivi in Svizzera nel settore della costruzione che cosa devono attendersi da questa Alleanza?

Si tratta di portare il dibattito a un nuovo livello e di creare le condizioni quadro per valorizzare la qualità nella trasformazione del nostro ambiente di vita. Non dobbiamo aspettarci subito risultati tangibili, l’obiettivo è ora quello di sviluppare delle soluzioni.

Ha parlato di «sostenibilità fondata sulla cultura» e nel contempo della volontà di rafforzare le cooperazioni interculturali, tutto ciò non rischia forse di portare a situazioni conflittuali?

L’idea è piuttosto quella di lanciare un dialogo tra le culture legate alle varie discipline. Una delle rappresentanti del settore delle imprese ha affermato, rivolgendosi agli attori politici: «noi vi forniremo quello che ci chiederete, ma sta a voi impartire direttive chiare». L’obiettivo di avvicinare i diversi gruppi di interesse migliorandone la cooperazione ha avuto ampio riscontro. Si tratta di un passo decisivo, poiché i ministeri della cultura spesso sono piuttosto distanti da tutto ciò che concerne il settore della costruzione.

Il World Economic Forum però non è un World Cultural Forum. Quanto è credibile l’impegno del settore economico? La cultura della costruzione non è forse anche un tema che si vende bene, perché è così difficile da definire?

No, non la penso così. Anche se l’effetto potrebbe sembrare questo. Farei piuttosto il paragone con i dibattiti che vertono sul tema della sostenibilità. Anche qui si è visto che il tempo gioca un ruolo fondamentale. Prendiamo l’esempio di Aldi Svizzera che ha annunciato di non importare più frutta e verdura con l’aereo, e allora pubblicizza la vendita di fragole soltanto quando anche qui, alle nostre latitudini, è arrivata la stagione. Insomma, secondo me, tutti questi processi non si realizzano dall'oggi al domani, si passa attraverso diverse fasi. L’economia privata si interessa alla cultura della costruzione, ma deve anche ricevere le adeguate disposizioni e i mandati che le permettano di dare un proprio contributo. Innanzitutto vi saranno una presa di coscienza e un impegno maggiore, così come è stato per la questione della sostenibilità, sul medio periodo si prenderanno provvedimenti concreti.

Nell’ambito della cultura della costruzione, la SIA è capofila, e anche lei signora Schwalfenberg. Qual è stato per lei l’aspetto più innovativo dell’incontro di Davos?

Magari facciamo così che le dico prima di tutto qual è stato per me il momento più emozionante. I ministri e le ministre della cultura europei erano presenti di persona, ad eccezione del ministro della cultura ucraino, che ha presenziato da remoto, portando la testimonianza di tutto ciò che sta accadendo in Ucraina. Ha colto l’occasione per ringraziare la comunità internazionale per il sostegno dato, e anche per il sostegno futuro, quello di cui, così spera, il suo Paese potrà beneficiare per la ricostruzione «dopo la vittoria», queste le sue parole. Effettivamente, durante la conferenza, si è espresso un accordo comune che va in questa direzione. L’Ucraina beneficerà di aiuti per la sua ricostruzione, una ricostruzione che dovrà orientarsi agli otto criteri fissati nella Davos Declaration del 2018, e ciò anche per volontà esplicita dell’Ucraina. Tutto questo, significa ad esempio avvalersi delle competenze e delle imprese locali. Un approccio che si scosta di molto da quella che è di solito la situazione dopo un conflitto, dove si cerca di ricostruire il più in fretta possibile, alla bell’e meglio. Questo dimostra che non parliamo al vento, ma che c’è un bisogno concreto, una necessità.

In termini di contenuti, qual è il messaggio importante?

Attualmente la Svizzera si sente piuttosto isolata rispetto al resto dell’Europa. Con l’impegno preso a Davos, la Svizzera manifesta la sua volontà di riavvicinarsi, potremmo dire che il Forum è stato una sorta di abbraccio della Svizzera all’Europa all’insegna della cultura della costruzione. Si è reso palese che, malgrado le differenze, in Europa esiste un fondamento comune. La vera innovazione sta nel fatto che questa volta non è stata coinvolta soltanto la sfera economica, ma anche la società civile, nel suo insieme. Finora i rappresentanti della società erano più che altro persone legate al settore edile, organizzazioni professionali o organismi attivi nell’ambito del patrimonio costruito. D'ora in poi verranno coinvolti anche istituzioni e gruppi di rappresentanza provenienti da contesti completamente diversi, ad esempio la Conferenza delle Organizzazioni internazionali non governative del Consiglio d’Europa. È un momento che possiamo, e dobbiamo cogliere. Già soltanto il fatto che un capo del Governo decida di dedicare due giornate alla conduzione di una conferenza sulla cultura della costruzione è assolutamente degno di nota.

Qual è la spinta che muove tutto questo?

Penso che sia innanzitutto frutto dell’impegno e della dedizione personale di Berset. Così facendo ha dato nuovo slancio alla politica culturale svizzera. Naturalmente è una particolarità del tutto elvetica che in questo momento il ministro della cultura sia anche a capo del Governo. Una caratteristica tipica della via svizzera è pure la scelta di ascrivere il tema alla cultura; in Germania la cultura della costruzione è oggetto del Ministero federale tedesco dell’interno, dei lavori pubblici e della patria. Ciò naturalmente significa però anche assumersi l’impegno in prima persona. In veste di associazione professionale che promuove la cultura della costruzione questo ci rafforza, anche in termini di politica interna. La strada da percorrere tuttavia è ancora lunga; tanti infatti continuano a confondere la cultura della costruzione con l’arte architettonica o con la protezione dei monumenti storici. Il concetto di cultura della costruzione non è ancora compreso ovunque. Insomma, la visione globale e onnicomprensiva a cui miriamo non è ancora consolidata. Ora sta a noi spiegarne bene il significato e riscaldare gli animi. Questo, a mio vedere, è un compito che spetta anche alla Tavola rotonda Cultura della costruzione svizzera, dove si riuniscono il settore pubblico, l’economia privata e la società civile.

Maggiori informazioni su www.baukulturschweiz.ch

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