Lo stu­dio di Ti­ta Car­lo­ni a Ro­vio

Nella ristretta superficie data da una «Baulücke» di circa 4 x 8m, l’architetto Tita Carloni ha organizzato tutta la sua poliedrica professione.

Data di pubblicazione
08-01-2015
Revision
08-10-2015

«La comodità non ha mai portato a niente, l’uomo sulla luna non ci è arrivato in pantofole. Mettiamoci scomodi. Non prendiamoci troppo spazio.» Valerio Millefoglie, Mondo piccolo, Laterza, Roma-Bari 2014


Salire a Rovio in una nitida giornata di sole regala improvvise e splendide viste verso la fitta cerniera di Riva San Vitale che chiude il lago a sud contro il Monte San Giorgio e verso la pianura che si aggancia a Mendrisio. Dopo aver parcheggiato oltre la chiesa parrocchiale, giriamo le spalle alla collina di San Vigilio e ci incamminiamo sulla strada del Generoso, verso il paese posto a mezza costa della montagna. Poco sopra la strada principale, uno stretto vicolo senza uscita ci porta direttamente al vecchio edificio imbiancato dove Tita Carloni ha ricavato il suo studio-ufficio-atelier.

Tre termini che stanno ad indicare come, nella ristretta superficie data da una «Baulücke» di circa 4 x 8m, l’architetto abbia organizzato tutta la sua poliedrica professione. Interessi molteplici trovano infatti collocazione ideale in questo edificio bifronte, affacciato solo su due stretti vicoli che si dipanano a partire dalla strada comunale attraverso le gradinate pedonali che caratterizzano il nucleo. L’estrema attenzione e cura con la quale sono disposti i vari materiali ai diversi livelli dell’edificio, ciascuno dedicato ad una specifica attività, è immediatamente percepibile già a partire dall’entrata, dove il primo vano ci accoglie. La scala, stretta e ripida, è posta lungo tutto il lato interno e lo spazio restante è in fondo tutto quello che ci vuole, un lungo pianerottolo attrezzato.

Le belle immagini del fotografo Marcelo Villada Ortiz rendono perfettamente l’atmosfera leggera e addirittura giocosa che si respira all’interno di questo piccolo volume, dove l’architetto ha organizzato su quattro livelli lo spazio sufficiente per praticare e vivere quotidianamente la sua professione: colori chiari, naturali, luce tersa su tutte le superfici e il rosso ad accendere alcuni punti precisi. Accompagnati dalle fotografie di Villada Ortiz, entriamo quindi nello spazio di ascolto, dove Carloni accoglieva gli amici e i colleghi seduto dietro bianchi tavoli da disegno allineati a dividere longitudinalmente la superficie a disposizione.

Sul tavolo davanti a noi tre volumi su Wright, a testimoniare l’ammirazione di sempre e moltissimi documenti di lavoro avvolti in buste postali A4 tagliate sui lati e fermate con elastici, con la sua scrittura precisa a indicarne il contenuto: ristrutturazioni, ricerche storiche, scritti e letture, estratti catastali antichi, riproduzioni e disegni a mano, articoli pronti per essere consegnati.

Alle sue spalle e tutto intorno a noi, una libreria fitta di riviste e volumi sull’architettura, sulla civiltà contadina, sul territorio, sulle città, monografie, saggi, testi di storia e molti libri rari posati accuratamente a riposare al di sopra degli scaffali. Sedie scolastiche di legno chiaro ad ospitare i visitatori e sulla parete di fondo una grande apertura quadrata che si affaccia verso la schiera di edifici del comparto sottostante, illuminata dal sole del pomeriggio.

È uno spazio stretto e intimo, non arredato per stupire o impressionare il collega o il committente, uno spazio personale, privato e strettamente funzionale, ma allo stesso tempo caldo e accogliente come la sua stretta di mano. Lo si può soprattutto percorrere, non ci sono comode poltrone, è permesso solo indugiare in piedi, attenti che nessuno debba passare oltre. Saliamo quindi attraverso spazi sempre diversi, ottenuti con lievi modifiche nella disposizione dei tavoli.

Raggiungiamo il primo piano, l’ufficio vero e proprio: classificatori, computer e un’ordinata serie di scatole monocolore, allineate e regolarmente etichettate nella libreria di fronte, lungo tutto il parapetto della scala. Al secondo piano si apre invece davanti a noi l’atelier: tavoli disposti trasversalmente, il cavalletto aperto, molte cornici posate in un angolo, carte colorate di diverse sfumature, ordinate e racchiuse nei cassetti e un piccolo lavabo scolastico, in fondo al locale. È una scoperta questo secondo piano, un atelier per l’arte, la pittura e il disegno, che Carloni ammirava e praticava regolarmente e con estremo piacere. Anche qui, il profumo della carta e un ordine commovente negli attrezzi del mestiere, colori, pennelli e una quantità incredibile di volumi sul tema: tesori raccolti con attenzione e passione, che solo un’analisi e una catalogazione attenta potrà farci meglio conoscere.

Tutto il materiale, una memoria importante per la storia del nostro territorio, verrà ospitato presso l’Archivio di Stato di Bellinzona e la Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, sotto un unico tetto, in modo che i suoi scritti, i libri, la documentazione sull’attività politica o quella degli anni di insegnamento, gli archivi fotografici e i progetti restino a disposizione di ricercatori o studenti che vorranno approfondirne la conoscenza.

Ci lasciamo alle spalle lo studio. Peccato non averlo potuto conservare integro e ordinato come l’architetto Carloni l’ha lasciato, qui a Rovio, in un luogo dove avremmo sentito la sua presenza. Fra libri antichi e matite temperate con cura e riordinate per colore, fra i suoi acquerelli o nella bassa soffitta con i progetti archiviati, ci saremmo avvicinati al suo camicione da pittura appeso ad un chiodo, fra i piattini sporchi di colori chiari e accesi e ci saremmo sentiti accolti e al sicuro, in sua compagnia. Ciao Tita.

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