Co­me di­stin­gue­re un qua­dro buo­no da uno cat­ti­vo

Serie: I 20 anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, l'articolo di Tita Carloni dal no. 6/2004. «Credo che la pluralità delle espressioni e l’eterogeneità delle forme facciano parte del nostro tempo».

Data di pubblicazione
08-10-2018
Revision
07-03-2019

1.

È vero che la cultura attuale non si presenta né unitaria né socialmente condivisa, e questo non solo nel campo dell’architettura. Credo che la pluralità delle espressioni e l’eterogeneità delle forme facciano parte del nostro tempo.

Saremmo naturalmente tutti più tranquilli e rassicurati se vivessimo in una condizione di omogeneità culturale, come in alcuni periodi del passato. Ciò non toglie che il problema della qualità si pone oggi come ieri.

Con un mio amico pittore, oggi defunto, si discuteva ogni tanto del problema della qualità nella pittura e di come distinguere un quadro buono da uno cattivo. Egli proponeva tre criteri:

- Primo: osservare attentamente un particolare. In un quadro isolare dieci centimetri quadrati di dipinto e, indipendentemente dal soggetto e dalla tecnica, cercare di valutare la qualità pittorica in sé: stesura, colore, rapporti cromatici, forza del segno o del disegno, e così via. In architettura ciò potrebbe equivalere alla valutazione di un dettaglio costruttivo in termini di chiarezza, pertinenza nell’uso dei materiali, ordine, bellezza formale.

- Secondo: paragonare il dipinto, avvicinandolo, ad un’opera di valore riconosciuto, del passato o del presente. Se il confronto regge è buon segno. Vi assicuro che l’operazione, fattibile anche con l’impiego di semplici fotografie, è molto interessante.

Si può fare benissimo anche con le case e in fondo è ciò che avviene normalmente nella città, quando gli edifici si confrontano tra loro.

-Terzo: osservare la tenuta nel tempo. Se un dipinto dopo un po’ stufa, non dà più soddisfazione estetica, ammutolisce, è brutto segno. Anche questa operazione è praticabile nell’architettura. Vale la pena di tornare a rivedere gli edifici dopo parecchio tempo. Il tempo non perdona.

2.

Non è possibile sottoporre a normativa o a controllo la qualità formale degli interventi. Secondo la mia esperienza ogni volta che una «commissione» ha messo le mani in un progetto lo ha peggiorato. Le leggi e gli organi di controllo non possono creare direttamente la buona qualità. Potrebbero però svolgere un altro ruolo: quello di impedire o per lo meno di ostacolare la cattiva qualità. Ma per far questo, oltre all’autorevolezza che qualche volta non c’è, occorre anche un enorme impegno didattico e la capacità di insegnare ai pasticcioni come si può fare meglio. Questo richiede tempo, umiltà, dedizione. Una buona scuola non la si fa con i regolamenti e le griglie orarie ma con i buoni maestri.

3. Chi deve giudicare la qualità?

Chi ha più competenza e sapere. La cosa può essere sperimentata molto bene nelle giurie dei concorsi d’architettura.

Chi sono i cattivi giurati? Quelli che giudicano frettolosamente, senza studiare i progetti, basandosi unicamente sui propri gusti e sul proprio modo di fare. Se un progetto assomiglia ai miei è buono, altrimenti no.

Chi sono i buoni giurati? Quelli pazienti, pronti a esaminare con attenzione tutti i progetti e ad ascoltarne il messaggio; quelli capaci di sollevarsi al disopra dei propri gusti e delle proprie idiosincrasie. Simili giudici sono però estremamente rari.

P.S. A scanso di equivoci ritengo che talune norme, soprattutto di natura quantificativa, siano necessarie: per esempio sull’estensione delle aree edificabili, sulle quantità edilizie, e così via. Ma dovrebbero essere molto semplici e non avere carattere imperativo sulla forma degli edifici e sul loro rapporto col terreno.

Nel Ticino abbiamo una tipologia talmente vasta e differenziata di situazioni morfologiche particolari che ogni tentativo di codificazione formale finisce per essere più dannoso che utile.

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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