Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, giu­gno 2015

São Paulo

San Paolo è una città estesa senza fine. È una città vera, densa fino ai suoi limiti estremi, dove anche laggiù lontano chilometri dal centro si ergono i grattacieli, circondati da quartieri di abitazione, fabbriche e shopping e favelas.

Data di pubblicazione
08-07-2015
Revision
01-09-2015

Città, metropoli, megalopoli

Questa volta scrivo proprio un Diario come si deve, un diario personale: quello di un papà che va trovare il figlio che vive a San Paolo. In questa città incredibile, la più grande città del Brasile: 21 milioni di abitanti nell’ininterrotta continuità urbana della sua regione metropolitana. Ma attenzione, non è la città liquida o la città diffusa come da noi qui in Europa, né San Paolo è una città americana – Phoenix o Dallas o Houston – con il gruppo di grattacieli a formare quel downtown vuoto alle 18.30 e deserto i giorni festivi.

Qui no. Certo, San Paolo è anch’essa una città estesa senza fine. Ma è una città vera, densa fino ai suoi limiti estremi, dove anche laggiù lontano chilometri dal centro si ergono i grattacieli, circondati da quartieri di abitazione, fabbriche e shopping e ex favelas (che anno dopo anno hanno sostituito le lamiere con il mattone) e altre nuove favelas – queste sì fatte di lamiere e residuati di demolizioni o discariche. E qua e là grandi macchie di verde, talvolta disegnate a parchi, talvolta ancora vergini nel ricordo di antiche foreste.

Oltretutto, questa gigantesca metropoli non è adagiata su una piatta pianura, ma si estende su colline e riempie valli, trovando una propria identità nell’ininterrotta gerarchia di episodi dominanti nel paesaggio urbano.

Uno, due, tre centri città

Ed è lassù su una di queste colline che si trova il centro nevralgico più conosciuto di San Paolo. Un centro costituito dalla perfetta infilata di grattacieli a cadenzare e disegnare il magnifico spazio lungo 3 chilometri dell’Avenida Paulista. Grattacieli alternati a istituti scientifici, a ristoranti e cinema e teatri e musei e a giardini e parchi, un concerto urbano pulsante di vita 24 ore al giorno, tutti i giorni della settimana. Altro che downtown all’americana. Non solo, ma se si scende nella valle sottostante e ci s’incammina verso Praça da Sé si entra in un altro centro della città – i quartieri Consolaçao e – i più antichi, con la Cattedrale, e più oltre la Stazione ferroviaria, Estaçao da Luz.

Ma se invece di scendere da questo lato dell’Avenida Paulista si scende dall’altro, ci si imbatte quasi subito in un altro centro – il quartiere Jardim Paulista – con le boutique e i negozi di lusso, i ristoranti e sushi e pizzerie e Starbucks e bar, fino alla pasticceria Douce France. E più oltre, passato il Parque Ibirapuera e il quartiere Brooklin Paulista si raggiunge gli ultimi quartieri realizzati, Cidade Monçoes e Vila Coldeiro e Vila Gertrudes, con gli alti grattacieli delle multinazionali lucenti nei riflessi vetrati della loro arroganza.

Una storia, una città

I quartieri di Sao Paulo non costituiscono solo la suddivisione amministrativa di questa immensa città, ma ogni quartiere – in una metropoli che conta 20 milioni di abitanti – è anche una città a sé con i suoi di milioni di abitanti, con strade e spazi e piazze e giardini e architetture che le sono specifici. Insomma, quartieri con una loro propria identità. Ognuno città dentro la grande città. Vi è gente di un quartiere – la sua città – che non è mai stata in un altro quartiere, magari distante chilometri dal suo.

Così, camminando per le strade di San Paolo e andando di quartiere in quartiere e guardando l’architettura che vi circonda, nonostante l’affastellarsi di edifici di mole ed epoche e stili molto diversi, parecchi decadenti sotto il peso degli anni, si vive non solo la storia dell’architettura dalla metà dell’Ottocento a oggi, ma si comprende quali sono stati i momenti storici di San Paolo – e del Brasile.

Dal latifondo all’urbano

La colonizzazione portoghese – iniziata nell’anno 1500 – termina nel 1822 con l’indipendenza del Brasile, e la proclamazione della Repubblica Federale del Brasile nel 1889. È anche il primo periodo di crescita del Paese, che dura fino al crollo della Borsa di New York del 1929, determinato dalla produzione del caffè, e poi di gomma, zucchero e cacao, che costituivano il 90% dell’esportazione del Paese. A fianco dei grandi latifondi prendono anche forma centri urbani e porti, necessari per il commercio e l’esportazione: San Paolo e Rio de Janeiro per il caffè; Recife per lo zucchero; Salvador per il cacao; Belém e Manaus per la gomma.

Soprattutto dall’Europa partono allora, in questa fine Ottocento, milioni di emigranti a lavorare nei vasti possedimenti agricoli o ad abitare le città di nuova formazione. Ma non è solo una questione di numeri. La progressiva importanza delle città si traduce nella graduale autorevolezza della élite urbana progressista e cosmopolita, a detrimento del conservatorismo della società tradizionale, legata alla produzione agricola.

È il momento del passaggio dal «latifondo all’urbano», è il momento della formazione delle città brasiliane, è l’abbandono del carattere coloniale per abbracciare la modernità urbana: creare le infrastrutture necessarie – igienico-sanitarie, acqua, gas – e riorganizzare lo spazio fisico in un primo tentativo di urbanizzazione razionale.

Il potere, la modernità

La depressione del 1929 sfociò nel colpo di stato di Getúlio Vargas, che sarebbe rimasto al potere fino al 1954. Vargas dà progressiva importanza allo Stato nazionale a detrimento delle politiche locali, e, al di là del carattere autoritario e della cancellazione delle libertà politiche, provvede alla creazione di organi pubblici centrali, di leggi e servizi nazionali, di ministeri, strutture, insomma, che furono di premessa alla modernizzazione del paese.

È con orgoglio che il governo fascista di Vargas partecipa all’Esposizione mondiale del 1939 a New York con un proprio padiglione. E ottiene un primo riconoscimento internazionale grazie ai due architetti che lo progettarono: Lúcio Costa e Oscar Niemeyer. Che saranno poi, assieme agli altri colleghi dell’epoca, protagonisti nel 1943 dell’esposizione Brazil Builds al MOMA di New York, che accende i riflettori sull’architettura del Brasile.

Ma con la mostra Brazil Builds gli Stati Uniti di Roosevelt avevano anche un altro obiettivo: promuovere una politica di buon vicinato e ottenere l’appoggio del Brasile nel conflitto mondiale contro la Germania. Vargas esercitò allora una politica di neutralità: vicino sia ai nazisti e sia ai nordamericani. In cambio, ottenne cospicui finanziamenti: il periodo bellico fu per il Brasile un momento di prosperità, a differenza di quanto capitava nel resto del mondo.

La caduta di Vargas aprì un breve periodo democratico. Il presidente Juscelino Kubitschek, che come governatore dello Stato di Minas Gerais aveva promosso la riqualificazione urbana di Belo Horizonte poggiandosi su Oscar Niemeyer, promuove una forte industrializzazione del paese e importanti lavori pubblici, tra cui la realizzazione della nuova capitale Brasilia, affidata a Lúcio Costa e Oscar Niemeyer.

Nel 1961 il nuovo presidente João Goulart ereditò una difficile situazione economica che sfociò nel 1964 nella violenta dittatura militare, durata fino al 1984. Molti scapparono all’estero, tra cui anche Oscar Niemeyer, che si rifugiò a Parigi.

Poi la storia è quella recente. La caduta della dittatura aprì di nuovo il paese verso l’esterno, pur se afflitto da problemi economici, corruzione dilagante, inflazione, fughe di capitali e forti tensioni sociali, con una divaricazione sempre più feroce tra classi ricche e classi povere.

Sarà con l’affermazione alle elezioni del 2003 di Luiz Inácio Lula da Silva che avverrà una decisiva svolta politica, con provvedimenti a favore di una maggiore giustizia sociale, riforma delle pensioni, programmi di aiuto alle famiglie indigenti. In parallelo, in un difficile equilibrio, Lula affronta l’economia dissestata e riesce a rendere economicamente indipendente il Paese dai provvedimenti del Fondo Monetario. In questo approfittando dello sviluppo economico mondiale che favorisce i paesi a basso costo lavorativo.

Il resto è storia di oggi.

Nulla si distrugge: da un quartiere all’altro la storia della città e della sua architettura

Per chi ama l’architettura, camminare da un quartiere all’altro di San Paolo è percorrere la storia, non solo quella della città come ovvio, ma della stessa architettura. Perché San Paolo non è cresciuta e non si è sviluppata per sostituzioni, non ha demolito vecchi quartieri per sostituirli con dei nuovi – come nelle città europee o asiatiche – ma ha conservato quelli esistenti e vi ha costruito a fianco quelli nuovi. Nuovi quartieri che si sono aggiunti a quelli esistenti ognuno con logiche urbane proprie, dando forma a una metropoli cresciuta in progressione, discontinua e sempre estremamente densa. Ma è prorpio in questo che San Paolo è affascinante. Salvo le ville padronali e gli antichi quartieri coloniali, qui nulla è stato distrutto, tutto è ancora conservato. Tutto qui è moderno.

Dentro questa formidabile densità, di quartiere in quartiere emergono le architetture dell’eclettismo del Theatro Municipal (1911), gli spazi a carattere industriale degli interni della Estação da Luz (1901) e del neoclassico Mercado Municipal (1928), lo spazio della Biblioteca dell’Edifício Mackenzie (1894 e 1926), le torri del Prédio Martinelli (1929) e le geometrie dell’Edifício Esther (1938) e del Prédio do Banespa (1939).

E poi i capolavori del Dopoguerra. A iniziare con il gesto clamoroso dell’edificio Copan (1951) di Oscar Niemeyer, che si infila come un’anguilla tra gli edifici circostanti, e ancora di Niemeyer strutture e edifici nel Parco Ibirapuera – con la stupefacente Grande Marquise del 1954 – e l’insieme del Memorial da América Latina (1989). E poi Rino Levi con l’Edificio Prudência (1948), Franz Heep (e il contributo dell’ingegner Roncati, padre di Flora Ruchat) con l’Edificio Itália (1965), Artacho Jurado con l’Edificio Parque das Hortênsias (1957), un David Libeskind razionalista con il Conjunto Nacional (1962), Lina Bo Bardi con i due magnifici edifici del Museo de Arte Moderna (1968) e del SESC (1986).

Infine – per necessità occorre chiudere – le opere di due grandi dell’architettura brasiliana: João Batista Vilanova Artigas con il capolavoro della Faculdade de Arquitetura (1969) all’Università di San Paolo e Paulo Mendes da Rocha con la Galeria de Arte FIESP (1998), il Museo Brasiliano di Scultura (MUBE, 1988), la ristrutturazione della Pinacoteca do Estado (1998) e l’intervento a Praça Patriarca (2002).

Ora però la metropoli San Paolo – anzi, tutto il Brasile – è messa a confronto, dopo una velocità di crescita economica e urbana enorme, a un grave deficit infrastrutturale. L’economia privata ha delle dinamiche tali che lo Stato e gli enti pubblici – oltretutto afflitti da importanti carenze organizzative – non riescono a seguire. Per forza di cose ha bisogno di tempi più lunghi. Il compito ora per il Brasile è realizzare quelle infrastrutture oggi insufficienti – elettricità, acqua, aeroporti, strade e autostrade, reti ferroviarie – così come San Paolo, alle prese con un traffico automobilistico caotico, cui cerca di far fronte con nuove linee della metropolitana e con un trasporto su monorotaia. Mentre a un lato della marginal, l’ingolfata strada di distribuzione del traffico verso il centro della città, scorre l’acqua maleodorante del fiume Tietê, sull’altro lato crescono a ogni istante nuove favelas. San Paolo è anche questo.

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