Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, Giu­gno 2017

Densificare, mica facile

La densificazione è un tema che implica importanti questioni essenziali: progettuali, urbanistiche, architettoniche, anche sociali. ​Un esercizio non facile.

Data di pubblicazione
07-06-2017
Revision
19-06-2017

Premessa

Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT), all’art. 1: Confederazione, Cantoni e Comuni provvedono affinché́ il suolo sia utilizzato con misura e i comprensori edificabili siano separati da quelli non edificabili (...) sostengono con misure pianificatorie in particolare gli sforzi intesi a (...) promuovere lo sviluppo centripeto degli insediamenti preservando una qualità̀ abitativa adeguata e realizzare insediamenti compatti».

Legge cantonale sullo sviluppo territoriale (Lst), all’art. 1: «Questa legge disciplina lo sviluppo territoriale del Cantone, definendo principi, strumenti e procedure di pianificazione (...) essa mira in particolare a promuovere un uso misurato del suolo e uno sviluppo sostenibile (...) favorire insediamenti di qualità (...) individuare soluzioni coordinate che integrino insediamenti, mobilità e ambiente (...) preservare lo spazio non costruito per l’agricoltura e lo svago (...) valorizzare il paesaggio in quanto bene comune».

Densificare: un obbligo dettato dalle leggi

Intendiamoci, la legge federale è più esplicita di quella cantonale, ma entrambe prescrivono lo sviluppo delle città in modo centripeto, verso l’interno: quindi intendono bloccare l’ulteriore espansione del costruito con un fermo a costruire in terreni non ancora urbanizzati; quindi occupare le aree interne alla città ancora libere e realizzare nuovi quartieri progettando insediamenti compatti; quindi aumentare l’occupazione del suolo con una maggiore densità del costruito. In altre parole: densificare. Densificare il costruito all’interno delle città per fermarne l’espansione illimitata, con periferie sempre più lontane dal centro, con costi crescenti per le infrastrutture pubbliche, per i servizi, e i trasporti pubblici, spesso nell’impossibilità di garantire efficienza in luoghi così discosti. Densificare è oggi per l’urbanistica svizzera – Ticino compreso – l’indispensabile terapia per fermare questa disastrosa dilatazione dell’abitato nel territorio, con ex villaggi prossimi ai grandi centri stravolti da un’espansione oltre misura.

Sei quesiti cui rispondere, prima di toccare la matita

Densificare significa, rispetto alle attuali normative di Piano Regolatore, aumentare le altezze degli edifici e permettere una maggiore compattezza dell’edificato. Significa realizzare edifici in terreni ancora liberi oppure resi liberi con la demolizione di edifici esistenti. Significa costruire quartieri in aree già urbanizzate e provviste di servizi, di trasporti pubblici. Un esercizio non facile. Perché la densificazione è un tema che implica importanti questioni essenziali: progettuali, urbanistiche, architettoniche, anche sociali. 

Quesiti cui occorre rispondere, come: 

Primo, quale immagine o profilo o skyline si vuole dare alla città, che verrà alterata rispetto a oggi per la presenza di edifici ben più alti rispetto agli esistenti, con possibili case torri; 

Secondo: quali aree della città è necessario e auspicabile densificare per conferire loro qualità oggi inesistenti; 

Terzo: come impedire una speculazione selvaggia e invece garantire la qualità urbana e architettonica degli edifici alti e dei nuovi quartieri a maggiore densità; 

Quarto: quale sarà la qualità degli spazi pubblici, strade e piazze, indispensabile garanzia per l’equilibrio tra i loro vuoti e il pieno dei nuovi edifici; 

Quinto: come garantire e non danneggiare la qualità delle abitazioni e dei quartieri già esistenti posti nelle adiacenze, che si ritrovano accostati a nuove edificazioni ben più alte; 

Sesto: come la mettiamo con il trasporto pubblico e il traffico privato, se le strade rimangono identiche a quelle di oggi, ma dentro quartieri ben più densi, ben più abitati.

Alt con la matita, alt alla progettazione. Senza risposte a questi sei quesiti, quel «promuovere lo sviluppo centripeto con insediamenti compatti» sarà un disastro per le nostre città.

Microparcelle e cultura dell’abitare

Spero che per densificare la città non venga adottata la soluzione più semplicistica – qua e là già succede, ahimè –, quella di scegliere alcuni singoli edifici o piccole aree e via, dentro edifici e su in altezza. No, occorre creare degli insiemi strutturati, ricchi di coerenza e qualità. Dei quartieri nuovi, insomma. Che abbiano «... un housing sociale complesso, un mix di abitazioni per tutte le generazioni, con altre attività, scolastiche, commerciali, culturali, che ricostruiscano in modi nuovi – tutti da sperimentare – una socialità solidale», come scrisse Alberto Caruso nell’editoriale Densificare non è aumentare l’indice di edificabilità in Archi 5/2015.

Dei quartieri nuovi, già. Ma che fare in un Cantone in cui per ragioni storiche la parcellazione del terreno è estremamente fitta, piccole parcelle sia dentro le città sia alla loro periferia, dove ognuno va per sé con il suo edificio. È l’attuale modo di procedere – complice la passività di chi gestisce i processi edilizi delle nostre città – che conduce a quell’anarchia formale e povertà spaziale che caratterizza le aree urbane costruite negli ultimi decenni. È ora di dire basta a tutto ciò, e avvalersi dei nuovi concetti delle leggi federale e cantonale sulla pianificazione del territorio per riprogettare la città. E intervenire – anche – sulle proprietà private.

Riprogettare la città significa dover decidere – valutando l’esistente, qualità e bellezze e brutture e manchevolezze – quali quartieri proteggere, quali aree lasciare a verde o dove crearne delle nuove, quale area urbana occorre qualificare nel densificare, dove realizzare delle piazze e dei percorsi pedonali, e in quali luoghi è possibile e opportuno creare dei quartieri nuovi di zecca. 

Mica ovvio. Avranno, i politici delle nostre città, la forza per affrontare un simile percorso? Una domanda non così campata in aria, perché qui per ora nessun politico, nessun privato, nessun proprietario conosce e sa cosa è un quartiere vero e proprio. Quali vantaggi può portare all’attività dell’uno e agli interessi dell’altro. Perché il concetto e la cultura del «quartiere» qui non esiste, è nulla. Quei pochi realizzati si compongono di tre o quattro palazzine che circondano una macchia di verde, con uno spazio per il gioco dei bimbi e delle panchine sotto un albero per i vecchietti. Che noi un po’ pomposamente chiamiamo quartiere, realizzato mettendo assieme con fatica un paio di parcelle private. Si fa quello che si può.

Urbanistica passiva, privati a briglia sciolta, «populismo» delle villette: c’è il conto da pagare

Ovvio, oggi paghiamo la mancanza di una politica urbanistica attiva. Si è sempre operato invece con un’urbanistica passiva, adagiata sull’esistente, che punta solo sui privati e le loro singole iniziative immobiliari. E ha puntato – anche se nessuno lo dice – a soddisfare quello che oggi chiameremmo «populismo», in questo caso urbanistico: soddisfare la pseudo idilliaca abitazione + giardinetto e così dilatare le città e i borghi con la disseminazione di casette unifamiliari di due piani in un’incredibile frantumazione del suolo, una politica urbanistica irrazionale. E oggi è arrivato il conto da pagare.

E paghiamolo allora questo conto, che i politici sappiano scaraventare dalla finestra il demagogico moltiplicatore d’imposta e investano nella gestione del proprio territorio e alla sua edificazione. Certo, per gestire in modo diretto occorre acquisire i terreni, come fu fatto del resto negli anni Trenta e Quaranta, e realizzare poi dei quartieri. Ma esiste anche la possibilità di investire in modo indiretto, o con la cessione di terreni di proprietà pubblica a investitori privati, assieme ai quali realizzare dei quartieri ben mirati, oppure promuovere con determinate agevolazioni un gruppo di privati a unire le loro proprietà e realizzare – finalmente – un quartiere vero, abitativo e non solo, con i suoi servizi.

È poi quello che da tempo si è fatto a Zurigo, San Gallo, Basilea, Berna, Ginevra e così via.

Progettare la città

Progettare la città. Dare le risposte ai sei quesiti accennati in precedenza – da quale immagine avrà la città a quali aree è necessario densificare, da come garantire qualità urbana e architettonica all’equilibrio tra pieni e vuoti nei quartieri ad alta densità, per poi gestire il trasporto pubblico e il traffico privato.

E poi tradurre le risposte in un progetto, un progetto scaturito da un concorso urbanistico/architettonico svolto tra gruppi composti di architetti, urbanisti, architetti paesaggisti, geografi, storici, sociologi. E la presenza del politico. Una somma di competenze indispensabile per affrontare la complessità di un progetto inerente una città.

E poi occorre progettare dentro questa città, realizzare nuovi quartieri, e qui si può avvalersi delle esperienze di chi è arrivato ben prima di noi. Dove è la città a riunire tutti gli attori che ruotano attorno al progetto di un nuovo quartiere, non solo come ovvio il progettista – scelto sulla base di un concorso – ma anche i proprietari dei terreni, gli investitori, le società immobiliari, le aziende commerciali, i rappresentanti della città. Un concorso svolto sulla base di una progettazione parallela – un workshop – che permette di discutere le proposte dell’architetto e di amalgamare le necessità e le esigenze dei vari attori. In modo di trovare una soluzione condivisa.

Postfazione: il Paradiso della densificazione

L’eldorado della densificazione in Ticino è il comune di Paradiso. Con un Piano Regolatore redatto dal compianto architetto Renzo Molina, la parte in pianura della cittadina viene in pratica – edificio dopo edificio – rasa al suolo e rifatta con edificazioni ben più alte rispetto a quelle precedenti, case d’appartamenti o per uffici tra i nove e gli undici piani. A dire il vero il progetto originario di Molina era interessante, dove su un impianto a isolati prevedeva la realizzazione di edifici con maggior altezza, a filo della strada e in contiguità tra loro, con delle corti interne: e prevedeva di equilibrare la maggior densità edilizia con i vuoti delle corti interne, che avrebbero dovuto essere pubbliche, con percorsi pedonali attraverso gli isolati. Così non è stato. E la densità si è sparsa anche sul monte. Ma se si vuole, comunque, verificare cosa significa densificare – in questo caso a tappeto – si può qui valutare i risultati volumetrici e spaziali, quelli positivi e negativi, e le (inevitabili?) contraddizioni e difficili convivenze tra i nuovi edifici e quelli vecchi, con i loro giardini e muretti e ringhiere.

Il «caso Paradiso» meriterebbe di essere analizzato e valutato.

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