Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, gen­na­io 2015

A cinquant’anni dalla morte di Le Corbusier

È impossibile riassumere nel paio di pagine di questo Diario la biografia di una personalità così multiforme come quella di Le Corbusier, né sintetizzare compiutamente le idee, le intuizioni, le architetture ideate e realizzate nell’arco di una vita.

Data di pubblicazione
26-03-2015
Revision
15-10-2015

Il 27 agosto 1965 muore Le Corbusier

È nuotando nel Mediterraneo – ai piedi del suo Cabanon a Roquebrune Cap Martin –che Le Corbusier muore a causa di un infarto. Era nato a La Chaux-de-Fonds il 6 ottobre 1887.

È impossibile riassumere nel paio di pagine di questo Diario la biografia di una personalità così multiforme come quella di Le Corbusier, né sintetizzare compiutamente le idee, le intuizioni, le architetture ideate e realizzate nell’arco di una vita, iniziata nell’Ottocento nel Giura svizzero dove era nato e terminata nel pieno dell’esplosione della modernità del Dopoguerra.

Ha lasciato dietro di sé una grande mole di progetti, di quadri e disegni e schizzi, di teorie, di proclami, di conferenze e di libri – l’eredità di una prodigiosa energia creativa cadenzata tra l’atelier nel suo appartamento in rue Nungesser et Coli al mattino a dipingere e a scrivere, e il pomeriggio nello studio di architettura in rue de Sèvres, a Parigi.

Il viaggio e il libro quali momenti del progetto

Parte di questa eredità è costituita dai suoi viaggi: per visitare luoghi e monumenti e conoscere altre culture, per indagare il presente e incontrare architetti, artisti, scienziati e conoscere i loro lavori, per capire i nuovi materiali e i metodi costruttivi. Non solo, ma anche viaggi compiuti per diffondere le sue idee e farsi conoscere – in conferenze preparate con scrupolo e svolte da abile oratore e con la matita o il gesso a disegnare grandi tavole – e poi incontri con personalità e politici all’incessante ricerca di qualche mandato per un progetto, per costruire.

Da questi viaggi Le Corbusier torna sempre con una grande quantità di disegni e schizzi, di fotografie, di testi e annotazioni – spesso redatti durante le lunghe giornate in nave o in aereo o nelle attese negli scali tra un aereo e l’altro. Un bagaglio di lavoro enorme, che sfocerà poi nella sintesi dei molti libri scritti, voluti non tanto per raccontare, ma per precisare – da cartesiano qual era – i criteri e i concetti e i modi cui l’architettura deve attenersi. Non libri qualunque, beninteso, ma oggetti che andavano anch’essi progettati, con una propria specificità, da lui curati con un’impaginazione spesso originale, sempre ben scritti e ben documentati. Tra il 1912 e il 1965 Le Corbusier ha scritto 35 libri.

Ecco allora che in Le Corbusier i viaggi, i libri, i progetti e le idee sono intrecciati tra loro, appartengono a un unico processo che si può definire creativo. Questi viaggi avvengono in epoche diverse e con scopi differenti: i primi si potrebbero definire «di formazione» – in Europa e in Oriente –, i secondi sono mirati a diffondere le sue idee e i suoi progetti – in tutta Europa e nelle due Americhe –, i terzi infine nel Dopoguerra per soddisfare i molti incarichi in tutto il mondo e seguire i progetti e la loro realizzazione.

I primi viaggi e i «Carnets»

I primi viaggi portano il ventenne Le Corbusier a conoscere altre città e culture, ben diverse rispetto all’isolata La Chaux-de-Fonds nativa, e lo avvicinano ai maggiori architetti europei di allora, a conoscerli personalmente, a visitare le loro opere, e con alcuni a lavorare nei loro atelier. Nel 1907 – dopo un viaggio nell’Italia del nord tra settembre e novembre visitando in particolare Milano, Firenze, Siena, Bologna, Padova, Venezia – a fine novembre parte per Vienna, dove soggiorna quattro mesi. Mentre progetta le due ville Stotzer e Jacquemet a La Chaux-de-Fonds incontra Josef Hoffmann e gli artisti Moser e Klimt. Dopo essere tornato a Vienna nel marzo 1908, prosegue poi per Norimberga, Monaco, Strasburgo, Nancy, Lione – dove incontra Tony Garnier – per fermarsi infine a Parigi. Qui lavora come disegnatore nello studio di Auguste e Gustave Perret. Da Parigi ritornerà nell’autunno del 1909 a La Chaux-de-Fonds per realizzare le due ville progettate a Vienna. A fine 1910 è a Berlino per lavorare durante cinque mesi nell’atelier di Peter Behrens. Ha così modo di incontrare Mies van der Rohe, Walter Gropius, Heinrich Tessenow.

Nel maggio 1911 intraprende il suo «grand tour» verso Oriente e il sud. È quel Voyage d’Orient che lo porta da Dresda a Praga, a Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest, e poi a Istanbul, al Monte Athos (dove si fermerà 3 settimane), ad Atene e poi nell’Italia meridionale.

Ritorna dal viaggio con centinaia di fotografie e con schizzi e disegni e annotazioni che registra nei suoi taccuini – i Carnets – dove condensa le sue riflessioni sui luoghi e sulle architetture di quelle città e quei monumenti antichi visitati.

I Carnets saranno poi una fonte continua di riferimento per Le Corbusier, dove certe sue annotazioni e schizzi si ritroveranno poi nei libri che scriverà più tardi. E oggetto di studio – inutile dirlo – per tutti quelli che si interessano alle sue idee e alla sua architettura: i facsimili dei Carnets sono reperibili in un’edizione italiana (edita da Electa, 2000), curata da Giuliano Ghisleri, che raccoglie quelli relativi a Les voyages d’Allemagne e a Voyage d’Orient, con la trascrizione delle annotazioni vergate da Le Corbusier, nell’originale spesso di difficile lettura.

Vers une architecture

Tra questi viaggi e quelli successivi trascorrono quasi vent’anni. Due decenni nei quali Le Corbusier progetta il suo primo ciclo di opere importanti. Se a La Chaux-de-Fonds realizza la casa per i genitori, e poi villa Schwob e il Cinema Scala, a Parigi – dove si è definitivamente trasferito nel 1917 – realizza una serie straordinaria di architetture, tra cui occorre citare almeno l’Atelier Ozenfant a Parigi (1922), le case La Roche et Jeanneret a Parigi (1923), la Petite Maison per la madre a Corseaux sul lago Lemano (1923), il Padiglione dell’Esprit Nouveau a Parigi (1925), la Cité Frugès a Pessac (1925), l’edificio dell’Armée du Salut a Parigi (1926), la villa Stein-de-Monzie a Garches (l), i due edifici per il Weissenhof a Stoccarda (1927).

E i progetti rimasti sulla carta: lo studio per la Ville contemporaine de trois millions d’habitants (esposta nel 1922 al Salon d’Automne), gli studi per la Maison Citrohan e gli Immeubles-villas, il concorso della Società delle Nazioni Unite a Ginevra (1927). Questo periodo estremamente fecondo si conclude con la villa Savoye a Poissy (1929), l’Immeuble Clarté a Ginevra (1930) e il Padiglione svizzero alla Cité universitaire di Parigi (1930).

Progetti e edifici che hanno segnato la storia dell’architettura, la cui influenza si farà concreta soprattutto nei decenni successivi, fino al Dopoguerra e oltre, fino ai giorni nostri. Ma non solo i progetti, anche i libri scritti in questo periodo sono importanti. Quello più straordinario e che sarà il livre de chevet di molti studenti e architetti per le novità che conteneva, e per la precisone e concisione dei concetti, fu senz’altro Vers une architecture, pubblicato nel 1923. Un libro in cui i progetti architettonici con le loro planimetrie e sezioni e facciate e assonometrie si intrecciano con le idee e le teorie attorno alla «nuova architettura», e dove pagina dopo pagina emergono le riflessioni e gli schizzi fatti durante i suoi viaggi, dalle moschee di Istanbul a Pompei, dalla villa Adriana a Roma al Partenone di Atene. Quell’Acropoli visitata durante il Voyage d’Orient misurata e calcolata passo dopo passo durante oltre tre settimane, tanto che Le Corbusier scrisse in una lettera al suo insegnante di La Chaux-de-Fonds L’Eplattenier che «... c’était bien, mais j’ai vu l’Acropole pendant 3 semaines. Tonnerre de Dieu, j’en était dégoûté à la fin, tant ça vous pile et vous met en poudre».

Le Corbusier è bravo non solo a disegnare, non solo come pittore, non solo – ovviamente – come architetto, ma anche nello scrivere. Alcune frasi di Vers une architecture, che lui stesso (auto)definisce livre-manifeste, sono entrate nella storia, come l’arcinota «L’architecture est le jeu savant, correcte et magnifique des volumes assemblés sous la lumière», oppure «Le plan procède du dedans au dehors; l’extérieur est le résultat d’un intérieur» e poi «Les éléments architectureaux sont la lumière et l’ombre, le mur et l’espace» e ancora «Faire un plan, c’est préciser, fixer des idées».

I viaggi nell’America del Sud

Al termine di questo primo ciclo di progetti di straordinario valore – il secondo ciclo sarà nel Dopoguerra – anche Le Corbusier è colpito dalla crisi economica, e gli incarichi si diradano. Ricomincia allora a viaggiare. Nel 1929 sale sul transatlantico Massilia e raggiunge Buenos Aires il 27 settembre. Dopo una serie di conferenze nella città argentina e a Montevideo, si imbarca sulla nave Giulio Cesare per raggiungere Rio de Janeiro e in seguito Sao Paulo, impegnato anche qui in diverse conferenze. Riparte dopo 72 giorni da Rio de Janeiro per l’Europa sul transatlantico Lutétia per giungere a Bordeaux il 21 dicembre 1929.

Durante il viaggio di ritorno verso l’Europa Le Corbusier ricopiò i testi e i disegni delle sue conferenze, cui aggiunse un «prologo americano», e li pubblicò nel libro Précisions sur un état présent de l’architecture et de l’urbanisme (Parigi 1930). Oltre a riassumere i suoi concetti teorici sviluppati negli anni Venti, aggiunge anche delle riflessioni fino ad allora inedite sull’urbanistica. Perchè? Perchè sia in Argentina sia in Brasile viaggia in aereo, e da lassù in alto conosce una visione per lui completamente nuova di come è fatta una città intera, di come è fatto un paesaggio. Affacciato al finestrino dell’aereo schizza sui suoi taccuini le anse sinuose della baia di Rio, la città di Sao Paulo distesa tra le colline, la densa foresta che scende fino al mare.

Elabora allora – a conferma del suo incessante impegno progettuale – dei progetti urbanistici per le quattro città e per poi presentarli nelle conferenze cui è invitato. Progetti nei quali, come quello a Sao Paulo, propone degli edifici-ponte alti sopra la città esistente, dei viadotti abitati che lui stesso descrive nel libro Précisions «... poser de colline à colline, de sommet à sommet, une règle horizontale de quarante-cinq kilomètres puis une seconde même règle, à angle droit à peu près pour desservir les autres points cardinaux. Ces règles droites sont les autostrades de grande pénétration en ville ... sont de gigantesque viaducs ... sur des structures de béton armé qui constitueront des bureaux au centre et des logements en péripherie ». Nel progetto per Rio de Janeiro, questo «viadotto» alto su pilastri con autostrada sul tetto e abitazioni sottostanti non è affatto ortogonale, ma si snoda liberamente alle spalle della sinuosa baia di Copacabana e collega «... les diverses baies de la ville sans déranger en quoi que ce soit l’état de la ville actuelle».

Per Le Corbusier questo viaggio in Sudamerica è, come del resto i suoi altri viaggi, un momento di progettualità, e gli schizzi allora presentati si concretizzeranno nei concetti urbanistici e nei progetti per la città di Algeri, che lo occuperanno a lungo nel 1930.

Sarà nei mesi di luglio e agosto del 1936 che ritornerà a Rio de Janeiro – questa volta a bordo del Graf-Zeppelin in un viaggio durato 68 ore fino a Recife. È invitato di nuovo per delle conferenze e nel ruolo di «assistente» per lavorare a fianco di giovani architetti – tra cui Lucio Costa, Oscar Niemeyer e Affonso Eduardo Reidy – su due progetti: il Ministero dell’Educazione nazionale e il Campus della Città Universitaria. Un ruolo apparentemente secondario imposto dalle leggi brasiliane che allora proibivano agli architetti stranieri di lavorare in Brasile – era un periodo, come del resto in Europa, politicamente e culturalmente difficile per lo Stato brasiliano, alla ricerca di un’unità e identità nazionale, di un equilibrio tra modernità e tradizione, e in bilico tra movimenti fascisti e di sinistra.

Le Corbusier nei suoi due mesi di soggiorno lavora comunque intensamente con i suoi giovani colleghi all’elaborazione dei due progetti, mentre in parallelo svolge le sei conferenze che è stato invitato a tenere: e che saranno pubblicate, malgrado egli vi avesse lavorato negli anni successivi, solamente nel 2006 da Flammarion, con il titolo Conférences de Rio – Le Corbusier au Brésil 1936.

Nessuno dei progetti elaborati da Le Corbusier nei suoi due viaggi in Sudamerica avrà un seguito. Solo il Ministero dell’Educazione nazionale a Rio sarà condotto in porto nel 1943 da Lucio Costa e Oscar Niemeyer, ma profondamente trasformato rispetto agli schizzi del ’36. Il suo unico progetto realizzato in Sud America sarà la casa del Dr Curutchet a Mar de La Plata in Argentina (1949-1953), un mandato che gli fu affidato grazie anche alla notorietà del suo nome a Buenos Aires, dove ancora si discuteva del suo piano urbanistico.

Quand les cathédrales étaient blanches

Nel 1935 Le Corbusier si reca negli Stati Uniti, dove giunge con la nave Normandie. È invitato dal Museo d’Arte Moderna (MOMA) di New York per una mostra (modesta a dire la verità, pochi metri quadrati) e per una serie di conferenze a New York, Boston, Chicago, Filadelfia, Madison, Hartford. Tornato a Parigi, come sempre è sospinto dalla necessità di trasmettere e diffondere idee e concetti: in quello stesso anno inizierà a redigere il testo per un libro che verrà pubblicato nel 1937, assieme agli immancabili suoi schizzi, dal titolo Quand les cathédrales étaient blanches (1937, Librairie Plon, Paris).

Le Corbusier è critico per molte architetture e discontinuità urbane, ma è impressionato da New York e i suoi grattacieli: «Trois cent mètres de haut est la règle de se rugby effarant. Eh bien ! trois cent mètres de haut, en pierre, fer e verre, debout dans le ciel magnifiquement bleu de New York, est un événement nouveau dans l’histoire humaine qui, sur un tel thème, ne possédait jusqu’ici que légende: celle de la tour de Babel. Trois cent mètres de haut ... c’est l’échelle des temps nouveaux».

Les temps nouveaux, i tempi nuovi: è il tema costante ripetuto in centinaia di conferenze e nelle centinaia di pagine dei suoi libri. E i progetti delle sue architetture sono ideati proprio per realizzare il presente – non un ipotetico futuro – il presente di un mondo nuovo che si stava spalancando. Per Le Corbusier è giunto il momento di costruire le nostre di cattedrali, bianche nella pietra appena tagliata, e già nel 1934 scrive: «Nos cathédrales, à nous, ne sont pas encore dressées. Les cathédrales sont celles des autres – des morts – elles sont noires de suie et rongées par les siècles». 

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