Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, Di­cem­bre 2016

La storia per amica?

Molti edifici del passato storico sono d’indubbio valore, per la loro architettura o perché determinanti la qualità della città o del paesaggio. Anche in Ticino, come del resto altrove, è stata sfigurata o distrutta molta di questa architettura.

Data di pubblicazione
21-12-2016
Revision
21-12-2016

Valore e continuità della storia 

E il periodo più minacciato è quello della storia recente, anche se pochi se ne preoccupano: sfigurata è la casa d’appartamenti La Panoramica a Lugano (1957) di Alberto Camenzind e Bruno Brocchi, sfigurato è l’Albergo Arizona di Tita Carloni e Luigi Camenisch (1957) a Lugano, stessa sorte sta capitando a casa Corinna (1963) a Morbio Superiore di Peppo Brivio. E poi le demolizioni: la più sciagurata è quella del caffè ristorante Piccolo Federale (1962) a Lugano di Mario Campi e Franco Pessina, opera apparentemente minore, ma di straordinaria qualità architettonica e spaziale.

Salvaguardare un edificio storico è importante, perché parte dell’incessante sviluppo che sin dalle origini va a formare la storia, che periodo dopo periodo si è costruita su quello precedente, in un incessante processo evolutivo. Dal passato derivano modi e regole e principi che utilizziamo nel progettare l’oggi. Anche quando la storia fu presa a calci, come fecero i futuristi a inizio Novecento: nei disegni di Sant’Elia, nonostante le forme architettoniche allora inedite, appaiono tracce di strutture di ferro o aperture vetrate o altro ancora che ritroviamo in architetture dell’odiato Ottocento. Lo stesso Le Corbusier, alla domanda di cosa direbbe agli studenti se dovesse insegnare, dapprima afferma che inizierebbe «proibendo gli ordini, mettendo la parola fine a questa incartapecorita stupidaggine degli ordini, una incredibile sfida all’intelligenza». Ma poi afferma che «... racconterei ai miei studenti come siano commoventi le cose dell’Acropoli di Atene, di cui comprenderanno in seguito la superiore grandezza. Prometterei di spiegare la magnificenza di Palazzo Farnese e del vasto golfo spirituale che si stende tra le absidi e la facciata di San Pietro, ambedue rigorosamente costruite con il medesimo ordine».

Conservare o modificare o snaturare o distruggere la storia?

Conservare e restaurare le architetture d’importanza storica è quindi un impegno imprescindibile, sono parte dei valori dentro di cui noi viviamo, noi individui partecipi della collettività.

Ma c’è un ma. Perché da un lato esiste la storia con le sue architetture, ma d’altro lato esiste il presente. Che paiono essere in contraddizione, l’uno statico, l’altro dinamico. In realtà non si contraddicono per niente, anzi: perché è la storia a essere dinamica, incessante processo che dal passato porta al presente. La storia non è qualcosa d’immutato e immutabile, ma al contrario passo dopo passo si modifica e si trasforma e si forma. Se rimanesse ferma, la storia morirebbe: così come le lancette dell’orologio continuano a ticchettare, anche la storia lievita nell’istante stesso che noi viviamo.

Cambiano le idee e i modi di vivere, cambia la società, cambiano i valori: e non sempre in negativo. Le necessità del mondo contemporaneo sono ben diverse da quelle del passato. Se è quindi giusto salvaguardare la memoria e le testimonianze del passato storico, è anche necessario modificare, adeguare, anche distruggere. Perché il distruggere – piaccia o non piaccia – appartiene all’architettura stessa. 

Creare: in architettura non vale il detto «nulla si crea, nulla si distrugge», ma proprio il contrario. Per creare l’architettura, occorre distruggere qualcosa: un edificio esistente, un quartiere della città, uno spazio urbano libero, un prato, una collina. E non necessariamente ciò che è nuovo cancella dei valori: talvolta ne apporta dei nuovi, anche in luoghi storicamente pregiati. Una città come Parigi ha realizzato una grande piramide di vetro e acciaio in uno dei suoi spazi più densi di storia, che al solo pensiero di modificarli viene la pelle d’oca. Eppure l’hanno fatto, e la piramide è oggi un valore aggiunto dentro questo spazio storico. E sempre i parigini sbatterono dentro il cuore della città, una macchina infernale in ferro e vetro e tubi e passerelle e cavi cui hanno affibbiato il nome di Centre Pompidou. Altre città dense di storia – penso ad Amsterdam o Londra o tante altre – hanno conosciuto analoghi interventi, anche pesanti, nel loro tessuto storico. Ma come a Parigi nel distruggere hanno saputo cambiare la storia di luoghi aggiungendo nuovi valori, prima inesistenti.

Quando la storia è di freno

E allora mi permetto di scrivere alcune personalissime considerazioni, che sicuramente non faranno piacere a qualcuno. Ma che potrebbero essere lo spunto per un tema di discussione che ritengo interessante. E attuale. Vi sono esempi – che scelgo per semplicità qui in Ticino – in cui la storia è un freno, dove la protezione di un monumento storico – sia esso un edificio o un luogo – sancita dalla legge ha costituito o costituisce a mio parere un impedimento per degli interventi capaci di creare nuovi valori, coerenti con la città contemporanea.

Vorrei tralasciare il caso della nuova stazione ferroviaria di Bellinzona, perché ho ammirazione per il lavoro dei progettisti, per l’insieme architettonico in cui passato e presente coesistono in una coerente soluzione, per il disegno della lunga facciata, che riprende e insiste sul ritmo dettato dalle aperture dell’edificio storico del 1903, prolungata e saldata al primitivo edificio storico della stazione. Però, se fosse stato possibile demolire l’edificio del 1903 – storico, ma di mediocre architettura – si sarebbe potuto creare una stazione ferroviaria ben diversa, con un altro significato e ruolo per la città. Non solo funzionale alla ferrovia, ma anche luogo aperto alla collettività, spazio d’incontro, vera e propria piazza urbana, con un valore sociale aggiunto. Coerente del resto con la storia, quella delle stazioni ferroviarie.

Nel tema «la storia è di freno», un esempio interessante è il parco eolico sul passo del San Gottardo. Non entro nel merito del progetto in sé, ma sul concetto. I contrari – e sono tanti – difendono il valore paesaggistico, l’identità del luogo, l’unicità e anche il significato simbolico del «passo delle genti», cuore della Svizzera, centro dell’Europa, tra il nord e il sud. È un monumento storico, è un paesaggio storico. Va quindi difeso a oltranza. Argomenti che rispetto. 

Però mi chiedo: la storia del passo del San Gottardo qual è? Non sicuramente di essere rimasto un paesaggio ibernato, immutato nei secoli. Al contrario, sin dall’antichità è luogo di continui e incessanti cambiamenti, d’interventi fatti dall’uomo per superarne le asperità, sin dal Milleduecento. Camminamenti e mulattiere e strade e muri e ripari, e poi i rifugi e l’ospizio e l’ostello. Non solo, ma il Gottardo è anche un paesaggio in cui sono presenti – come in un museo all’aperto – le tecnologie della modernità, da quelle dedicate alla difesa militare come le trincee e i forti, a quelle determinate dall’avvento dell’elettricità con linee elettriche e tralicci e dighe. E poi ancora la montagna fu penetrata con gallerie, la prima già nel 1707 con l’»Urnerloch» lunga 60 metri, e poi quella ferroviaria nel 1882 e autostradale nel 1980. Altro che paesaggio ibernato e immutabile. È vero il contrario. Ecco allora che aggiungere lassù un parco eolico – si spera ben disegnato – sarebbe nient’altro che sommare alla storia di ieri un pezzo di quella dell’oggi. E poi un parco eolico ha una sua bellezza: si vada a vedere quello sul Passo della Novena, sul versante che scende verso il Vallese. I quattro pali eolici sono sculture disegnate dal vento, le cui grandi dimensioni sono capaci di esaltare le maestose asperità del paesaggio roccioso in cui si trovano.

E concludo con il lungolago di Lugano. È un pezzo importante della storia della città – realizzato tra il 1865 e il 1920 – capace di qualificare con straordinaria coerenza l’affaccio a lago da Paradiso all’ingresso del Parco Ciani: lo spazio delimitato dal fronte degli edifici e la strada, il doppio filare di alberi, il muro di sostegno a lago, sormontato dalla ringhiera in ghisa. Perfetto. Da proteggere fino all’ultimo. 

Già, però oggi è invivibile. Lungo la strada non passano più saltuarie e amene carrozze trainate da cavalli a portare i clienti degli alberghi in piazza della Riforma. E non è più come ai tempi in cui da giovane pescavo fissando il turacciolo che galleggiava, con i gomiti poggiati alla ringhiera. No, oggi è tutto diverso. Nessuno si siede sulle panchine: il rumore è eccessivo. La gente vuole gustare un gelato e una bibita: si aggiungono casuali (e orribili) baracche per la vendita. L’imbarcatoio storico dei battelli: è circondato da manufatti prefabbricati. E tra la gente scorrazzano biciclette, pattini a rotelle, skateboard. Né il turista – o l’abitante – oggi si accontenta di accostarsi alla ringhiera, socchiudere gli occhi, e ammirare per ore il (bel) paesaggio del lago circondato dalle montagne. No, la gente oggi vuole altro e vive diversamente da ieri, e che piaccia o no vuole godersi il lago in modo diverso rispetto a decenni anni fa. Rispetto a un secolo fa. Oggi tutto è cambiato, tranne il lungolago, bloccato nella sua storia. Intervenire non significa distruggerlo, ma al contrario curarlo e modificarlo, coscienti della sua storia e memoria, e delle sue specificità architettoniche e paesaggistiche. Nella consapevolezza che con opportune e attente modifiche potrà costituire un nuovo valore aggiunto alla città. 

Etichette

Articoli correlati