Con­cor­si Ti­ci­no

Nella preparazione del testo sulla situazione dei concorsi in Ticino mi è capitato fra le mani un numero di «Casabella» dedicato a Oskar Niemeyer, in occasione del suo centesimo compleanno. Sono rimasto impressionato da alcuni dati: l’inaugurazione nel 1960 di Brasilia, con l’asse monumentale praticamente terminato, rispetto alla data in cui vennero dati i risultati del concorso internazionale (di urbanistica!) nel marzo 1957, un anno dopo che Kubitschek divenne presidente e volle, come opera prioritaria, la creazione di una nuova capitale.

Data di pubblicazione
04-08-2016
Revision
04-08-2016
Paolo Canevascini
Architetto e docente AAM, membro della commissione concorsi SIA Ticino

Al cospetto di un simile confronto, qualsiasi testo che parli di concorsi e della loro realizzazione oggi, in Ticino o ovunque, è perlomeno imbarazzante. Ci si sente piccoli, lenti ed inefficienti. Non posso non pensare a quanto è lungo l’intero nostro iter realizzativo, e non sicuramente per la presenza del concorso, che in verità occupa una piccola porzione del processo (90 giorni dedicati alla progettazione per quelli a una fase), ma di tutto quello che lo precede e segue. Tempi lunghi, attese e non sempre a buon fine. Non posso non pensare alle occasioni perse, ai progetti che, dopo l’apparente euforia iniziale, sono rimasti sulla carta per motivazioni diverse, ma spesso determinate dall’incapacità civica o politica di portarli a termine o di farlo in tempi accettabili. Per nominarne alcune: scuole (Cadro, Savosa, Tenero, Torricella-Taverne) centri civici (Cadempino, Sorengo), case anziani (Pregassona) e altre ancora. In alcune situazioni siamo noi stessi a farci del male; emblematico e improponibile è il caso del campus USI-SUPSI di Viganello, dove l’imperizia non va cercata altrove. Gli insuccessi fanno male perché dietro a ogni concorso ci sono centinaia d’idee e di persone, migliaia di ore che offrono la possibilità a chi usufruirà del risultato, di poter scegliere sulla base di un’enorme mole di lavoro altrui, il cui investimento si può calcolare in milioni di franchi. Fanno male perché il concorso è un bene culturale da difendere, per tutti. Appartengo a una generazione che ad altro si sarebbe dedicata, se non fosse stata possibile questa via, che rappresenta per molti l’unica per emergere e crescere o semplicemente per esistere. Un’importanza ancor più essenziale rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, dove le occasioni erano maggiori, e lo sarà in misura pressoché totale per quelle che seguiranno. Il nostro territorio non si salva attraverso il concorso, ma rimane l’unico ambito, dove esiste l’occasione del confronto e della discussione sul progetto architettonico e dove la qualità ha maggiori possibilità di esprimersi. Abbiamo sentito negli ultimi tempi, accanto ai casi mediaticamente più rilevanti, voci critiche nei confronti di questo sistema: una procedura dove, a detta di qualcuno, prevale la burocrazia, dove vi sono problemi di gestione, dove sono i soliti a vincere o ad essere in giuria. Dove si ottengono solo progetti mediocri, dove il committente non può scegliere, dove i costi si moltiplicano. Potrei replicare dicendo che questa è la legge che abbiamo voluto, che risponde al principio secondo cui i soldi pubblici devono essere spesi correttamente. Vorrei anche dire che siamo consci che ci siano molte cose da migliorare e correggere, ma pongo invece l’attenzione sui risultati, che sono in fondo il senso della nostra attività, oltre che il fine di tutta la procedura. Da alcuni anni opero all’interno delle associazioni professionali, in particolare all’interno della SIA, e negli ultimi quattro ho coordinato il GPA (Gruppo Professionale Architettura) con cui, tra edifici costruiti frutto di concorso ed esposizioni di progetti, abbiamo organizzato 39 visite. A dispetto di chi arriccia il naso dicendo che siano sempre i soliti a vincere, per questi oggetti vi erano 32 vincitori diversi, 8 dei quali, un quarto, erano di nuova generazione, non oltre i quarant’anni. Le giurie di questi oggetti hanno visto la presenza di 111 architetti diversi. Il concorso produce architetture mediocri? Non spetta a me giudicare, ma quanto visto in questa selezione sembra descrivere altro: la qualità architettonica dell’edificio pubblico in Ticino rimane alta e così dev’essere. Possiamo fare un confronto con l’edilizia abitativa privata, che costruisce e occupa, o meglio ingombra, il paesaggio e dove il concorso di progetto non esiste, se non in isolatissimi casi. Il risultato è sotto i nostri occhi e tutti ce ne lamentiamo. Perché, come in altre realtà urbane della Svizzera, l’attività immobiliare privata non può pensare al confronto di progetto per scegliere i propri professionisti? Qui si apre un capitolo su ciò che non c’è ancora, sugli obiettivi ai quali mirare. Perché l’ente pubblico non pretende la qualità architettonica quando si confronta con quello privato? Cambiamenti pianificatori di regole e di indici volti a dare maggiori possibilità edificatorie a grandi lotti immobiliari non chiedono mai una contropartita in termini di qualità, bensì ragionano unicamente in termini di quantità. Una situazione analoga si ha nei casi in cui l’ente pubblico mette in appalto a investitori privati diritti di superficie pubblici. Le soluzioni sono semplici e facili da mettere in atto, come ha fatto la città di Locarno che recentemente, in questo genere di procedura, ha posto come condizione l’organizzazione di un concorso di architettura, pretendendo la propria rappresentanza nella giuria, benché l’intervento fosse privato. Una piccola frase in un bando, ma che in verità pochi vogliono inserire, lasciando libero arbitrio all’investitore. 

L’altro grande tema non risolto, ma sul quale vogliamo aprire delle porte, è quello relativo ai Piani Regolatori: per quale motivo uno degli strumenti principali del disegno del nostro territorio viene affidato per mandato diretto o, nei casi più illuminati, per concorso di prestazione o, per dirla alla vecchia maniera, d’onorario? Perché anche qui, per poter scegliere a chi affidare il mandato, non è possibile ipotizzare la via delle idee, delle visioni del territorio che verrà? È un tema attuale, se si pensa che la nuova Lugano, l’unico vero centro urbano del Cantone, si appresta a disegnare il primo Piano Regolatore dell’intero suo territorio. Le nostre associazioni professionali hanno chiesto un ruolo di accompagnamento in questa fase, affinché quanto appena descritto possa effettivamente avere luogo. L’altra grande lacuna da colmare è quella relativa alle grandi opere infrastrutturali, ferroviarie o stradali, i cui influssi sul territorio sono di grande impatto, ma dove si non si vuole ragionare con l’ipotesi del concorso di progetto. Abbiamo un caso attuale su cui pronunciarci: il nuovo tracciato di collegamento autostradale sul Piano di Magadino. Si sa che una buona parte del tracciato passerà sotto la montagna, ma a noi deve interessare cosa succederà nei punti in cui emerge e si collega con il tessuto esistente. È in corso l’organizzazione di un concorso per questo tema, e anche qui abbiamo chiesto, come insieme di associazioni professionali, che il ruolo del progetto territoriale sia centrale e non rimanga emarginato nell’approccio ingegneristico. 

La rivendicazione attorno al tema del concorso di progetto all’interno delle nostre categorie è emersa con evidenza nei casi più discussi anche sui media negli ultimi anni, passati dalla via del ricorso: IRB, Valascia, l’ampliamento dell’Ospedale Civico di Lugano. L’ultimo caso ha rappresentato la grande insidia, perché ha inteso aprire la porta alla progettazione risolta internamente ai grandi enti pubblici, emarginando la strada indipendente. L’opposizione è stata massiccia e ha vinto, riportando il tema entro i binari corretti, attraverso una proposta di collaborazione attiva, alla fine ben accetta dallo stesso ente, il quale ha visto una mano tesa, propositiva e non distruttiva. Qui risiede il senso del lavoro delle nostre associazioni, perché se è vero che queste situazioni hanno suscitato una reazione coesa attraverso l’adesione ai ricorsi, poi di fatto ci vuole qualcuno che si metta a disposizione per discutere e trovare le soluzioni. Negli ultimi anni, attraverso una sistematizzazione e una capillarità degli interventi, i risultati stanno diventando più continui, ma le persone attive in queste sfide sono comunque troppo poche rispetto al grandi numeri (di problemi e di professionisti convolti): molti di noi hanno grande capacità a lamentarsi e pretendere, ma con le mani ben salde nelle proprie tasche. Mancano purtroppo i più giovani, che dovrebbero essere interessati ancora di più rispetto alla mia generazione, perché la concorrenza cresce e le occasioni diminuiscono. 

Paradossale rimane comunque il fatto che, malgrado il concorso esista da sempre e che lo stesso in Ticino sia regolamentato per legge da un quindicennio, ancora oggi appare una conquista il fatto che esso venga fatto e bene. I casi citati sono solo quelli più rumorosi, ma in verità vi è una moltitudine di situazioni - improprie, al limite o interamente al di fuori della legalità - che richiedono i nostri interventi. Le falle o le possibilità di aggirare le regole sono molte e dobbiamo adoperarci nel dimostrare, sempre e comunque, come il concorso di progetto sia un atto soprattutto culturale. L’intervento pubblico merita qualità per rispetto alla comunità che lo finanzia e lo utilizzerà e per questo non dobbiamo smettere di lottare.

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