Co­me na­sce un pae­sag­gio tu­ri­sti­co

L’esempio della regione dei laghi

La regione dei laghi, esempio per la discussione della «fabbricazione» di un paesaggio turistico.

Data di pubblicazione
12-02-2015
Revision
19-10-2015

Risorse e paesaggi del turismo

Vi sono territori che, per le loro proprietà e funzioni, possono essere qualificati come turistici. Il Ticino, e in particolare la sua parte meridionale con i suoi laghi, è uno di questi. Certo, questa regione è una realtà geografica dalle originali morfologie territoriali, con proprie condizioni ecologiche e climatiche e specifiche forme di organizzazione dello spazio. Ma un paesaggio turistico non è costituito dalla semplice presentazione di dati materiali definiti una volta per tutte.

Le caratteristiche oggettive di un luogo costituiscono una risorsa potenziale e latente che un processo di «messa in turismo» può poi valorizzare.1 Nel corso di questo processo, attraverso un grande lavoro di bricolage, viene privilegiato e messo in scena tale o talaltro aspetto: gli elementi geografici vengono allora ricombinati. Il processo di «messa in turismo» porta alla ricomposizione di elementi geografici del luogo con nuovi valori e nuovi sguardi portati sul territorio, in funzione di un modello estetico e culturale. Nel nostro caso, questi nuovi sguardi furono quelli dei visitatori provenienti dal nord delle Alpi condizionati da particolari mediatori culturali.

Un paesaggio turistico è in grado di rispondere a desideri e a bisogni sociali e viene fabbricato facendo riferimento a modelli culturali che, in un preciso momento, e per una certa categoria di persone o classe sociale, sono dominanti. Così le Maldive o le Seychelles, negli ultimi decenni, hanno saputo corrispondere ai bisogni dei turisti occidentali e degli operatori del settore. Le pratiche turistiche, e le rappresentazioni sulle quali queste si fondano, siano esse residenziali – come la villeggiatura -, contemplative – come l’osservazione di un panorama -, ludiche e sportive – come il passeggiare -, o ancora culturali – come la fruizione del patrimonio - ecc., richiedono apposite sistemazioni architettoniche e urbanistiche che diventano un importante fattore di trasformazione di intere porzioni di territorio.

La «messa in turismo» è un processo dalle dimensioni storiche e, a priori, non esiste una particolare vocazione che porta un luogo a divenire turistico. Conseguentemente, ogni spazio è potenzialmente valorizzabile in senso turistico, anche le zone più inospitali, come per esempio gli spazi polari che potrebbero diventare luoghi di attrazione turistica e che per un piccolo numero di visitatori lo sono già. I luoghi e gli spazi turistici sono allora il prodotto di istanze differenti, endogene e esogene e, prima ancora che materiali, culturali.

Per discutere della «fabbricazione» di un paesaggio turistico desideriamo portare l’esempio della regione dei laghi, un grande laboratorio dove, soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, vennero adottati modelli estetici e urbanistici in voga nelle maggiori località internazionali. Come si può capire, il tema è vasto,2 così, in questa sede, ci limitiamo a considerare tre aspetti: il giardino, le infrastrutture di trasporto, l’insediamento turistico. Iniziamo con quest’ultimo.

La città per stranieri al sud

La cittadina turistica è tale in quanto è dotata di apposite infrastrutture per la residenza, lo svago e il divertimento, il trasporto. Sul modello di grandi strutture sorte nelle località internazionali, nella regione dei laghi sorsero le nuove architetture del turismo borghese che interagivano secondo originali modalità con il territorio. Tra queste vi furono gli hotel, che sostituirono le antiche locande. Alcuni di loro, i lussuosi Palace Hotel, soddisfacevano le esigenze dei clienti più esigenti e più facoltosi.

Ai margini delle cittadine, nei luoghi situati a solatìo e meglio esposti, sorsero magnifiche ville, sovente dotate di giardini, che entravano in una relazione paesaggistica con gli specchi d’acqua. Le passeggiate alberate trasformarono poi le rive dei laghi e, artificializzandole, favorirono quella distanza necessaria per godere delle acque attraverso una modalità paesaggistica. Edificate sulla base di modelli architettonici e urbanistici che circolavano tra gli haut lieux del turismo internazionale, poi adattati alle esigenze locali, modificarono la struttura urbana di Lucerna, Zugo, Ginevra, Zurigo, oltre che di Lugano e di Locarno e di numerose altre località della regione dei laghi.

Una nuova urbanità si era appropriata delle piccole cittadine del sud delle Alpi. Hermann Hesse, che aveva abbandonato il nord per stabilirsi sulla Collina d’Oro, nel suo breve racconto Die Fremdenstadt im Süden pubblicato nel 19253 ci fornisce elementi interessanti per interpretare la città turistica. «Questa città», dice lo scrittore, «è una delle iniziative più divertenti e redditizie dell’ingegno moderno. La sua nascita e installazione si basa su una sintesi geniale che può essere stata concepita solo da conoscitori molto profondi della psicologia degli abitanti della metropoli, se non vogliamo addirittura definirla diretta emanazione dello spirito metropolitano, realizzazione di un sogno. Questa creazione realizza infatti in modo ideale, perfetto, ogni desiderio di vacanza e natura dell’individuo metropolitano medio.»4

Quali sono gli ingredienti della «città per stranieri»? Sempre secondo Hesse «il cittadino abbiente esige per la primavera e l’autunno un sud corrispondente alle proprie idee ed esigenze, un sud autentico con palme e limoni, laghi blu, villaggi pittoreschi; tutto questo era facile a ottenersi. Però, oltre a questo, egli esige una compagnia, esige igiene e pulizia, esige una atmosfera cittadina, esige musica, tecnica, eleganza, si attende una natura del tutto sottomessa all’uomo e da lui rimodellata, una natura che gli dia stimoli e illusioni ma anche sia docile e non gli chieda niente, nella quale potersi trapiantare con tutte le sue abitudini metropolitane, le sue usanze ed esigenze.»5 Nelle poche pagine del racconto egli coglie i tratti paradigmatici di un paesaggio ideale per i visitatori che dal Nord raggiungevano la «città per stranieri». Con la sua «urbanità meridionale» e con le sue particolari sistemazioni dello spazio, questa cittadina rispondeva alle esigenze e alle aspirazioni etiche ed estetiche dei cittadini metropolitani (così Hesse definisce, distanziandosene, i turisti).

Una passione botanica

La vegetazione mediterranea del Ticino meridionale e delle sue rive, da sempre ha colpito la fantasia dei visitatori e anche degli studiosi. Il ginevrino Henri Correvon, direttore del Jardin des Plantes di Parigi, in occasione di una sua visita a Locarno sul finire dell’Ottocento, toccato dall’esuberanza della vegetazione sudalpina, definì la regione con l’appellativo di «l’eldorado del botanico». Ma è nei giardini che la passione botanica trovò la sua massima realizzazione.

La baronessa Antoinette di Saint-Léger trasformò una delle due brulle isole di Brissago in un lussureggiante giardino, i fratelli Ciani a Lugano crearono un giardino attorno alla loro villa ai margini della città di Lugano (che diventerà poi un apprezzato parco pubblico), il commerciante sangallese Arthur Scherrer costruì a Morcote un giardino ispirato a quelli che aveva visitato nel corso dei suoi viaggi, per non citarne che alcuni. Numerosi, e anche più prestigiosi, furono i giardini sulle rive piemontesi del Lago Maggiore o del Lario, in particolare tra Como e la punta di Bellagio.

Ma il giardino, ricerca del bello e del piacere, è specchio dell’uomo e delle sue ideologie e rimanda all’idea di natura che domina in una certa epoca. I suoi proprietari erano parte di una élite che poteva permettersi lunghi momenti di villeggiatura e che poteva soddisfare le proprie ambizioni estetiche. La scelta delle piante rimandava a un esotismo di stampo romantico e a uno spiccato interesse per l’alterità vegetale, come d’altra parte avveniva nelle metropoli europee dove, in grandi serre come quelle del Jardin des plantes di Parigi o dei Kew Gardens di Londra, venivano ospitate piante provenienti dai quattro angoli del mondo. Sovente valorizzando i sempreverdi, l’allestimento del giardino dei laghi privilegiava una vegetazione originaria delle sponde del Mediterraneo, in molti casi anche proveniente da mondi lontani come l’Asia orientale, l’America del sud e del nord.

In questi giardini si potevano trovare slanciate e frondose palme, cedri del Libano, cipressi, araucarie, sequoie, o ancora agavi, magnolie, camelie, cryptomerie… Tra i luoghi di provenienza delle piante e quelli di arrivo, doveva esistere una certa concordanza climatica, comunque, per svilupparsi, le piante dovevano essere prima acclimatate. Non possiamo dimenticare il ruolo degli acclimatatori e vivaisti del Golfo Borromeo o di Mariano Comense che non fu da meno rispetto a quelli di Hyères o di San Remo.

Così, tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio Novecento, gli ecosistemi delle fasce lacustri meglio esposte e più accessibili, come il golfo di Lugano, le rive di Melide o di Caslano, la sponda settentrionale del Verbano da Muralto a Brissago, vennero trasformate dall’introduzione di questa vegetazione esogena. Il paesaggio delle rive dei laghi divenne una riviera dove nuovi «paesaggi spostati»6 si sostituirono ai complessi vegetali autoctoni che si erano sviluppati sin dalle ultime glaciazioni.

Alla ricerca della visione totale

Tra le esigenze del viaggio e del turismo vi era la ricerca della visione totale e panoramica del territorio. Il termine panorama si riferisce a una tecnica pittorica sperimentata per la prima volta da Robert Barker e a un gigantesco dispositivo circolare nel quale l’osservatore, collocato al centro, poteva godere di una scena a 360 gradi. Ma il panorama era pure ciò che si poteva vedere dall’alto. Così, nelle Alpi e nelle Prealpi lo sguardo panoramico diventò una delle maggiori modalità di fruizione del paesaggio.

Da un belvedere situato sulla sommità di una montagna, l’osservatore poteva dominare le pendici dei monti, i contorni dei laghi, i villaggi e le cittadine. La guida Baedeker sulla Svizzera nelle sue prime pagine dedicate al piano del viaggio segnalava i punti panoramici più importanti: «...al sud delle Alpi quelli del Monte S. Salvatore, del Monte Generoso e del Monte Brè, vicino al lago di Lugano; del Monte Mottarone e del Monte Nudo, ai bordi del Lago Maggiore; del Monte S. Primo, ai bordi del Lago di Como; della Becca di Nona, vicino a Aosta; del Crammont, vicino a Pré-St-Didier».7 Le sommità del Ticino meridionale erano in grado da fare concorrenza al «panorama più celebre della Svizzera »8 che, secondo la guida, era la sommità del Rigi.

Per godere del panorama occorreva però salire sulle vette. Se, in una prima fase, queste erano raggiunte percorrendo erti sentieri di montagna, per facilitare l’avvicinamento ai belvedere situati sulle cime, sul finire dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento, vennero costruite apposite infrastrutture a fune o a cremagliera. Tra queste le funicolari del San Salvatore e del Monte Bré, della Madonna del Sasso o di Lanzo e di Brunate, o ancora la ferrovia del Monte Generoso. Ad ogni modo si trattava del risultato delle più avanzate tecnologie in materia di trasporti di montagna nella quale la Svizzera eccelleva.

Queste infrastrutture si collegavano alla linea del San Gottardo, questa era apprezzata dai turisti oltre che per i paesaggi montuosi e lacustri che permetteva di osservare, per le prodezze ingegneristiche delle sue gallerie elicoidali e dei suoi ponti che sfidavano il contrastato territorio alpino. Attraverso la microfisica delle loro macchine in movimento e la macrofisica delle strutture posate sul territorio, e quasi indifferenti alle morfologie montuose, queste vie di trasporto rispondevano alle logiche di un processo di simulazione nel quale l’oggetto poteva operare in un ambiente normalizzato e quasi artificiale. Al seguito dell’edificazione di queste infrastrutture, le morfologie paesaggistiche della regione furono trasformate da nuovi elementi lineari (che interconnessi originavano articolate strutture reticolari) ben visibili sul territorio e che collegavano la quota dei laghi con le sommità dei monti. In alcuni casi questi diventeranno landmark che marcheranno lo spazio geografico nel tempo.

Verso nuovi paesaggi turistici?

La geografia del turismo ci insegna che i luoghi turistici non sono tali in quanto possiedono attributi specifici ma si fondano su modelli di sguardo esterni e originali. In alcuni casi contemporanei, il ruolo delle immagini nella costruzione del paesaggio è diventato enorme. Lo si vede nei parchi a tema, ispirati al cinema o alle favole, negli acquapark che riproducono una natura tropicale esuberante e priva di pericoli, negli outlet inseriti in un contesto paesaggistico che richiama il villaggio tradizionale o la piazza italiana. Così, molti nuovi paesaggi sembrano più parchi della Disney che luoghi inseriti in un contesto territoriale preciso con le sue stratificazioni e la sua storia. A Dubai, dove sono sorte le due isole artificiali denominate The Palm e The World, e dove è stata costruita una pista di sci indoor lunga 400 m, la simulazione è portata all’estremo. Sono questi alcuni dei nuovi paesaggi turistici.

Ma per concludere ritorniamo al caso ticinese. Nella sua fase di «fabbricazione», la regione dei laghi si era prestata a un grande esperimento in scala 1:1 dove, come in un gigantesco puzzle, l’assemblaggio di un insieme di elementi culturali e naturali, endogeni e esogeni, ha originato un paesaggio turistico di grande rinomanza. Questo processo ha caratterizzato in modo rilevante sia la realtà materiale, sia l’immagine della regione e ha contribuito a produrre luoghi carichi di significato e in grado di suscitare desiderio e ammirazione. Risultato di un processo che abbiamo descritto nelle sue grandi linee, essi sono il prodotto dell’incontro tra le risorse turistiche potenziali di un territorio e le aspirazioni dei turisti. Attraverso questo paesaggio abbiamo poi valorizzato e promosso un modello sociale e territoriale e una identità. Ma nessun paesaggio è dato o è fissato una volta per tutte. Come dice Claude Raffestin «nessun luogo, nessun villaggio, nessuna città, nessuna regione, nessun paese ha a priori una vocazione turistica che dura, perdura e non si trasforma».9

Il paesaggio è in realtà costantemente reinventato da nuovi sguardi e da nuove rielaborazioni. Un luogo può cessare di essere turistico e nuove mete, rispondenti a nuovi bisogni e nuove aspirazioni, possono emergere e affermarsi. Quali sguardi e quali desideri vengono proiettati oggi sul paesaggio ticinese e a quali bisogni questo potrebbe rispondere? Ciò che possiamo dire è che una lunga fase della territorializzazione turistica del Ticino si è da tempo conclusa, la nuova è ancora tutta da inventare.

 

Note

  1. Claude Raffestin, Les paradoxes du tourisme?, «Ri-Vista ricerche per la progettazione del paesaggio», Facoltà di architettura, Università degli studi di Firenze, gennaio-giugno 2012, p. 59.
  2. Abbiamo discusso di questo tema in La fabbricazione del paesaggio dei laghi. Giardini, panorami e cittadine per turisti tra Ceresio, Lario e Verbano, Casagrande, Bellinzona 2008.
  3. Hermann Hesse, Racconti, Mondadori, Milano 2001.
  4. Ibidem, p. 31.
  5. Ibidem, p. 32.
  6. Christiane Garnero Morena, Il paesaggio spostato, L’Epos, Palermo 2003.
  7. Guides Baedeker, La Suisse, 1913, p. XVI.
  8. Ibidem, 1913, p. 129.
  9. C. Raffestin, Les paradoxes du tourisme? cit., p. 58.
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