Ca­sa a Son­vi­co

Stefano Moor su Martino Pedrozzi

«Le case degli altri» è un dossier che invita gli architetti al dialogo: Espazium ha sottoposto a ogni partecipante – tutti progettisti attivi nella Svizzera italiana – tre case realizzate nella regione, chiedendogli di sceglierne una e commentarla, senza lesinare analisi e critiche. Sono quindi, questi, testi di architetti su architetti, che portano avanti, nello spazio pubblico di una rubrica virtuale, una riflessione sulla progettazione in Ticino. La serie continua con Stefano Moor che commenta un progetto di Martino Pedrozzi.

Data di pubblicazione
07-08-2020

Scrivere su un’opera di qualcun altro? Mah... Non amo scrivere dei miei progetti, figuriamoci di quelli degli altri. Però Martino è uno dei pochi che reputo un compagno di viaggio: scrivo, lo faccio per me, è occasione per riordinare alcuni pensieri. M’intriga. Come qualche anno fa, quando si trattava di salire con lui su un elicottero a spostare pietre a 3'000 metri. M’intrigava. Un’altra ricomposizione. Una straordinaria pazzia per un tumulo di Adolf Loos, per ristabilire tra le cascine diroccate il chiaro limite tra spazio pubblico e privato.

Guardo con attenzione a quello che Martino fa, m’interessa. Martino è un solitario, ha bisogno di pensare, cerca in profondità e i suoi progetti non sono mai scontati o preconfezionati, contengono sempre un’invenzione dal giusto dosaggio, un’invenzione mai balorda, mai sopra le righe: ha dei capisaldi, crede nella chiarezza e nella giustezza dei progetti, si fa condurre dalla tematica in questione ma è sempre curioso di spingersi più in là. Lavora con la struttura, si affida a quell’adeguato sforzo statico capace di incidere un duraturo atto di qualità nel territorio. Non lascia niente al caso, vuole le cose curate e fatte per bene, sa sempre attorniarsi di validi professionisti, dall’ingegnere al grafico, dall’artigiano al fotografo.

Martino costruisce poco, ma nello sconcertante attuale clima culturale del costruire in Ticino è normale e, alle volte, perfino un buon segno. Il suo lavoro è innanzitutto e sempre un gesto serio e intellettuale, oggi una rarità. Al di fuori del virtuoso contesto dei concorsi pubblici, nel desolante panorama privato non è affatto scontato che un committente si rivolga a un architetto come Martino Pedrozzi, ma fortunatamente ci sono delle eccezioni o delle casualità, come dieci anni fa a Sonvico.

La casa di Sonvico è una di quelle di cui mi piacerebbe essere l’autore. S’inserisce con precisione nel contesto. Grazie a un tetto pensato come una facciata e a un portico dalla dimensione pubblica, la casa è il finale di una ripida stradina costeggiata da villette con garage. Di questo ennesimo indegno brandello di città diffusa è il degno limite verso il bosco. La casa ruota rispetto al tessuto, la pochezza della sua struttura urbana non va rispettata, va cercata un’altra struttura a cui agganciarsi, quella territoriale: Martino legge sapientemente le curve di livello, trova un appoggio e, con il suo intervento, svela in sezione un luogo che prima di allora era solo un pendio come tanti altri. Finalmente l’occhio può leggerlo e misurarlo. L’attacco a terra in questo progetto è cruciale, lo zoccolo non c’è, è sostituito dal vuoto sotto la struttura statica. Oltre alla precisione dell’inserimento nel luogo, fino a qualche anno fa apprezzata peculiarità ticinese, qui tira pure un’aria brasiliana. Un ponte che poggia da una parte sul terreno e dall’altra su due pile. La struttura statica è l’essenza di questo progetto: dimensionata senza enfasi, essa rinuncia a esprimere la sua reale complessità (soletta precompressa, struttura secondaria) a vantaggio di un ordine architettonico unico. Posata con maestria, riconosce l’orientamento del pendio e allo stesso tempo conferisce autonomia all’edificio, che risponde con la stessa forza sui quattro lati e definisce tutto quello che sta attorno. Drastica autonomia non autoreferenziale. Oltre a regolare luci e ombre, la struttura permette di organizzare un’efficace e intelligente tipologia attorno a un introspettivo patio dove si circola senza corridoi. Le finiture non gridano mai all’eccesso, poche fantasie, i materiali sono quelli usuali posati da artigiani in gamba. Per esaltare la struttura e denunciare i tamponamenti ci voleva però un guizzo: la piastrella, una banale piastrella. Un po’ Milano, un po’ Parigi, un po’ Portogallo. Una casa senza tempo, associata per sempre al suo contesto e che è lì per durare. L’ordine e il rigore permettono a chi ci vive di cogliere le emozioni che gli spazi costruiti sono capaci di suscitare.

Martino Pedrozzi continua a insegnare per alimentare la sua ricerca, insegna quello che vuole imparare. A breve pubblicherà un libro sulle sue ricomposizioni e lo farà con l’editore giusto, il grafico giusto, il fotografo giusto e la carta giusta. E a Canobbio, grazie a un raro e illuminato concorso privato, finalmente costruirà un nuovo tassello urbano di qualità: il nostro territorio ne ha bisogno. In mezzo al camaleontismo progettuale di troppi colleghi, Martino è uno di quelli che invece sa, giorno dopo giorno, abbandonarsi al piacere di costruire con logica il suo pensiero. Un atto di speranza a servizio della qualità, in lotta contro l’amnesia.


Stefano Moor

Luogo Sonvico

Committenza Flavia e Reto Petrimpol, Sonvico

Architettura Martino Pedrozzi, Mendrisio

Collaboratori Martin Muntaner e Ali Kashef

Impresa Dario e Eros Medici, Chiasso

Ingegneria civile Lurati Muttoni Partner, Mendrisio

Fotografia Pino Brioschi, Bellinzona

Date progetto 2009, realizzazione 2010

Qui si possono leggere tutti i testi del dossier «Le case degli altri», e qui l'editoriale. Questo dossier è concepito come un luogo di riflessione comune; per commenti, suggerimenti, critiche si può scrivere a web [at] espazium.ch (questo indirizzo).

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