Per Sil­va­no Zor­zi

I curatori di «Archi» 5/2019, Giulio Barazzetta e Gabriele Neri, introducono il numero dedicato a «uno dei maggiori strutturisti del XX secolo che ha operato in campo internazionale».

Data di pubblicazione
07-10-2019

Questo numero di Archi è dedicato all’opera di Silvano Zorzi (1921-1994) e alla sua figura d’ingegnere progettista. Com’è noto, si tratta di uno dei maggiori strutturisti del XX secolo che ha operato in campo internazionale, dai suoi esordi nell’immediato secondo dopoguerra fino alla sua scomparsa.

Podcast: ascolta Gabriele Neri che presenta Silvano Zorzi e Archi 5/2019 ai microfoni de «La rivista» di Rete Due.

Perché un numero su Silvano Zorzi? Innanzitutto perché le sue opere sono rappresentative di una radicale trasformazione che ha investito l’ingegneria delle strutture complesse ma, in una visione più ampia, i più svariati ambiti del nostro mondo e della nostra cultura. Dietro ai suoi straordinari viadotti c’è infatti la trasformazione dello spazio e del tempo della società di massa, da cui dipende un inedito rapporto con il paesaggio, la mobilità, il contesto urbano, le nostre abitudini. Rimanendo nel nostro ambito disciplinare, si può ricordare come quella vissuta da Zorzi sia una stagione in cui alla verifica statica attraverso il conteggio manuale si sostituisce la sua informatizzazione con i programmi di calcolo, ai modelli fisici di simulazione in laboratorio si sostituiscono i modelli virtuali di calcolo, e nelle opere si confronta l’iperstatica della «struttura per forma» con la precisione isostatica delle strutture precompresse. Un tempo nel quale ai brevetti d’autore subentra la collaborazione costante con l’industria delle costruzioni.

Le opere di Zorzi sono certamente ideazioni di una grande personalità, frutto della capacità di organizzare il lavoro collettivo di progettisti, ingegneri e ­architetti, tecnici e maestranze, imprenditori e committenti, ma anche della pro­fonda integrazione di tutto questo con i sistemi industrializzati della costruzione. Questi sono progetti sempre alla ricerca di una concezione strutturale e costruttiva innovativa, prototipi di costruzioni non disgiunti dalla progettazione di architettura e paesaggio. Lo sono sin dal momento ineffabile dell’intuizione in cui cultura ed esperienza formano una miscela formidabile di simultaneità concettuale. Unica condizione che permette di condurre la molteplicità di simili imprese, di padro­neggiare allo stesso tempo successione, pluralità e varietà di aspetti del lavoro con effetti differenti da incanalare all’unità della costruzione e infine all’opera in esercizio.

La sua figura di ingegnere moderno domina questo passaggio, se moderno è la difficoltà attiva di seguire il mutare del tempo accantonando grandi narrazioni, progettando permanenze nello spazio da cogliere nel tempo del passaggio lungo un itinerario, una pratica professionale in cui il dominio del materiale artistico è espresso dall’opera infrastrutturale che consumiamo nell’inconsapevole uso ­quotidiano.

C’è però una seconda ragione per parlare di questo grande ingegnere italiano su una rivista elvetica. L’ingegneria di Zorzi ha un rilevante legame, in qualche modo un debito, con la Svizzera, poiché un momento fondamentale della sua formazione si svolse nel Campo Universitario di Losanna negli anni della guerra. Questa esperienza lasciò importanti tracce nel suo lavoro, per varie ragioni che ­cercheremo di delineare sinteticamente nel nostro testo. Tra queste, è interessante notare come i contatti professionali e scientifici che Zorzi instaurò dall’inizio degli anni Sessanta con l’azienda tedesca Dywidag, da cui presero forma alcune delle sue opere più interessanti, furono spesso mediati da André Bertoncini, ingegnere svizzero, ­figlio della coppia che lo ospitò a Losanna durante la guerra. Oltre a questa coincidenza biografica, tali vicende mostrano il forte scambio culturale e scientifico che Zorzi fu in grado di mantenere tra l’Italia e quanto accadeva a nord delle Alpi, conducendo i propri lavori con ibridazioni di teorie e tecniche della progettazione avanzata, anticipando l’attuale epoca globale.

Nello specifico, abbiamo deciso di comporre questo numero nel dialogo di due punti di vista: quello storico di Tullia Iori, nota studiosa dell’ingegneria strutturale italiana, che i lettori di Archi hanno già incontrato, e quello da progettista di ponti di Jürg Conzett, uno degli ingegneri svizzeri più rinomati, il quale «considera il proprio lavoro un’attività culturale, non una semplice prestazione professionale», e la cui prospettiva può cercare di dare una nuova interpretazione all’opera di Zorzi.

A questi due importanti contributi si sommano le schede di quattro «opere scelte» che abbiamo selezionato come esempi più significativi dell’attività di Zorzi, redatte da Valeria Gozzi.

Infine il nostro contributo, scaturito dalla curatela di Archi 5/2019, che si innesta sull’interesse per la natura ­cosmopolita dell’esperienza di Zorzi: segnatamente per il permanere nel suo mestiere della radice seminale del periodo in Svizzera all’École Polytechnique di Losanna, che perdura nella sua esperienza internazionale di progettista. Per questo abbiamo deciso di pubblicarne la «dimostrazione» divulgando un importante progetto inedito degli esordi della sua carriera e la testimonianza dell’ing. André Bertoncini, osservatore della sua formazione a Losanna e teste del ­passaggio alla dimensione industriale della sua attività che ci ha permesso di indagare su questi legami.

Ringraziamenti

Tra i fondamentali contributi a questo numero non possiamo che metter al primo posto i fondi archivistici di Silvano Zorzi e di Aldo Favini in essere presso gli Archivi Storici del Politecnico di Milano, con i loro donatori: Alessandra Brustolon e la Fondazione Aldo Favini. Ma gran parte del lavoro d’indagine è stata condotta con Edoardo Nava Mangiarotti e Yves Ambroset che stanno curando l’ordinamento dell’Archivio dello Studio Angelo Mangiarotti, fra non molto destinato a divenire una Fondazione dedicata; a loro si deve la pazienza e la cura nella apertura di cartelle non ancora  classificate che ci hanno portato alla certezza della pubblicazione del progetto inedito per Sasso Marconi.

Fra i fondamentali contributi alla discussione ricordiamo quelli di Mario Alberto Chiorino e di Tullia Iori.  Naturalmente indimenticabile è la tesi di dottorato di Irene Blandino e il dialogo/intervista con André Bertoncini. Infine non possiamo omettere fra questi la gentile disponibilità e l’interesse di Angela Windholz, responsabile della Biblioteca dell’Accademia di architettura di Mendrisio, a cui ­dobbiamo non solo la pubblicazione di immagini del suo ­fondo Silvano Zorzi, ma l’incontro e l’apertura del dialogo con Jürg Conzett che ha portato infine al suo contributo.

Difficile è in questa sede ricordare tutti gli apporti raccolti e che ci hanno di volta in volta spinto a nuove ricerche e riflessioni. Riteniamo perciò di doverli includere in un grande ringraziamento generale a tutti i ricercatori, ingegneri e architetti coinvolti nella discussione sul tema della progettazione di ingegneria e architettura negli ultimi anni.

Qui è possibile acquistare Archi 5/2019, mentre qui si trova l'editoriale con l'indice del numero.

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