Quando la casa di­venta aula

Studiare architettura durante il Covid-19

Come sono stati vissuti i mesi di confinamento dagli studenti di architettura? Quali ripercussioni ha avuto la pandemia sulla loro formazione? Quattro testimonianze di studenti dislocati in paesi diversi, che nonostante le distanze – anche oceaniche – si sono trovati a vivere un semestre simile, tra teleconferenze e atelier improvvisati.

Date de publication
09-07-2020

La cultura della costruzione ha risentito della pandemia a numerosi livelli, come abbiamo mostrato in questo ciclo di interviste. Anche per università e politecnici, come ci hanno raccontato Paolo Canevascini, docente all'Accademia di architettura di Mendrisio, e Muck Petzet, direttore del Diploma 2020, il confinamento ha significato sperimentare nuove tecniche didattiche e rinunciare ad alcuni aspetti ritenuti fondamentali per la formazione dei progettisti, come la costruzione dei modelli o l'interazione diretta con colleghi e insegnanti. E tuttavia, ha osservato Canevascini, «Penso che questa situazione faccia maturare i ragazzi: un po' sono impauriti, ma sono consapevoli che lo studio li aiuta a superare il momento. Abbiamo visto un impegno anche maggiore del solito; sarà un percorso che li aiuterà per tutta la vita».

Ma come hanno vissuto i diretti interessati le settimane del confinamento? Abbiamo raccolto le voci di quattro studenti, iscritti all'ultimo anno del Bachelor e dislocati in quattro università del mondo, che per paradosso si sono trovati, nonostante le distanze geografiche – anche oceaniche – che li dividono, a vivere un semestre stranamente simile, tra connessioni telematiche e atelier improvvisati tra le mura di casa. Sono Karin White Oberholzer, studentessa all'Accademia di architettura – USI di Mendrisio, Giovanni Perazzi, iscritto all'Accademia ma ospite dell'ETH per un semestre di scambio, Diego Heras, anche lui iscritto all'Accademia ma ospite per un semestre alla ETSAM di Madrid, e Ian Groisman, della Universidad Torcuato Di Tella di Buenos Aires.

«Trovo molto stimolante il modo in cui i professori ci stanno spronando a proiettare tutte le scomodità che sentiamo ora nei nostri progetti, interrogandoci sui limiti dell’abitare di cui finora non ci eravamo resi conto» Diego Heras

Espazium – Che effetti ha avuto il confinamento sulla vostra formazione?

Ian Groisman – Il nostro curriculum di architettura si svolge in un atelier dove tutti (dalle matricole ai diplomandi) conviviamo per almeno cinque ore al giorno. Non andarci più significa perdere le correzioni dal vivo dei professori, perdere le ore condivise con i compagni e non produrre più modelli. È una perdita piuttosto grande.
Sebbene gli strumenti di videochiamata funzionino molto bene per lavorare sul progetto, le presentazioni finali durante le quali dobbiamo parlare di fronte a un giurato hanno perso un po' di forza. Risultano confuse per problemi di connessione e audio, e si perde la serietà della presentazione (perché tutti vedono il tuo letto sullo sfondo del video, o tua zia che ti passa alle spalle perché non hai un posto migliore del salotto dove fare la videochiamata…). Il vantaggio è invece che tutti siamo in prima fila al momento di presentare i lavori, quindi le opportunità di partecipare si moltiplicano.
Ma la maggiore differenza (che vale per la vita di tutti in generale) è la quantità di tempo che abbiamo a disposizione ora che non dobbiamo viaggiare costantemente: il vantaggio è che possiamo dormire di più, lo svantaggio che non esiste un limite fisico tra le ore di lavoro e di riposo; tutti stiamo lavorando di più perché viene a mancare il momento in cui “si va a casa”.

Giovanni Perazzi – A livello psicologico, per uno studente in scambio come me la consapevolezza di non poter fare esperienza di un nuovo ambiente universitario rende tutto un po' irreale e triste. Nonostante lo sconforto generale, l’insegnamento remoto però per me sta funzionando piuttosto bene. Ho avuto la fortuna di scegliere un corso di progettazione che è molto improntato sul lavoro concettuale e rappresentativo: non produciamo modelli reali e tutto avviene tramite la rappresentazione digitale e lo studio. Il lavoro di coppia con il mio partner di progetto a volte può risultare difficile per la distanza, ma in generale la situazione di confinamento non influisce troppo negativamente sul nostro lavoro. Di positivo c’è poi, ad esempio, che professori e assistenti sono in un certo senso molto più disponibili. Poiché tutto il resto è quasi fermo, l’attività didattica è molto più presente, anche se si sente nettamente la mancanza di quella presenza fisica che permette di disegnare una correzione sulla carta o spiegare attraverso uno schizzo. Sento quindi la mancanza di un vero confronto, anche con i colleghi di atelier, da cui non ho più la possibilità di imparare veramente.

Diego Heras – Il confinamento ha sicuramente stravolto il mio Erasmus, perché mi ha privato dell’opportunità di conoscere fino in fondo una realtà universitaria molto diversa da Mendrisio (il semestre si è ridotto a poco più di un mese presenziale) e di vivere tutte le esperienze che ne derivano, fare amicizie e creare contatti – ma comunque posso essere grato in qualche modo a questa situazione, perché penso che mi stia facendo crescere sotto tanti altri aspetti.

Karin White Oberholzer – Credo che questa situazione abbia un importante riflesso sulla nostra formazione. Abbiamo moltissimi mezzi a nostra disposizione per poter proseguire il nostro percorso di studi, ma comunque sento che alcune parti fondamentali della formazione vengono a mancare in una situazione in cui si è chiusi in casa senza poter avere un confronto diretto con i compagni.
Ritengo che questa situazione rappresenti una grande opportunità per riflettere su come possa presentarsi sempre la necessità di rivoluzionare completamente il nostro modo di vivere per poter sopravvivere – un tema che riguarda anche come pensare all’architettura e alla città del futuro.

«Di positivo c’è che, poiché tutto il resto è quasi fermo, l’attività didattica è molto più presente. Ma sento la mancanza di un vero confronto, anche con i colleghi di atelier, da cui non ho più la possibilità di imparare» Giovanni Perazzi

Come si è organizzata la vostra università per continuare i corsi?

Karin White Oberholzer – L’Accademia si è organizzata molto bene e ci sta dando la possibilità di proseguire i nostri studi, ma penso che certe mancanze non potranno mai esser colmate virtualmente: il confronto diretto con i compagni, i corridoi dell’Accademia sempre ricchi di disegni e modelli, le critiche di altri atelier di progettazione, le conferenze, le lezioni frontali e le discussioni davanti ai fogli da disegno con gli schizzi del professore…

Giovanni Perazzi – Non appena si è rivelato chiaro che l’emergenza Covid sarebbe stata estesa a tutto il paese, l’ETH ha dichiarato che avrebbe chiuso le proprie strutture e sarebbe passata al completo insegnamento remoto per l’intero semestre. C’è stata molta professionalità in questo, anche se a un primo impatto non pareva vero a nessuno che sarebbe stato vietato l’accesso al campus… Ora l’insegnamento procede completamente in digitale, con conferenze registrate, podcast e insegnamento live stream attraverso la piattaforma Zoom, che permette di avere più possibilità di interazione anche per noi studenti.

Diego Heras – La ETSAM è riuscita a organizzarsi piuttosto tempestivamente, attivando subito le lezioni a distanza e mantenendo costante la comunicazione, sempre con la consapevolezza che ognuno si trova in condizioni diverse, magari privo di alcuni mezzi o munito di una postazione di lavoro che può non essere delle più comode. Le critiche di progetto sono state fin da subito gestite nel migliore dei modi, con fluidità e per certi versi anche più efficienza, vista la possibilità di poter essere più flessibili in quanto agli orari e di evitare le normali “perdite di tempo” semplicemente attivando il microfono e condividendo il proprio lavoro.

Ian Groisman – Tutti i professori della Universidad Torcuato Di Tella hanno partecipato a varie riunioni di formazione; poi si è organizzato un programma e si sono indicate linee guida di base da seguire nel corso delle videochiamate. La verità è che tutto è funzionato molto bene.

«Attualmente non esiste più un limite fisico tra le ore di lavoro e di riposo: tutti stiamo lavorando di più perché viene a mancare il momento in cui “si va a casa”» Ian Groisman

Avete avuto difficoltà a trasformare la vostra abitazione in luogo di lavoro?

Diego Heras – Per quanto mi riguarda, poteva andarmi molto peggio: certo è che se avessi saputo che il semestre lo avrei passato in casa avrei cercato una stanza in un appartamento con qualche “comfort” in più, ma comunque sto riuscendo a gestire gli spazi e la convivenza con assoluta tranquillità, nonostante una scrivania molto piccola, un orientamento della camera che non è proprio dei migliori e l’assenza di uno spazio esterno come un balcone o semplicemente una finestra con luce diretta che permetta di staccare ogni tanto e prendere un po’ d’aria (e sole). Riguardo a questo, trovo molto stimolante il modo in cui i professori ci stanno spronando a proiettare tutte le scomodità che sentiamo nei nostri progetti, interrogandoci sui limiti che l’abitare ha e di cui finora non ci eravamo resi conto, per proporre nuovi modi di vivere la casa.

Giovanni Perazzi – So di persone che hanno grosse difficoltà a lavorare nei propri appartamenti o stanze in affitto e soprattutto a reperire il materiale. Un’amica che frequenta il mio stesso programma di scambio ha dovuto trasformare il proprio stanzino in sala di modellistica e ogni settimana ordina materiale online sperando che arrivi per tempo, oppure è costretta ad usare materiali disponibili in casa per i propri modelli… Non è molto contenta della situazione.

Karin White Oberholzer – Trasformare l’abitazione in luogo di lavoro è stato un processo molto naturale e immediato. Ovviamente però a volte si sente la mancanza di macchinari e materiali normalmente molto facili da reperire. Le risorse per i modelli sono limitate e questo ci costringe a progettare utilizzando metodi diversi e sempre più virtuali. Con tutti i corsi tenuti online, il computer è diventato indispensabile e fondamentale: è lo strumento base. Anche lavori come i disegni a mano libera di dettagli costruttivi vengono poi trasformati in documenti virtuali per poter essere consegnati.

Ian Groisman – Già in passato nel mio appartamento vivevamo in modo simile a quello attuale. Ho progettato e montato un tavolo di 200 x 70 cm circa due anni fa (si vede nella foto), in modo da poter lavorare in due in parallelo senza problemi. Occupa il centro della stanza e passiamo la maggior parte della giornata seduti davanti ai nostri computer. Ci piace molto stare rinchiusi insieme, siamo stati fortunati.

«Questa situazione ci fa riflettere su come possa presentarsi sempre la necessità di rivoluzionare il nostro modo di vivere per sopravvivere – un tema che riguarda anche come pensare all’architettura e alla città del futuro» Karin White Oberholzer

La cultura della costruzione di fronte all'emergenza Covid-19 – La parola ai professionisti

 

La crisi sanitaria ed economica che stiamo attraversando sta colpendo tutti i settori professionali, tra cui anche l'edilizia. Per valutarne l'impatto sulla cultura della costruzione, Espazium dà la parola ai professionisti del settore affinché testimonino di come hanno riorganizzato il proprio lavoro, di quali difficoltà abbiano incontrato e – poiché ogni crisi rivela i punti di forza ma anche le debolezze di un sistema – condividano con noi i loro pensieri sulla propria professione. Per non dimenticare, e nella speranza che queste testimonianze ci aiutino a riflettere così che, una volta sconfitto il virus, non tutto torni com'era prima.

 

I contributi di questo ciclo sono raccolti nel dossier digitale.

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